Cos'è e come funziona l'autofocus negli smartphone

L'autofocus è un aspetto importantissimo dei sensori fotografici a bordo degli smartphone, che fa la differenza sui dettagli catturati nella scena.

Cos'è e come funziona l'autofocus negli smartphone
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Quando si scattano delle foto con il proprio smartphone è importante far sì che tutta la scena sia riprodotta in maniera fedele e pulita, cercando di conservare quanti più dettagli possibile. Affinché questo accada le immagini devono essere bene a fuoco, oltre che essere scattate con un sensore di qualità. Dei punti focali se ne occupa chiaramente l'autofocus, e per questo motivo recentemente numerose aziende si sono concentrate sul miglioramento di quest'ultimo componente, cercando di trarre il meglio e aumentando anche la sua velocità operativa. Non tutti gli utenti sanno come l'autofocus lavora e in questo articolo cercheremo di fare chiarezza in merito, provando a spiegare il tutto nel modo più immediato possibile. Sull'argomento sono state effettuate semplificazioni piuttosto nette, senza però inficiare la comprensione base del funzionamento dell'autofocus.

L'importanza dell'autofocus

Di primo acchito, uno dei primi valori a cui si guarda per capire la qualità di una fotocamera per smartphone sono i Megapixel. Per un lungo periodo di tempo i produttori di smartphone sono andati alla ricerca dei megapixel più elevati possibile, in quanto gli utenti spesso scambiavano il numero dei pixel che il sensore è in grado di catturare per la qualità finale della fotocamera. Fortunatamente questo dogma sta andando sempre più snaturandosi, con le aziende che puntano su altri elementi per migliorare la resa, come l'apertura del diaframma. Si guardi per esempio al Samsung Galaxy S7, su cui la società coreana ha deciso di abbassare i megapixel rispetto al modello precedente, concentrandosi di conseguenza sulla grandezza del singolo pixel - teoricamente più esso è grande e più luce riesce a catturare. Per questo motivo è importante guardare anche ad altri fattori che influenzano, almeno tanto quanto i megapixel, la qualità del reparto fotocamere.
Stiamo parlando della già citata apertura del diaframma, della grandezza del singolo pixel, dell'optical image stabilization (OIS), del supporto all'high dynamic range (HDR), dell'autofocus, giusto per fare qualche esempio. Su quest'ultimo hanno puntato società quali Apple, Samsung ed LG, che negli ultimi smartphone top di gamma hanno inserito diverse tipologie di autofocus, un elemento che non solo migliora la resa delle immagini, ma che diventa sempre più spendibile anche a livello di marketing.

Come funziona l'autofocus

Quando si scatta la foto di un oggetto, il sensore fotografico cattura la luce che esso riflette. Ogni oggetto nel mondo reale può essere infatti visto dall'occhio umano (ed anche dalla fotocamera) semplicemente per le sue proprietà riflettenti: se non riflettesse alcuna luce allora semplicemente non riusciremmo a vederlo.
Il sensore fotografico è costituito da una lente convessa che tenta di mettere a fuoco la luce proveniente dall'esterno, per mandarla poi su un sensore CMOS. Esso si occupa di digitalizzare la luce e trasformare la scena catturata in un file, per poi salvarlo nella memoria interna dello smartphone. Nel mondo reale le cose non sono così semplici, come vedete nelle immagini poco sopra. Nella prima i raggi di luce sono perfettamente perpendicolari alla superficie della lente, ma in una situazione comune essi non arrivano praticamente mai con angolo zero: in genere, più è distante la sorgente e più l'angolo di arrivo sulla lente si discosta dalla perpendicolarità. Una situazione più coerente è quella rappresentata nella seconda immagine, in cui le linee tratteggiate di verde, di blu e di rosso rappresentano tre oggetti distinti. Il verde ed il rosso non sono a fuoco, in quanto risultano rispettivamente troppo lontano e troppo vicino, e se proviamo a scattare loro una foto li vedremo sfocati. L'unico oggetto a fuoco è quello blu, che si trova ad una giusta distanza per far sì che la lente riesca a "schiarire" la sua superficie. Per rendere nitidi l'oggetto rosso o quello verde l'unica soluzione è quella di cambiare la distanza fra la fotocamera e i soggetti. Inizialmente, per esempio, tutti i sensori fotografici utilizzati negli smartphone avevano delle lenti a fuoco fisso, di cui non è possibile cambiare le caratteristiche - e di conseguenza l'unica soluzione sarebbe stata appunto quella di cambiare la distanza. Oggigiorno, fortunatamente, le fotocamere degli smartphone si sono evolute, e possiedono delle lenti a fuoco variabile: avete mai sentito un piccolo scatto nell'ottica quando cambiate il fuoco nella scena? Se no, provateci, e magari poggiate l'orecchio nei pressi della fotocamera quando mettete a fuoco un punto più lontano o più vicino. Lo scatto avviene perché la lente è in grado di muoversi avanti ed indietro per variare la distanza che la separa dal sensore, e questo le permette di auto-regolarsi in dipendenza dall'oggetto da mettere a fuoco. Tale tecnologia, combinata con i differenti tipi di autofocus, è capace di attenuare la perdita di dettaglio e di catturare immagini più nitide, senza l'effetto sfocato delle fotocamere dei primi cellulari.

Cos'è l'autofocus Idealmente, il sistema di autofocus di uno smartphone dovrebbe essere accurato e veloce: dovrebbe essere capace di posizionare le lenti in maniera rapida così da catturare nel minor tempo possibile i dettagli della scena. Un autofocus ideale dovrebbe anche lavorare senza essere influenzato troppo dall’ambiente (all’interno, all’esterno, di notte...) e dalla quantità di luce nella scena. Nel prossimo articolo su questo tema vedremo che l’autofocus perfetto, in realtà, non esiste, ma che tipologie differenti di autofocus, che si discostano dal concetto base, possono migliorare davvero tanto la situazione, soprattutto se utilizzate contemporaneamente.