La proposta choc: Facebook e Google aziende di Stato?

Nazionalizzare Google e Facebook è l'unico modo per combattere la loro posizione di monopolio? Per un giornalista del The Guardian la risposta è sì.

La proposta choc: Facebook e Google aziende di Stato?
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Nick Srnicek, contributor della testata britannica The Guardian, ha lanciato una proposta a dir poco controversa per risolvere le contraddizioni della Silicon Valley: nazionalizzare Google, Facebook e Amazon, proprio come fatto con ferrovie e infrastrutture strategiche in passato.

Il problema

È un dato di fatto che le grandi potenze del tech pongano dei seri interrogativi data la loro posizione pressoché monopolistica e il loro business model basato sul controllo e la vendita dei dati personali degli utenti. Nel corso degli anni non sono mancate richieste di regolamentazioni più stringenti da parte di attivisti, politici ed intellettuali. Quella di Srnicek, tuttavia, è indubbiamente la proposta più radicale tra quelle formulate sul tema. Lo scrittore di sinistra, nell'interessante editoriale, parte dalla constatazione di quello che appare come un dato evidente: i 3 colossi della Silicon Valley sono qua per restare, e la loro posizione predominante appare granitica. Srnicek ricorda l'esperimento infruttuoso di Ello, social network che prometteva di essere l'anti-Facebook, riprendendone le caratteristiche principali con la promessa di non vendere le informazioni dei propri utenti. Come è andata? La risposta ve la potete dare da soli contando quanti dei vostri amici o conoscenti hanno utilizzato - o anche semplicemente sono venuti a conoscenza - di questo social. Il punto dei social network è ovviamente socializzare, e che senso ha migrare su una piattaforma che si presenta come una prateria deserta, dove non è possibile trovare la maggior parte dei propri amici e parenti? Una parentesi a parte la merita, poi, la posizione di Amazon, Re incontrastato dell'e-commerce mondiale. Vediamo di quantificare il fenomeno velocemente: il sito di Jeff Bezos è partito come una barzelletta, lo chiamavano castello di carte, o addirittura schema ponzi. Questo per il semplice fatto che nei primi sette anni dalla nascita del sito non c'è stato un solo quadrimestre senza che lo store riportasse ingenti perdite. Nessun utile ma un valore finanziario pazzesco. Quella di Amazon altro non era che una strategia feroce e ultra-competitiva, che grazie a prezzi stracciati gli ha permesso di valere, oggi, da solo, il 46% dell'intero mercato del commercio online. Di ogni due euro spesi online, quasi uno intero finisce nelle tasche di Bezos ed azionisti. Nel 2015, riporta il Yale Law Journal, Amazon vendeva quanto i 20 suoi principali competitor messi assieme. Se in passato le persone prima di effettuare un acquisto cercavano l'articolo interessato su Google, ora una fetta consistente dei consumatori salta questo passaggio andando direttamente su Amazon.

La morale della favola

Morale? "Come conseguenza, abbiamo permesso che si creassero piattaforme sempre più monopoliste", scrive Srnicek nel suo editoriale. "Le cui tre più importanti in Occidente sono Facebook, Google e Amazon (mentre la Cina ha il suo personale ecosistema tech). "Google controlla le ricerche, Facebook le interazioni social e Amazon l'e-commerce". Il columnist del The Guardian, poi, chiama i bigdata il petrolio di questo secolo: risorsa essenziale nell'economia globale e per il cui controllo esiste un'intensa lotta. "Ogni interazione su queste piattaforme diventa una nuova informazione da catturare e inserire nell'algoritmo", sintetizza Nick Srnicek. E la logica del capitalismo incentiva le piattaforme ad estrarre più dati possibili. Questo implica che i social escogitino metodi sempre nuovi per convincere (o manipolare) i propri utenti a spendere più tempo possibile sulle loro piattaforme, o che cerchino sempre nuovi strumenti con cui estrarre altri dati. "Questo ci aiuta a capire - si legge nell'editoriale - come mai Google, compagnia dietro ad un motore di ricerca, si stia espandendo nel settore della IoT (vedi lo smart speaker Home) o in quello delle driverless (con Waymo)" e molto altro ancora.


La soluzione dello scrittore di sinistra

Posto che un problema c'è, la soluzione proposta dallo scrittore è "semplice" e brutale: nazionalizzare Google, Facebook e Amazon come si è fatto con i monopoli naturali in passato. Insomma, i monopoli del tech come le ferrovie. "Significherebbe riprendere il controllo di internet e delle nostre infrastrutture digitali, evitando che siano controllate nell'ottica del profitto e del potere", conclude quindi. Una proposta che appare decisamente oltranzista, ma forse una via di mezzo che passi per la strada della legge è bene trovarla. Già oggi vediamo come l'impegno delle istituzioni comunitarie vada nella direzione di assicurarsi che quella dei servizi legati al web sia una concorrenza veramente libera, priva delle indebite influenze dei "pesi massimi" come le compagnie attaccate dall'invettiva Nick Srnicek. Lo abbiamo visto proprio di recente con la sanzione della Commissione a Google per il modo in cui gestiva il proprio servizio di shopping. La domanda è se questo sia sufficiente, e sono sempre più persone a chiederselo. Anche se, a dirla tutta, il problema non è solo quello delle ragioni del profitto che portano allo sfruttamento intensivo dei dati degli utenti, ma anche e soprattutto quello della progressiva centralizzazione del web. Nulla che si risolva passando da un monopolio privato ad uno statale, anzi.