Apple vs FBI: caso chiuso o siamo solo all'inzio?

L'iPhone 5C di Syed Rizwan Farook, autore della strage di San Bernardino, è stato sbloccato dalle autorità statunitensi, per una vicenda con molte ombre e destinata a far discutere a lungo.

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Il caso che ha visto coinvolti Apple e l'FBI è arrivato a una conclusione, ma non quella che in molti, soprattutto all'interno dell'agenzia governativa americana, si aspettavano. Cupertino infatti non ha ceduto alle richieste del Federal Bureau of Investigation, per uno stallo che si è pian piano trasformato in un vero e proprio incidente diplomatico. Come in una breve "Guerra Fredda", le due forze contrapposte non sono arrivate mai a una rottura totale, continuando il dialogo sotto traccia, spesso al di fuori dei canali ufficiali, puntando però al pubblico più che alla risoluzione della vicenda. Si tratta di una modalità operativa piuttosto atipica, che non ha mancato di sollevare molti dubbi sulle reali intenzioni delle due parti in causa. Se nel caso di Apple sono in molti a credere che Cupertino abbia sfruttato la questione per fini pubblicitari, in quello dell'FBI la vicenda si fa più torbida, considerate le modalità utilizzate per richiedere lo sblocco dell'iPhone 5C di Syed Rizwan Farook, autore della strage di San Bernardino, e alcuni retroscena poco noti, soprattutto in Italia.

L'inizio della vicenda

Prima di parlare della conclusione della vicenda, ricapitoliamo un attimo quanto accaduto tra l'FBI e Apple. Tutto è cominciato dopo i fatti che hanno visto protagonista Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik, autori di un attacco terroristico che ha causato la morte di 14 persone a San Bernardino, in California. Le indagini hanno seguito diverse piste per cercare di smascherare la rete di supporto dietro agli attentatori: tra queste troviamo quella riguardante l'iPhone 5C di Syed Farook, il cui accesso era bloccato dal codice di protezione del dispositivo. FBI ed Apple hanno collaborato per cercare di risolvere il problema, fino a quando l'ente governativo ha chiesto all'azienda di creare una procedura di sblocco forzata del terminale. A questo punto le due parti si sono trovate in una fase di stallo: da un lato Apple affermava che una simile richiesta avrebbe messo in pericolo la sicurezza di tutti i dispositivi della mela, dall'altro l'FBI metteva sul piatto le necessità di sicurezza del popolo americano, affermando che la procedura sarebbe stata usata solo su quel singolo dispositivo. Vista la risposta negativa di Cupertino, l'FBI decise di passare alle maniere forti, cercando di ottenere lo sblocco del telefono facendo leva sul Wrist Act, una legge che affonda le sue radici nel 1789, causando la reazione immediata di Apple, che rispose con una lettera aperta firmata dal suo CEO, Tim Cook, rivolta ai propri consumatori. Questa affermava senza mezzi termini un profondo senso di sfiducia nelle rassicurazioni del governo federale, che avrebbe avuto in mano un passepartout per tutti gli iPhone, ma anche i presupposti legali utilizzati dall'FBI per costringere Apple ad ottemperare alle sue richieste non sono stati visti di buon occhio. "Se il governo può usare l'All Wrist Act per sbloccare più facilmente un iPhone, potrebbe anche avere il potere di raggiungere tutti i dispositivi e di catturare i loro dati. Il governo potrebbe estendere le falle nella sicurezza e chiedere ad Apple di realizzare un software di sorveglianza per intercettare i vostri messaggi, accedere ai vostri dati medici o ai dati finanziari, tracciare la vostra posizione, ma anche accedere al microfono del vostro telefono o alla videocamera senza il vostro permesso." Il botta e risposta è andato avanti fino all'annuncio dello sblocco del terminale da parte dell'FBI, avvenuto, probabilmente, grazie alla collaborazione di un'agenzia di sicurezza privata israeliana, Cellebrite, ponendo fine alla vicenda.

Siamo solo all'inizio

Del caso "FBI vs Apple" si è discusso molto nelle ultime settimane, con l'opinione pubblica americana, e non solo, piuttosto divisa su quale sia il miglior approccio ai temi della privacy e della sicurezza. Lo smartphone di Syed Rizwan Farook è riuscito a riportare in auge il dibattito sull'accessibilità dei dati personali nei casi di terrorismo, ma in realtà il discorso è molto più ampio. Ricordiamo infatti che l'FBI, per voce del suo direttore James Comey, ha già portato all'attenzione del governo americano e della stampa la necessità di nuove leggi che possano dare un accesso semplificato ai dati criptati dei cittadini americani per facilitare il lavoro di indagine, più volte dal 2014 a oggi. Queste proposte però stanno avendo delle resistenze all'interno dell'establishment politica americana, sia alla Casa Bianca che al congresso, complice anche la complicata corsa per le elezioni politiche per la presidenza, che si terranno a novembre di quest'anno. Difficile che in questi mesi possa cambiare qualcosa, per cui è molto probabile che il tema verrà affrontato dopo le elezioni dal nuovo presidente.
Tornando allo smartphone della discordia, ricordiamo che si tratta solo di uno dei device a disposizione di Syed Farook: altri due telefoni e un laptop sono infatti stati distrutti prima del compimento dell'attacco all'Inland Regional Center. L'iPhone 5C oggetto delle indagini era il terminale di servizio dell'attentatore, di proprietà della contea di San Bernardino, monitorato quindi in maniera più intensa rispetto a uno smartphone privato, come affermato anche da Edward Snowden in un recente Tweet. Nessuna prova indicava che il telefono in possesso dell'FBI fosse stato utilizzato per organizzare l'attentato, inoltre sono molti gli esperti di sicurezza ad affermare che l'FBI non aveva bisogno dell'intervento di Apple per accedere il telefono, fatto che poi è stato confermato dal recente sblocco del terminale. Perché allora tutto questo polverone mediatico? Probabilmente, l'FBI ha fatto tutto questo per riportare all'attenzione dei media le necessità delle agenzie di sicurezza americane, alle prese con sistemi di criptaggio sempre più complicati, non invalicabili ma comunque di impedimento alle indagini del governo federale. Se il bureau fosse riuscito a convincere Apple a creare una backdoor per iOS, la strada verso un maggior accesso ai dati dei cittadini sarebbe stata più semplice, a prescindere dallo schieramento politico vincitore delle prossime elezioni. Il caso che ha visto protagonista Apple sarà solo il primo e nei prossimi anni, in assenza di nuove leggi, non sarà di certo l'unico. Ovviamente, non sapremo mai come si è svolta davvero la vicenda, ma qualche dubbio è lecito, visto anche l'evolversi di questa storia, giunta alla sua conclusione con l'annuncio dello sblocco del terminale di Syed Farook, confermando quanto detto nelle scorse settimane da molti professionisti della sicurezza: l'iPhone 5C non è un terminale inviolabile. Ricordiamo che si tratta di un dispositivo con qualche anno sulle spalle, senza Touch ID e gli ultimi aggiornamenti hardware di sicurezza pensati da Apple.
L'FBI ha dichiarato che lo sblocco del dispositivo è avvenuto con successo e che i dati al suo interno sono stati recuperati, e che l'aiuto dell'azienda di Cupertino non è più necessario. Non sono state rilasciate informazioni sul metodo utilizzato per accedere al dispositivo, mentre la decisione di condividere le stesse con Apple spetterà all'FBI, anche se sembra difficile che il bureau si faccia promotore di un'iniziativa per rafforzare ancora di più la sicurezza dei terminali della mela. Apple, tramite una nota stampa, ha affermato che "Fin dall'inizio, abbiamo contestato la richiesta dell'FBI di creare una backdoor nei nostri iPhone perché crediamo sia sbagliato e possa creare un pericoloso precedente... Continueremo ad aiutare le forze dell'ordine nelle investigazioni, come abbiamo sempre fatto, e continueremo ad aumentare la sicurezza dei nostri prodotti, visto che gli attacchi verso i nostri dati diventano sempre più frequenti e sofisticati. Apple crede fermamente che le persone negli Stati Uniti e nel mondo meritino di avere dati sicuri, sicurezza e privacy. Sacrificare uno di questi elementi metterebbe le persone e i paesi in grande rischio. Questo caso ha portato alla luce un problema che merita una discussione su scala nazionale riguardante le libertà civili, la nostra sicurezza collettiva e la nostra privacy, e Apple intende partecipare a questo dibattito."
Vicenda chiusa quindi, almeno per il momento, visto che il dibattito sulla privacy e sulla sicurezza dei dati, negli Stati Uniti, è soltanto all'inizio. Intanto, si è diffusa la notizia di nuovi iPhone sbloccati dall'FBI in Arkansas, per risolvere un caso di omicidio, segno che il metodo utilizzato è destinato ad essere impiegato ogni volta che ce ne sia la necessità, proprio come aveva predetto Apple.

Apple La vicenda che ha visto protagonisti Apple e l'FBI fa parte di un quadro molto più ampio, che si intreccia con i temi della privacy e della libertà sul web. Da un lato, le agenzie governative americane spingono per ottenere più poteri e controllo sui dati personali dei cittadini, allo scopo di migliorare il sistema di sicurezza interno, dall'altro le grandi aziende tecnologiche stanno cercando di portare il dibattito a livello nazionale, per evitare che decisioni così importanti vengano prese alla leggera. L'episodio che ha coinvolto Apple ha fatto scalpore per la vicenda e per le parti in causa, ma di certo non sarà l'ultimo. Casi come questo saranno destinati a ripetersi, fino a quando il governo americano non metterà la parola fine con una legge ad hoc sul tema, che difficilmente accontenterà tutte le parti in causa.