"Chi ha paura del buio?": quattro chiacchiere sullo spazio e dintorni

Il costo delle missioni spaziali è spesso al centro di accesi dibattiti. La nostra intervista a "Chi ha paura del buio?", ben oltre il fattore economico.

'Chi ha paura del buio?': quattro chiacchiere sullo spazio e dintorni
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Che si tratti dei video dell'allunaggio, delle riprese di una passeggiata spaziale o del viaggio di un padre che accetta di guidare una navicella attraverso un wormhole per trovare una nuova casa per l'umanità è innegabile che le missioni spaziali abbiano sempre suscitato un fascino difficile da descrivere nella mente umana. L'idea di esplorare nuovi mondi, di mettere un piede su un terreno inesplorato, di potersi voltare a guardare il nostro pianeta allontanarsi sempre di più è qualcosa che da sempre risveglia la fantasia di scrittori, poeti e sceneggiatori desiderosi di portarci "là dove nessuno è mai giunto prima".

Tra fantasia e realtà

Ma per quanto ci si possa lasciar trasportare dal romanticismo e dalla fantasia le missioni spaziali hanno anche un aspetto più materialistico, se così possiamo dire, che non può essere certo ignorato.
Esse sono pericolose, estremamente difficili da preparare e le percentuali di fallimento possono essere elevate, quasi abbastanza da rendere ingiustificabile la quantità di soldi spesi per la loro progettazione.

E sono proprio gli investimenti richiesti a provocare le osservazioni polemiche di chi le vede come uno spreco di denaro, che potrebbe essere reinvestito per sistemare uno dei molti problemi che il nostro pianeta si trascina dietro da lungo tempo.
Abbiamo parlato di questo tema con Lorenzo Colombo, laureato in astrofisica e con un master in Divulgazione Scientifica presso la Sissa di Trieste, nonchè uno degli amministratori della pagina "Chi Ha Paura del Buio?", il quale ci ha spiegato come questa in realtà sia una visione piuttosto limitata, che non tiene conto di quanto le missioni spaziali siano state importanti per lo sviluppo di tecnologie che hanno migliorato in modo radicale la nostra vita di tutti i giorni.

Combattere la paura del buio

Everyeye: Vorrei iniziare con il chiederti di raccontarci un po' le origini del progetto "Chi ha paura del buio?"

Lorenzo: La pagina "Chi Ha Paura del Buio?" nasce nel maggio del 2012 per opera di un medico, Massimiliano Bellisario, esperto di medicina dei disastri ed astrofilo di lungo corso. Era un periodo storico in cui uno degli argomenti più discussi era la fine del mondo, anche sulla scia di quanto si diceva delle previsioni fatte dai Maya; una delle ipotesi più accreditate era quella di una potente tempesta solare come causa della fine del mondo. In un libro intitolato proprio "Chi ha Paura del Buio?", Massimiliano descrisse cosa succederebbe qualora un evento di livello Carrington colpisse la Terra al giorno d'oggi, quindi 160 anni dopo la tempesta solare che creò non pochi problemi alla tecnologia dell'epoca. E' stato stimato che una circostanza simile, senza preparazione da parte nostra, causerebbe danni per decine di migliaia di miliardi di dollari, lasciando al buio quasi 40 milioni di persone. E stiamo parlando solo della costa Est degli Stati Uniti. Il "buio" del quale il titolo parlava era proprio quello generato da questa tempesta, e nel libro veniva spiegato come le nazioni, specialmente del Nord del mondo, si stiano preparando a questo tipo di eventualità. La pagina dunque nasce con l'idea di sponsorizzare il libro, diventando poi un luogo in cui si parlava di tempeste solari e di astronomia in generale. Iniziai ad interagire sempre di più con la pagina, e dopo un po' Massimiliano chiese a me e a Matteo Miluzio di diventare co-amministratori insieme a lui, in quanto essendo io un fisico e lui un astronomo avremmo potuto portare qualcosa in più al progetto. Dal 2013 quindi io e matteo collaboriamo allo sviluppo di "Chi ha paura del buio?", nel 2018 si è poi unito Filippo Bonaventura, astrofisico e cosmologo; dopo l'abbandono per motivi personali da parte di Massimiliano noi 3 subentrammo come effettivi amministratori. Col tempo all'astronomia affiancammo temi come la geologia, la fisica, la vulcanologia, il cambiamento climatico, l'astrofisica. Ora il titolo della pagina è giustificato dal fatto che il "buio" non è più il blackout generato da un evento solare, ma l'ignoranza. Cerchiamo di combattere questo "nemico" offrendo alle persone uno spazio di confronto.

E proprio questo confronto può essere di grande aiuto per affrontare le grandi sfide davanti alle quali siamo messi davanti, come ad esempio il cambiamento climatico, cercando di vincere le paure ad esse associate attraverso l'informazione e il dialogo. L'altro grande avversario è la disinformazione, che in ambito scientifico spesso crea dei danni maggiori di quanto si possa pensare e in questo il giornalismo non sempre riesce ad essere d'aiuto. La tendenza ora è quella di cercare sempre "l'altra campana", ossia che deve esserci sempre un contrasto tra opinioni lasciando al lettore il compito di decidere quale delle due sia quella migliore. Questo espone il fianco a diverse problematiche. In primo luogo credo che non esista un giornalismo imparziale, qualsiasi racconto è condizionato da idee personali che vengono riflesse nel modo di trattare un argomento. Le opinioni contrastanti poi hanno ovviamente diritto di esistere, ma esse devono tutte passare attraverso un confronto con i fatti che smentirà, anche solo parzialmente, una delle due; l'idea delle due "campane" obbliga il giornalista di turno a cercare un parere avverso a quello riconosciuto ufficialmente dalla comunità scientifica, mettendo sullo stesso piano le due opinioni. Questo è un errore ideologico molto forte, in quanto non va a presentare la situazione per quella che è. Durante la pandemia è successo esattamente questo, con ogni partito politico che si è scelto l'epidemiologo di riferimento ritenuto più affine.

Everyeye: Qual è il rapporto con la vostra community?

Lorenzo: Abbiamo un gran bel rapporto con la nostra community. Dal 2016 in poi abbiamo assistito ad una notevole crescita del bacino d'utenza della nostra pagina, con persone che si aggiungevano dimostrandosi subito interessate ad interagire e mantenere viva la discussione. Col tempo i nostri post hanno iniziato a suscitare l'interesse dell'algoritmo che ha iniziato a proporci maggiormente ad un numero sempre crescente di utenti, il che ci ha aiutati ad accogliere sempre più utenti. Probabilmente una cosa che gioca a nostro favore, almeno spero sia così, è il modo in cui noi abbiamo scelto di fare divulgazione scientifica. Il grosso del nostro lavoro avviene su Facebook, anche se abbiamo iniziato ad espanderci anche su altri social come Instagram. Durante il lockdown abbiamo poi iniziato a fare diverse dirette, che vengono poi caricate su YouTube, in alcuni casi dedicate esplicitamente alla community, altre volte vengono organizzate con dei temi ben precisi, con anche alcuni ospiti nazionali ed internazionali. Abbiamo fatto anche delle live osservative, ed anche eventi dedicati ai lanci spaziali per seguire le missioni dedicate all'esplorazione dell'atmosfera bassa del nostro PIaneta e speriamo presto quelle del programma Artemis, che riporterà l'uomo sulla Luna.

Il costo dell'esplorazione

Everyeye: Parlando proprio di missioni spaziali capita spesso di sentire affermazioni come "Ma perchè i soldi investiti per andare nello spazio non li investiamo per risolvere i problemi che abbiamo qui sulla Terra?". Che cos'è che, secondo te, genera un pensiero simile che di fatto relega l'esplorazione spaziale ad un qualcosa cui si dovrebbe rinunciare in quanto "i problemi veri sono altri"?

Lorenzo: La risposta probabilmente sta nel fatto che l'esigenza di pianificare una missione spaziale viene visto come qualcosa di "lontano", che avviene al prezzo di enormi costi, e che non sembra dare un ritorno concreto per il miglioramento della nostra vita. Questi pensieri portano a chiedersi perché spendere 4 miliardi di dollari per un razzo come lo Space Launch System per portare due persone sulla Luna a scattare qualche foto per poi tornare indietro. Questa questione ha le sue radici nella nostra storia, nella nostra percezione della società e dell'economia. Quando chiesero a George Mallory perché volesse organizzare una costosissima spedizione per raggiungere la cima dell'Everest la risposta fu lapidaria: "Perché è lì". Non c'era bisogno di altre motivazioni oltre a quella del suo essere raggiungibile. Quindi una prima parte della risposta alla domanda "Perché lo facciamo?" risiede proprio nel desiderio innato dell'umanità di esplorare, di andare dove non si è mai stati prima e di affrontare sfide che altrimenti non ci si porrebbe nemmeno. Quando i primi Lord inglesi vennero a scalare le nostre Alpi gli abitanti delle valli li guardavano straniti, non comprendendo perché un uomo volesse recarsi in un posto tanto inospitale come la vetta di una montagna. E il motivo era proprio questa voglia di esplorare. Oltre a questo sentimento sicuramente anche la disperazione, la volontà o necessità di raggiungere nuovi luoghi e nuove risorse è sempre stata un motore in grado di spingere l'uomo oltre i suoi limiti e le sue conoscenze.

Basti pensare alla storia delle migrazioni dall'Africa, con generazioni che cercavano di andare oltre i confini raggiunti dai predecessori. Una parte più filosofica della risposta alla domanda di partenza può essere quindi la volontà, per diverse ragioni, di raggiungere luoghi dove non siamo mai stati prima. Questa spinta ovviamente può nascere anche dalla politica; c'è tutto l'interesse da parte, ad esempio, degli Stati Uniti di mantenere la loro predominanza tecnologica e culturale nel campo dell'esplorazione spaziale, con la Cina che però gli sta con il fiato sul collo. Pensiamo alla recente missione marziana Tianwen-1, che comprendeva un orbiter, un lander ed un rover che è stata un successo al primo colpo. Da un lato quindi c'è il bisogno umano di esplorare, dall'altro la necessità di mostrare una superiorità. L'unione di questi due elementi ci ha portato al programma Apollo, con la comunità scientifica che spingeva per un discorso di esplorazione e scoperta e la politica che voleva una volta di più dimostrare la propria forza.
Infine resta da analizzare il discorso del ritorno economico di queste missioni, che vediamo davanti ai nostri occhi ogni giorno. Comprendo perfettamente il pensiero di chi vorrebbe dirottare le risorse investite nei programmi spaziali per il contrasto di problemi come la fame nel mondo o il sostegno a chi è stato messo in difficoltà dai diversi eventi che si sono succeduti negli ultimi anni e non solo. Analizzando però l'effettiva ricaduta della ricerca per le missioni spaziali scopriamo come diversi ambiti delle nostre vite hanno subito degli stravolgimenti più o meno evidenti. Pensiamo alla miniaturizzazione dei computer, nata dalla necessità di permettere agli astronauti di portare con loro della strumentazione che non poteva avere le stesse dimensioni che aveva normalmente sulla Terra. La grande sfida dell'Allunaggio ha generato una spinta tecnologica senza la quale probabilmente non avremmo visto alcune scoperte, invenzioni ed innovazioni che ora ci supportano in diversi modi nella nostra quotidianità. Non sto dicendo che senza il programma Apollo non avremmo avuto i presupposti per la nascita della tecnologia dei cellulari, ma magari il tutto sarebbe arrivato più in là nel tempo, con condizioni diverse e magari più dispendiose.

E' indubbiamente qualcosa su cui potremmo fare infinite ipotesi volendo, ma è chiaramente visibile come questa spinta ci sia stata e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Volendo parlare di numeri, invece, è stato calcolato che per ogni dollaro investito nella ricerca spaziale ne vengono generati tre di economia diretta e tra i sette e gli otto di economia indiretta. Prendiamo lo Space Launch System; i quattro miliardi di dollari spesi per la realizzazione hanno quindi creato dodici miliardi di dollari in brevetti, posti di lavoro, appalti per imprese specializzate e circa 48 miliardi in economia indiretta, il tutto solamente dalle innovazioni tecnologiche raggiunte per ottenere lo scopo che ci si era prefissati. Pensiamo anche a SpaceX, che reinveste in se stessa i suoi ricavi, che in 10 anni è cresciuta dal nulla fino a diventare un punto di riferimento assoluto nell'ambito tecnologico.
Possiamo dire quindi che l'andare nello spazio non è soltanto legato al desiderio di esplorare o al voler mostrare la propria potenza, ma anche per l'importantissimo ritorno tecnologico. Uno dei più evidenti riguarda ad esempio le mammografie. Quando nel 1990 il telescopio spaziale Hubble venne lanciato nello spazio aveva un enorme difetto nel suo funzionamento, il quale suscitò non poche critiche al modo in cui la NASA aveva speso i soldi dei contribuenti. Questo problema venne risolto mettendo gli "occhiali" ad Hubble, ma nei due o tre anni necessari allo studio e alla messa in pratica di questa soluzione vennero studiati degli algoritmi numerici di analisi immagine in grado di rielaborare le foto scattate, in modo tale da renderle il meno sfocate possibile. L'uso di questi algoritmi non si fermò al telescopio spaziale ma ne troviamo un'applicazione nelle tecniche di deconvoluzione delle mammografie, che permettono di ottenere immagini più nitide e precise tramite le quali i medici possono identificare eventuali pre-sintomi del tumore al seno. Quindi se non fosse stato per il problema dell'Hubble non avremmo potuto avere tutto questo, o magari lo avremmo avuto in tempi più lunghi. All'elenco potremmo aggiungere il velcro, i materassi in memory foam, il teflon che troviamo nelle padelle antiaderenti. Anche una parte delle tecnologie di depurazione dell'acqua derivano dagli studi condotti per il riciclo dell'acqua della stazione spaziale. Una visuale dallo spazio inoltre ci permette di studiare il nostro pianeta in un modo unico, permettendoci di comprendere al meglio il cambiamento climatico. Esiste in ogni caso un sito web che raccoglie tutti i brevetti depositati dalla NASA e derivanti dalla ricerca associata all'esplorazione spaziale che hanno avuto una ricaduta sulla nostra vita quotidiana.

Il futuro dell'esplorazione

Everyeye: Le future missioni spaziali ci porranno di fronte a nuove sfide sempre più complesse da affrontare. Pensiamo ad esempio allo studio delle missioni che porteranno l'uomo su Marte, e alla lunga serie di nuove problematiche che dovranno essere analizzate e risolte risolte. Vi sono già indizi su quali nuove tecnologie sono allo studio, quali nuove scoperte sono state fatte in ambito tecnologico e non solo proprio grazie alla spinta di una missione come questa oppure il tutto è ancora protetto dal riserbo più totale?

Lorenzo: L'esplorazione marziana ci porrà di fronte ad alcune sfide piuttosto complesse. Tanto per iniziare dovremo costruire una navicella in grado di proteggere e far sopravvivere i suoi occupanti per circa due anni. Ci sarà poi un elemento psicologico molto importante da affrontare, con gli astronauti che dovranno affrontare la missione consapevoli del lungo tempo che trascorreranno isolati all'interno di questo veicolo spaziale, e che in caso di problemi soccorrerli sarebbe molto complesso. Le nostre tecnologie verranno messe a dura prova: l'habitat marziano dovrà essere adeguatamente schermato dalle radiazioni, visto che il campo magnetico del Pianeta Rosso non è in grado di fornire una protezione come invece fa perfettamente quello terrestre. Pensiamo poi all'acquisizione della capacità di convertire la CO2 in ossigeno che sarebbe fondamentale per rendere Marte abitabile e per combattere il cambiamento climatico qui sulla Terra, agli sviluppi nell'ambito della gestione dei campi magnetici, alle migliorie nei sistemi di propulsione dei veicoli spaziali.
In tutti questi casi si parla comunque di qualcosa che avrà un ritorno a lungo, addirittura lunghissimo termine, e probabilmente la società non è ancora pronta a ragionare in questi termini. Però è importante capire che tarparci le ali dicendo che esplorare lo spazio "costa troppo" significa essenzialmente limitare la propria conoscenza, privandola di tutte quelle scoperte che questa impresa potrebbe comportare.

Il dibattito continua

Everyeye: Ritieni la vostra community sufficientemente matura da avere una visione che implica la comprensione delle ricadute sociali, tecnologiche e scientifiche che le missioni spaziali hanno sia a breve sia a lungo termine?

Lorenzo: La community a noi più affezionata è abituata a discutere di certe tematiche e quindi è più incline a certi ragionamenti. Quando però si scontrano delle bolle comunicative diverse il rischio è quello di arrivare alla "tribalizzazione", cioè con fazioni che si basano su idee che non possono essere contestate altrimenti si diventa dei nemici.

Noi questa cosa la vediamo accadere alle volte nelle discussioni che nascono sotto ai nostri post o durante le live, quando persone esterne a quel gruppo di utenti a noi affezionato, e che non hanno magari seguito dal principio un discorso che viene affrontato in diversi eventi, si inseriscono con delle domande che da alcuni vengono prese per delle provocazioni, mentre invece magari indicano solo una mancanza di competenza nell'ambito di riferimento del discorso. La scienza si basa sulla comunicazione orizzontale, sulla discussione. Il modello che vede come modalità quella del professore che sale in cattedra e ti considera un ignorante crea dei muri insormontabili per proteggere le proprie opinioni ma che di fatto minano l'efficacia del dibattito. Il grande dispiacere è quando la nostra community non riesce a comunicare con utenti che vengono dall'esterno. Io considero benvenuti i commenti che mettono in discussione le nostre idee, a condizione che chiaramente ne nasca una discussione intelligente e non una rissa verbale sterile. La nostra community è sensibilizzata su questi argomenti, è propositiva, ma il rischio dello scontro con gli "esterni" è sempre esistente. La scienza vive grazie alla capacità di mettersi in discussione, di dare ad ognuno la possibilità di contestare un'idea presentata. Bisogna però ricordarsi che più è importante ciò che si va a contestare o discutere e più importanti dovranno essere le prove portate a sostegno di questa critica. Prendendo in prestito le parole pronunciate da Carl Sagan: "Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie."

Non esiste un modo corretto a prescindere per affrontare il tema dell'esplorazione spaziale. Facilmente ci ritroveremo ad assistere a dibattiti, dai toni più o meno accesi, tra chi non vede altro che l'amore per la scoperta e chi invece soltanto un conto estremamente salato da pagare. E magari a quel punto, per provare ad isolarsi da tutto questo, una soluzione potrebbe essere alzare gli occhi verso la volta celeste e provare a lasciarsi trascinare dalla propria fantasia e dalle proprie genuine emozioni.

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