Steve Jobs 1955 - 2011: il nostro saluto al fondatore di Apple

Il fondatore di Apple ha lasciato un segno indelebile nella storia della tecnologia, che lo ha consacrato a icona del settore.

Steve Jobs 1955 - 2011: il nostro saluto al fondatore di Apple
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Ci abbiamo pensato molto prima di scrivere questo articolo. Dopotutto, cosa possiamo dire di Jobs ed Apple che non abbiamo già detto negli ultimi dieci anni? In cosa possiamo differenziarci dalle centinaia di coccodrilli prefabbricati che stanno uscendo in queste ore su tutta la stampa (specializzata e non)?
L'uomo, l'opera, il genio sono e saranno negli anni a venire sezionati ed analizzati da ogni punto di vista possibile, spunteranno biografie, saggi critici, tesi di laurea e - sicuramente - qualche libro scandalo dedicato ad amanti, pratiche commerciali poco chiare e quant'altro.

No, su Everyeye non siamo come gli altri. A noi piace pensare in maniera differente.

La chiave per capire la grandezza della figura di Steve Jobs non sta nei grandi successi che ha raccolto negli ultimi anni, e neppure nelle schiere di fan adoranti conquistate a suon di iPhone e iPad. Tutto questo è una conseguenza, semplice genialità imprenditoriale, rara, certo, ma alla fine non così unica come si potrebbe credere a prima vista. Jobs non era Apple o, almeno, la sua figura non si esaurisce e non può essere ridotta alle sorti dell'azienda di Cupertino. Chiunque conosca un po' l'uomo oltre la facciata manageriale sa benissimo che Steve non ha avuto un percorso esistenziale semplice: nato da una relazione clandestina fra un professore e una studentessa e adottato da una coppia di operai, a vent'anni sembra destinato a essere uno dei tanti hippie falliti che popolano i marciapiedi di Haight Ashbury, poi l'incontro con Steve Wozniak cambia tutto, facendo credere al ragazzo di Cupertino che, si, forse nella vita esiste qualcosa di più dei trip in acido e della cannabis. Il resto, come spesso accade è storia, ma una storia strana che trova nel fallimento più che nel successo il suo vero fascino. A ben guardare, infatti, Steve fino ai primi anni 2000 è sempre stato il perdente della situazione, quello incapace di fermarsi, sempre desideroso di spingersi un po' più in la con le sue idee troppo costose, troppo complicate, troppo moderne, troppo tutto. Geniale ma sfortunato, autoritario senza autorevolezza, crudele al limite della psicosi, Jobs ha costruito tutta la sua esistenza umana e lavorativa contando spudoratamente su se stesso, con un impeto demiurgico paragonabile solo a quello dei "padroni del vapore" ottocenteschi e infatti, seppur non l'abbia mai ammesso, era molto più vicino a un Charles Kane che al prototipo dell'imprenditore da Silicon Valley cui siamo abituati. Timidissimo nelle interviste, quasi scontroso con i fan e la stampa, non a caso solo negli ultimi anni aveva cominciato ad aprire se stesso al mondo, concedendo due interviste a Walt Mossberg del WSJ e, soprattutto, con lo straordinario discorso di Stanford del 2005. Come tutti i rivoluzionari, però, Jobs non ha mai fatto mistero della sua misantropia; amava troppo il mondo per sopportare la gente, perennemente in attesa dell'ennesima rivoluzione, incapace di vedere quello che vedeva lui, così miseramente intrappolata nella quotidianità.
Il lascito di Jobs, anche al netto del suo lavoro in Apple, è - senza falsa modestia - uno dei più straordinari del ventesimo secolo, dal punto di vista culturale, umano e industriale l'unico paragone che ci sentiamo di fare è quello con Enzo Ferrari, pur con tutte le differenze e i distinguo del caso.
Jobs non si è mai piegato a nessun compromesso, avrebbe potuto inseguire un successo facile vendendo alla gente i computer che credeva di volere oppure ritirarsi giovanissimo a vivere di rendita in qualche county nella California del Sud. Invece No. Ha combattuto trent'anni finché non è stato il mondo a cambiare, accettando finalmente la sua visione. Con lui se ne va un pezzo (enorme) di quello che fu il rinascimento degli anni '70, quella straordinaria concentrazione di genio, follia e fortuna che ha animato la California e ha portato nelle nostre case la rivoluzione digitale.
Ci saranno altre innovazioni, altri geni, altre follie ma il lascito di Jobs vive in ogni singolo pixel dei nostri computer, nel mouse che usiamo tutti i giorni e nelle nostre tasche mentre ascoltiamo musica o controlliamo l'ultima App di successo.

Forse non è esattamente l'immortalità. Ma ci siamo molto vicini.