Cambridge Analytica ha creato una cicatrice nell'immagine pubblica di Facebook. L'incidente, forse per la prima volta, ha sottratto la regia della narrazione dietro al social dalle mani di Mark Zuckerberg. Qualcosa è cambiato, non c'è dubbio, forse per sempre. Addirittura grandi aziende si sono scagliate contro il social network, pensiamo ad esempio alla decisione di Elon Musk di cancellare le pagine delle sue aziende, una scelta replicata anche da altre realtà tra cui Playboy. A ogni modo nessuna delle due compagnie ha abbandonato Instagram, sempre di proprietà di Facebook. Prova che più che di guerrilla contro la datocrazia sarebbe corretto parlare di brillanti scelte di marketing.
Tutti contro Facebook

Anche i quotidiani si sono accaniti contro Facebook: sul The Guardian, a cui si deve l'inchiesta che ha fatto scoppiare il bubbone, lo scorso venerdì è stato pubblicato un pezzo a firma della redazione dove si diceva che è giunto il momento di inasprire le regolamentazioni contro la piattaforma. "I dati in possesso di Facebook sono una finestra diretta sull'anima dei suoi utenti", si legge sul quotidiano britannico. "Grazie a questi è possibile ricostruire la loro personalità con una precisione superiore a quella di cui sarebbero capaci perfino i loro parenti, capire questo è cruciale per comprendere perché i governi devono avere un ruolo nella salvaguardia della privacy". Ma non solo, in questi giorni non c'è stata testata - generalista o legata al Tech, internazionale o addirittura italiana - che non abbia prodotto articoli in cui si spiega come cancellarsi, definitivamente, dal social. Una sorta di resa dei conti, con un settore che deve grossa parte dei cali degli introiti degli ultimi dieci anni agli over the top - a partire da Facebook - e che ora può togliersi più di qualche sassolino dalla scarpa.

Chi altro? Ovviamente anche i competitor - pardon, wannabe competitor - del social, sia Diaspora (che ha bombardato il social di Zuckerberg con ads dove si invitava a cancellarsi da Facebook) che Vero si sono messi in trincea e hanno usato l'incidente per ribadire la loro estraneità al business model data-centrico. Insomma, tutte società che stanno pazientemente aspettando il cadavere del nemico in riva al fiume. Certo questo cadavere è piuttosto in ritardo e, forse, non arriverà mai.
Le class action e le indagini della politica
Sono ben quattro le azioni legali mosse contro Facebook nel solo Stato della California, da quando è scoppiato il caso Cambridge Analytica. C'è Lauren Price, donna del Maryland, che ha avviato una class action in rappresentanza degli oltre 50 milioni di americani i cui dati sono stati usati da Cambridge Analytica. Poi c'è la causa contro lo stesso CEO Mark Zuckerberg e il CFO David Wehner mossa dai due azionisti di Facebook Fan Yuan e Robert Casey. Sempre in rappresentanza degli azionisti si è mosso l'avvocato Jeremiah Hallisey. Il gruppo di investitori punta il dito contro i vertici Zuckerberg, Sandberg e il consiglio d'amministrazione: "Non solo hanno fallito nell'impedire l'uso illecito dei dati, non hanno detto agli utenti cosa è successo, violando il rapporto di fiducia". L'obiettivo è quello di farsi rimborsare per le perdite finanziare dovute alla gestione claudicante della vicenda da parte dell'amministrazione.

Le rivelazioni della stampa hanno attirato anche l'attenzione delle autorità. La Federal Trade Commission ha annunciato di aver avviato delle indagini sulla condotta della compagnia. "La FTC ha preso seriamente i report della stampa che hanno evidenziato importanti preoccupazioni sulle pratiche di Facebook in materia di privacy", si legge nella nota rilasciata dall'agenzia. Se l'azienda sarà ritenuta colpevole di aver violato le policy in materia, rischia una sanzione che ammonterebbe a un massimo di 40.000$ per ogni singola violazione. Anche il Regno Unito chiama Facebook a rispondere delle sue responsabilità, una commissione del Parlamento britannico ha richiesto a Zuckerberg di testimoniare sulle politiche della sua azienda. Non è detto che il CEO decida di comparire davanti ai parlamentari del Regno Unito, ma lo farà sicuramente negli Stati Uniti: Zuckerberg, che pure ha rifiutato una simile richiesta da parte della commissione investigativa del Senato, sarà sentito dalla commissione Energia e commercio del Congresso americano.
La strategia di Facebook per contenere i danni
La compagnia è così entrata in full-damage control. Facebook la scorsa domenica ha acquistato un'intera pagina su ben nove quotidiani, sette inglesi e due statunitensi. "Grazie per la vostra fiducia nella nostra community, vi prometto che farò molto di più per voi", si legge nella "pubblicità" a firma Mark Zuckerberg su cui campeggia a grandi caratteri la scritta "We have a responsibility to protect your information, if we can't, we don't deserve it". "[La vicenda Cambridge Analytica] è stata una breccia nel rapporto di fiducia, non abbiamo fatto abbastanza per impedirlo e vi chiedo scusa, stiamo lavorando per assicurarci che questo non accada più". Lo scorso 21 marzo il CEO di Facebook si è prestato anche a un'intervista in esclusiva sulla CNN per chiarire la sua posizione. Se con una mano si cerca di mettere in salvo la reputazione del social, con l'altra l'azienda cerca di portare Washington dalla sua. In questi giorni - lo riporta il The Guardian - Facebook sta assumendo nuovi lobbisti da mandare nella capitale statunitense. Evidentemente una nuova regolamentazione è nell'aria, compito dell'azienda sarà quello di dissuadere i legislatori dal calcare eccessivamente la mano con misure draconiane.
