Hacker: storia del fenomeno che ha cambiato la tecnologia

Molto più che pirati informatici, gli hacker e la loro filosofia hanno cambiato per sempre la storia dell'umanità e della tecnologia informatica.

Hacker: storia del fenomeno che ha cambiato la tecnologia
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Il mondo degli hacker, tanto misterioso quanto affascinante, ha sempre vissuto circondato da un'aura quasi mistica di leggende, falsi miti e storie più o meno reali. Gli ultimi anni hanno costruito un'immagine piuttosto negativa di questo fenomeno, con i pirati informatici al centro della scena tra attacchi letali a grandi istituzioni, ricatti, furti di dati e password. Il termine è stato così accostato a una serie quasi infinita di violazioni legali con gli hacker ormai alla stregua dei più terribili criminali. Eppure dietro questo fenomeno tanto controverso e discusso si celano radici ben più profonde e positive, di quelle che hanno costruito il mondo tecnologico e informatico per come lo conosciamo oggi. Solo andando alle origini del fenomeno se ne possono capire le reali motivazioni e gli ideali che da sempre hanno mosso alcuni dei più grandi geni del nostro pianeta.

Dai trenini ai computer

I principi fondamentali della cultura hacker si sono sviluppati al MIT di Cambridge, uno dei più celebri quartieri universitari di Boston. Proprio li, nel palazzo universitario numero 26 del campus, si riunivano i soci di uno strano club universitario, il Tech Model Railroad Club, un collettivo di appassionati di modellismo ferroviario. Questi ragazzi si divertivano a intrecciare fili e sistemi che permettevano ai modellini di muoversi sui binari. Quello che all'apparenza poteva sembrare un gioco era un modo, per tanti giovani geni, di mettere a dura prova la loro intelligenza e le loro idee. Questi ragazzi creavano collegamenti, tagliuzzavano e intrecciavano fili: ogni idea doveva essere creata e verificata anche a livello pratico. Si iniziò a sviluppare da qui il primo embrione del verbo "To Hack", utilizzato per identificare le persone brave, appunto, a "tagliuzzare, smembrare e intaccare". Solo i migliori, quelli che erano capaci di creare i collegamenti e di costruire le idee più brillanti, potevano essere insigniti del titolo più ambito, quello di hacker. Le cose iniziarono a cambiare quando, nel 1958, nello stesso palazzo 26 venne installato il primo computer a transistor, un sistema capace di funzionare in modo interattivo e non tramite schede com'era accaduto fino a quel momento. I ragazzi del club si interessarono subito a questa nuova macchina, che iniziarono a studiare e utilizzare per gli scopi più assurdi e particolari, spremendone le capacità sino all'ultima goccia. La nascita del primo corso ufficiale di informatica al MIT sancì lo sviluppo di una materia del tutto nuova e fiorente. Alcuni degli elaboratori più complessi dell'esercito americano furono regalati all'istituto; gli hacker del MIT dimostrarono un'incredibile capacità nello sfruttare questi incredibili macchinari. Il loro obiettivo era uno solo: realizzare i programmi migliori utilizzando il minor numero possibile di istruzioni.

Un fenomeno in espansione

Libero accesso alle informazioni, disponibilità tecnologica e uso condiviso dei computer per un mondo migliore. Questi i principi sui quali nacque e si sviluppò l'etica hacker, ulteriormente accresciuta nel 1961, quando agli studenti fu data la possibilità di utilizzare il computer PDP-1, modello all'avanguardia che offriva la possibilità di interagire in tempo reale con la macchina tramite una tastiera e uno schermo. Le infinite possibilità di questo nuovo applicativo regalarono agli hacker un numero praticamente sconfinato di possibilità. Nacque così anche il primo videogioco interattivo della storia, il mitico e iconico "Spacewar!". La successiva creazione di ArpaNet, la prima rete di connessione tra computer creata dal ministero della difesa statunitense, diede possibilità a tutti gli sparuti gruppi di studiosi e hacker del Paese di iniziare a collaborare tra loro, uscendo dall'isolamento che li aveva caratterizzati sin dall'origine. Gli hacker iniziarono a diffondersi in quasi tutte le università del paese, trovando però in California il terreno fertile per dare libero sfogo a tutti i loro ideali. Le nuove generazioni degli anni 60 e 70 iniziarono a dedicarsi in maniera assidua allo sviluppo hardware: nacquero così gli homebrewer, hacker che studiavano gli aspetti più profondi delle apparecchiature che componevano i più importanti elaboratori con lo scopo di migliorarne le prestazioni e di renderne la diffusione libera e accessibile a tutti. Più che migliorare i programmi questi studiosi si occupavano di assemblare schede, creare e modificare processori per ottenere il miglior passo possibile. Nacquero in questo periodo i più interessanti soggetti del mondo hacker.

L'Homebrew Computer Club

Furono Lee Felsenstein e il "club dei computer fatti in casa" a dare ulteriore impulso a tutto il movimento. Felsenstein era uno studente anarchico di Berkeley, mai laureato ma ben più esperto di tutti i suoi professori. Riuscì, da solo, a creare un computer che donò gratuitamente a un'impresa locale, dando vita, di fatto, alla prima banca dati collettiva liberamente accessibile. Fu lui a dare impulso al famosissimo club, un'icona nel mondo dell'informatica, con le migliori menti della nascente industria dei computer della Silicon Valley. Il concetto alla base del club era quello di creare delle tecnologie condivise, facili da usare e liberamente accessibili, altamente personalizzabili e sostituibili in ogni loro parte, in modo da evitare di dare troppo potere ai grandi produttori di elaboratori e microprocessori. Steve Wozniak e Steve Jobs furono due tra i membri più in vista del club, per il quale crearono i primi esempi di blue box, dei terminali utilizzati per infiltrarsi all'interno dei sistemi telefonici, perfezionando l'intuizione di qualche anno prima di uno dei più grandi e particolari hacker della storia, John Draper, il mitico Captain Crunch. Questo bizzarro personaggio era riuscito, grazie al suono del fischietto trovato nella scatola di cereali da cui aveva preso il suo soprannome, ad aggirare la rete telefonica americana per effettuare chiamate gratuite.

La fine del sogno?

Il mondo degli hacker, fino a quel momento puro e incontaminato, iniziò però pian piano a piegarsi ad esigenze più grandi, alle regole di un mercato in pieno sviluppo che divenne un'opportunità fin troppo importante per non essere colta. Fu così che molti degli studiosi "puri" più competenti dell'epoca iniziarono a spostarsi verso le aziende tecnologiche più grandi della Silicon Valley, sostenuti dalle multinazionali che loro stessi avevano ampiamente criticato. Jobs e Wozniak diedero vita alla Apple, Bill Gates creò Microsoft e queste continue migrazioni crearono le prime spaccature all'interno di un movimento che fino a quel momento era stato ben saldo intorno ai suoi principi. Con il tempo tutti i componenti dell'Hombrew Computer Club si trovarono davanti ad una scelta difficile: continuare ad hackerare o lavorare per le multinazionali che avevano sempre criticato? Il gruppo e tutto ciò che vi gravitava attorno si indebolì e gli anni 80 segnarono la nascita di una nuova generazione di hacker, molto abili a programmare ma ben distanti da tutte le generazioni che li avevano preceduti. Il fenomeno iniziò ad assumere alcuni dei suoi connotati ancora oggi più comuni, mentre il mercato dei prodotti informatici iniziò ad adeguarsi a logiche ben precise di mercato basate sulla proprietà di software e hardware e non sulla libera circolazione di dati e programmi. Era la fine definitiva del movimento?

Gli ultimi anni

Nonostante il gran contributo dato al mondo della tecnologia, il fenomeno degli hacker rimase sconosciuto al grande pubblico per parecchio tempo. L'informatica diventava sempre più accessibile, ma a costi ancora piuttosto alti. Iniziarono così a svilupparsi i primi vagiti del concetto di Open Source, che puntava alla condivisione di tecnologie e software: negli anni 80 Richard Stallman diede vita alla Free Software Foundation, negli anni 90 Linus Torvalds diede vita a Linux, un kernel totalmente gratuito e finalmente libero. Il web e la diffusione dei personal computer nelle case di chiunque diedero ulteriore linfa vitale al movimento, dando la possibilità a molte più persone di divenire, potenzialmente, degli esperti di informatica, lavorando direttamente da casa ad ogni progetto. Fu con il passare del tempo che il fenomeno iniziò ad essere noto al grande pubblico, trattato dai mass media più per i suoi aspetti negativi che per gli ideali sui quali era stato fondato. Il corto circuito rimane ancora oggi tra i più assurdi nella storia dell'informatica. Gli assalti e le violazioni dannose di alcuni gruppi criminali portarono l'opinione pubblica a convincersi che la maggior parte degli hacker era di natura criminale. I principi di libertà di accesso alle macchine, di condivisione delle conoscenze e dei prodotti lasciarono presto spazio a convinzioni ancora oggi piuttosto radicate, che identificano questi individui come dei pericolosi pirati informatici, dediti a creare danni, violare sistemi sicuri e rubare denaro per i più biechi scopi economici, tutte azioni contrarie all'etica stessa del movimento. Queste convinzioni hanno messo in secondo piano l'importanza degli hacker nella storia dell'informatica e in alcuni dei principi base del mondo delle nuove tecnologie per come lo conosciamo oggi. Oggi il fenomeno hacker viene visto solo per le sue zone buie, quelle in cui si muovono criminali, terroristi e associazioni senza scrupoli. Eppure l'altra faccia della medaglia è ancora oggi ben presente, in quel rivoluzionario spirito anarchico che ha cambiato per sempre il mondo e che, siamo sicuri, proverà a cambiarlo in positivo ancora per tanto tempo.