Aumento degli impatti di asteroidi sulla Terra: la NASA osserva la Luna

Il numero di impatti di asteroidi sulla Luna e sulla Terra è aumentato di circa tre volte negli ultimi 290 milioni di anni: quale ruolo per il satellite?

Aumento degli impatti di asteroidi sulla Terra: la NASA osserva la Luna
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L'impatto di un asteroide sulla Luna avvenuto durante l'eclissi totale dello scorso 20 gennaio sembra una pura coincidenza, eppure esiste una ricerca, pubblicata il 18 gennaio scorso sulla rivista Science, che evidenzia come il numero di collisioni di asteroidi sulla Luna e sulla Terra sia aumentato di quasi tre volte negli ultimi 290 milioni di anni. Nel corso degli studi alle spalle della ricerca, è stato consultato un magnifico documento naturale: la superficie della Luna.
In questa nuova ottica, la superficie del nostro satellite è uno dei registri più completi delle collisioni di asteroidi, un "documento" che copre un arco temporale di miliardi di anni, scritto dalla Natura in persona. Passando da analisi termiche a confronti con i crateri terrestri, ecco cosa è stato scoperto e, soprattutto, come.

L'età di un sasso

Calcolare con che frequenza gli asteroidi colpiscano la Terra è da decenni uno degli obiettivi degli astronomi di tutto il mondo. Come procedono? Esistono diversi approcci: uno di questi è caratterizzato dall'osservazione dei crateri da impatto presenti nei vari continenti, cui segue un processo di datazione radiometrica delle rocce nelle vicinanze, per determinare le età delle rocce più grandi e quindi più intatte.
Tutto facile? Non proprio. Il problema è che esperti mineralogici hanno correttamente fatto notare che non è da escludere che i primissimi crateri formatisi sulla Terra siano ormai stati eliminati dall'erosione operata dai venti, dalle tempeste o da altri processi geologici. La Terra ha meno crateri "anziani" rispetto ad altri corpi nel sistema solare e la spiegazione è da ricercarsi con buona sicurezza proprio nella presenza di questi eventi atmosferici e geologici; al contempo, questa mancanza ha reso difficile trovare impronte efficaci e precise per determinare una "cronistoria" degli impatti sul nostro pianeta. Così si è deciso di osservare "un po' più in là" nello Spazio, sulla prima superficie disponibile.


La prima superficie disponibile

Un modo per aggirare questo problema è stato esaminare la superficie della Luna. È un dato di fatto che La Terra e la Luna siano colpiti in egual modo e nelle stesse proporzioni nel tempo. In generale, a causa delle dimensioni maggiori e della gravità più elevata, per ogni asteroide che impatta sulla Luna ve ne sono circa una ventina che colpiscono la Terra. Ma anche se i grandi crateri lunari hanno sperimentato una piccola erosione per miliardi di anni, offrendo agli scienziati un ambiente unico nel suo genere, non esisteva alcun modo per determinare la loro età.
Questo fino all'attivazione del Lunar Reconnaissance Orbiter. Chiamato anche LRO, è in effetti un orbiter di proprietà della NASA lanciato nel 2009 che da allora gira intorno alla Luna studiandone la superficie. L'intento è quello di creare un atlante completo delle sue caratteristiche. Dal lancio, LRO ha misurato le temperature più fredde del sistema solare all'interno dei crateri permanentemente ombreggiati della Luna, rilevando ghiaccio d'acqua nel polo sud del satellite naturale e tracce di recente attività geologica.

"Sapevamo, sin dall'esplorazione dell'Apollo della Luna di 50 anni fa, che comprendere a fondo la superficie lunare fosse un passo fondamentale per risalire alla storia del sistema solare", racconta Noah Petro, uno scienziato del progetto LRO al Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, Maryland. Tramite Petro si apprende che LRO, insieme ai nuovi lander robotizzati in fase di sviluppo alla NASA, contribuirà allo sviluppo di futuri lander e altri sistemi di esplorazione necessari agli umani per ritornare sulla superficie della Luna - e per aiutare l'agenzia a inviare astronauti su Marte.
"LRO si è dimostrato un inestimabile strumento scientifico", ha detto Petro. "Una cosa che i suoi dispositivi ci hanno permesso di fare è guardare indietro nel tempo alle forze che hanno modellato la Luna; come possiamo vedere con la rivelazione dell'impatto con l'asteroide, questo ha portato a scoperte rivoluzionarie che hanno cambiato la nostra visione della Terra ".


Ma cosa si è scoperto?

Il radiometro termico di LRO, chiamato Diviner, ha permesso di sapere quanto calore viene irradiato dalla superficie della Luna, un fattore fondamentale nella determinazione delle età dei crateri. Osservando questo calore irradiato durante la notte lunare, gli scienziati possono calcolare quanta parte della superficie è coperta da rocce grandi e calde, rispetto alle rocce di regolite più fredde e a grana fine.
Grandi crateri formati da impatti di asteroidi nell'ultimo miliardo di anni sono coperti da massi e rocce, mentre i crateri più antichi hanno poche rocce, come emerso dai dati ottenuti dallo strumento Diviner. Ciò accade perché gli impatti sformano grandi massi lunari, che si polverizzano diventando "suolo" a opera di una costante azione perpetrata da alcuni minuscoli meteoriti che costantemente "piovono" sulla superficie. Tutto questo ovviamente in centinaia di milioni di anni.

La coautrice dello studio, Rebecca Ghent, una scienziata planetaria dell'Università di Toronto e del Planetary Science Institute di Tucson, in Arizona, ha calcolato nel 2014 la velocità con cui le rocce lunari si frantumano diventando terreno lunare. Il suo lavoro ha evidenziato così una relazione tra l'abbondanza di grandi rocce vicino a un cratere e l'età del cratere stesso. Usando la tecnica di Ghent, il team ha assemblato un elenco stilato per età di tutti i crateri lunari più giovani di circa un miliardo di anni.

"In un primo momento, è stato un compito davvero meticoloso esaminare tutti questi dati e mappare i crateri, senza sapere inoltre se ci saremmo riusciti o meno", spiega Sara Mazrouei, l'autrice principale della ricerca, che ha raccolto e analizzato i dati delle analisi.
Il team ha scoperto che il tasso di formazione dei grandi crateri lunari è stato da due a tre volte superiore negli ultimi 290 milioni di anni rispetto a quanto avvenuto nei precedenti 700.
La ragione di questo aumento nel tasso di impatto è a oggi sconosciuta. Volendo azzardare alcune ipotesi, potrebbe trattarsi di un fenomeno legato a grandi collisioni avvenute più di 300 milioni di anni fa nella fascia principale degli asteroidi, tra le orbite di Marte e Giove, i cui detriti si sono ritrovati a viaggiare verso il sistema solare interno, incrociando l'orbita della Luna. E non è da escludere un coinvolgimento dello stesso Saturno, del suo sempre affascinante sistema di anelli.

La seconda notizia interessante proviene dal confronto tra l'età dei grandi crateri sulla Luna e quelli della Terra. Il loro numero e le loro età simili mettono subito in discussione la teoria secondo cui la Terra abbia perso così tanti crateri attraverso l'erosione. "La Terra ha meno crateri più vecchi nelle sue regioni più stabili non a causa dell'erosione, perché il tasso di impatto era inferiore circa 290 milioni di anni fa", spiega William Bottke, un esperto di asteroidi presso il Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado, co -autore della ricerca.

Una questione non da poco

Si pensi un attimo al dover trovare un modo per dimostrare che un minor numero di crateri significhi meno impatti anziché relegare la mancanza di crateri all'erosione da agenti atmosferici: una bella sfida. Eppure gli scienziati hanno trovato prove a supporto delle loro scoperte grazie alla collaborazione con Thomas Gernon, uno scienziato della Terra con sede all'Università di Southampton, in Inghilterra, che lavora su una caratteristica terrestre chiamata pipe kimberlite.
Questi tubi sotterranei sono vulcani estinti da molto tempo che si estendono secondo una forma "a carota", per un paio di chilometri sotto la superficie. Tramite studi di natura geologica, gli scienziati posseggono molti dati sulle età e sugli effetti dell'erosione sui tubi di kimberlite; questo perché i tubi di kimberlite sono largamente sfruttati durante le operazioni di estrazione di diamanti.
Gernon ha mostrato che i tubi di kimberlite formati circa 650 milioni di anni fa non avevano subito molta erosione nel corso dei millenni, e un parallelo con i crateri da impatto più giovani di 650 milioni di anni (soggetti a simili effetti erosivi) ha suggerito che anche questi ultimi dovevano aver esibito un comportamento simile.

Guardare lontano

Il team di Ghent, di cui faceva parte anche l'astronomo planetario del Southwest Research Institute, Alex Parker, non è stato il primo a proporre che il tasso di impatti di asteroidi sulla Terra fosse variato negli ultimi miliardi di anni. Tuttavia è stato il primo a dimostrarlo statisticamente e, soprattutto, a quantificarne il tasso di aumento.
L'elaborazione di questi strumenti statistici possono dunque essere ora utilizzati per studiare le superfici di altri pianeti, per ottenere il numero di impatti in un dato intervallo di tempo (si parla sempre di miliardi di anni) e dunque avere un quadro più generale su questi movimenti di asteroidi, per poter potenzialmente ricostruirne il percorso a ritroso, ad esempio.

Le scoperte del team potrebbero avere implicazioni nello studio dell'evoluzione della specie e in generale della vita come la conosciamo oggi, che talune volte si è ritrovata ad affrontare eventi dai risvolti imprevisti, come estinzioni di massa per via di cataclismi legati anche a fenomeni astronomici del genere.
Sebbene le meccaniche che guidano questi eventi evolutivi siano decisamente complicate e legate ad altre cause di natura geologica (come grandi eruzioni vulcaniche), combinate con fattori biologici, il team di ricerca sottolinea che gli impatti degli asteroidi hanno sicuramente giocato un ruolo nello sviluppo della vita sulla Terra.
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