C'è un problema: la rete Ethereum è in ostaggio di un giochino che si basa sul creare gattini virtuali con la possibilità di scambiarli con altri giocatori in cambio di cuccioli più rari o denaro. Un po' tamagotchi, un po' pensione Pokémon (il trucco sta nel farli accoppiare tra di loro con la speranza di crearne di più insoliti e rari), CryptoKitties è riuscito a crearsi una folta schiera di giocatori appassionati e più di qualcuno ci sta anche facendo dei soldi sopra. Peccato che questo abbia intasato il network su cui si regge il sistema Ethereum.
Di cosa stiamo parlando
Cryptokitties viene definito dai suoi stessi creatori, la compagnia Axiom Zen, come uno dei primi giochi al mondo ad essere basato sulla blockchain. La stessa tecnologia dietro ai Bitcoin e agli Ether, solo che in questo caso non si parla di criptovalute ma di pet virtuali collezionabili. L'identià di ogni gatto è garantita da un codice a 256 bit registrato in modo indelebile sulla blockchain. In questo modo il titolo garantisce il fatto di essere "gli esclusivi ed unici possessori" dei singoli gattini virtuali. Ad ogni cryptokittie è poi associato un valore numerico, la sua generazione, che ne definisce la rarità: più basso è il numero, più prestigioso e prezioso sarà il vostro animale virtuale. In modo simile ai Bitcoin, anche i Cryptokittie sono pensati per essere un bene a numero determinato e finito: ogni 15 minuti il protocollo dietro al gioco ne crea uno nuovo, una volta creata la prima generazione di gatti virtuali, l'unico modo per generarne di nuovi sarà quello di farli accoppiare tra di loro. Ogni gatto ha le sue caratteristiche uniche, una sorta di patrimonio genetico che va dal colore del felino al tempo di attesa che si deve aspettare affinché possa creare un cucciolo. Più basso sarà il numero di ore da aspettare, maggiore sarà il valore del gatto dato che permetterà di crearne di nuovi (da scambiare e vendere) con maggiore frequenza. Axiom Zen prende molto seriamente la questione degli "incroci genetici": l'azienda ha assicurato che tutte le persone a conoscenza dei segreti dell'algoritmo del gioco -e, quindi, consapevoli delle strategie da seguire per creare gatti di maggiore valore- non possono partecipare. Al momento esistono già numerosi siti che tentano di fare ordine nell'universo dei gattini virtuali, cercando di isolare i singoli geni di cui sono composti e facendo il calcolo della rarità di ogni singola caratteristica: su CryptoKittydex.com, ad esempio, sono elencate tutta una serie di tratti unici e stravaganti, ad esempio esistono gattini con un look da "serpente" -secondo al sito sono lo 0.031% dei pet generati ad oggi, con un valore in media del 200% più alto dei gatti comuni-, ma anche con denti da vampiro, baffi alla Dalì e molto altro.
Il motivo del successo di Crypotkitties è chiaro: il gioco sfrutta quell'innata tendenza propria dell'uomo ad accumulare e collezionare. Una volta era la caccia, nata per necessità e poi diventata un vezzo: l'adrenalina della ricerca, dello stanare l'animale di turno e, quindi, la fucilata con cui ci si aggiudica il trofeo. Non più la cena, ma una maestosa bestia da impagliare ed esporre in salotto per impressionare amici e parenti. "Oh, quella? Una volpe albina delle campagne scozzesi, pensate che la disgraziata ha fatto penare i miei cani per due notti e un giorno oh-oh-oh". Già, molto agghiacciante, ma per fortuna alla caccia di bestie sciagurate presto si sono sostituiti i tappi di bottiglia, le monete antiche e, ovviamente, le figurine: giocatori di baseball, calciatori, personaggi dei film e cose alla Yugi-Oh. Poi una ulteriore metamorfosi, l'arrivo della smaterializzazione e del virtuale: i Pokèmon, appunto, con gli scambi tra giocatori parte integrante del gameplay (ve li ricordate Alakazam e Machamp? Ovvio che sì), non più le carte fisiche di un Magic, ma quelle virtuali di Hearthstone e così via. Insomma, Cryptokitties poggia su un terreno ampiamente collaudato e su un nutrito gruppo di persone che per questa caccia, ovviamente sempre più metaforica (diciamo che comprare e sbustare un pacchetto di Magic non richiede la fatica di stanare un leone nella Savana, diciamo...), ci vanno semplicemente matti. Peraltro in questo gruppo ci rientra pure chi scrive, che, infatti, sta seriamente pensando di mollare tutto, aprirsi un wallet Ethereum e diventare un broker di gatti virtuali.
La rete Ethereum intasata da un giochino
Questo boom pazzesco però ha creato anche qualche problemino: ci sono stati alcuni momenti in cui gli smart contracts relativi al gioco hanno rappresentato da soli il 15% del traffico totale della piattaforma, costringendo i possessori di ether ad aspettare anche diverse ore per vedersi confermate le proprie transazioni. Come raccontato dai ragazzi di Axiom Zen a Bloomberg, uno degli obiettivi del gioco era quello di rendere la tecnologia blockchain più attrattiva e accessibile anche alle persone con scarse conoscenze di tecnologia. Un'ambizione estremamente nobile, eppure paradossalmente questo giochino ha colpevolmente intasato il network Ethereum complicando parecchio la vita a quelle persone che dovevano compiere transazioni economiche probabilmente più rilevanti di qualche gatto virtuale. Axiom Zen ha cercato di ridurre il peso del gioco andando ad incrementare le commissioni che l'azienda si intasca ogni volta che viene generato un nuovo animale.
La bolla dei gattini?
Ok, è un'idea simpatica e un sacco di persone si sono fatte intrippare. Ma quanto vale il mercato di questi dannati gatti virtuali? Un sacco di soldi. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, il sito CryptoKitties Sales segnala un totale 217.599 transazioni, con 171.512 gatti virtuali unici venduti (a prova che esiste una sorta di speculazione, con persone che acquistano ad un prezzo nella speranza di rivenderne ad un altro) e un giro di denaro complessivo pari a 35487.40 ether, ossia oltre 17 milioni di dollari. Il prezzo medio di un gatto, ci indica Cryptokittie Sales, è di 79.83$. Ma ci sono gatti che valgono anche un centino di miglia di dollari: sono i gatti "fondatori", i primi 100 ad essere stati creati dal gioco. Il sito, ad esempio, ci indica che il primissimo gatto, Genesis, è stato venduto il 2 dicembre ad un prezzo di 114.000$. Stranamente non è nemmeno il più costoso, il primo posto è occupato dal diciottesimo gatto creato dal gioco "founder cat #18" che oggi vale 174.802$. E non mancano, ovviamente, storie interessanti di gente che capendo i meccanismi di questo gioco è riuscita a farci su qualche soldo, come quella di un imprenditore texano di 30 anni, "Todd", raccontata lo scorso 13 dicembre da The Verge. Secondo il sito, questo speculatore che era già riuscito ad accumulare una discreta fortuna investendo in bitcoin ed ethereum nelle loro rispettive primissime fasi, avrebbe comprato per 4.800$ OldLace, gatto che sarebbe poi riuscito a rivendere a 30 ether. 4.800$ non sono esattamente pochi e, infatti, lo stesso Todd spiega a The Verge che quello della speculazione sui CryptoKitties è un gioco con forti barriere d'accesso. Non una cosa che si può permettere qualsiasi persona, specie se non ha a sua disposizione un capitale di un certo tipo e -se ci possiamo permettere- una discreta quantità di follia, nel senso più buono del termine. Ed è sempre Todd a sostenere che il gioco sia particolarmente speculativo e instabile: "è difficile ipotizzare se siamo solo agli inizi o se questa cosa sarà ancora popolare nell'arco di due settimane da oggi", argomenta, infatti, il texano.
Insomma, dopo la "bolla dei Bitcoin" preparatevi a sentire parlare nelle prossime settimane della bolla dei Crypokitties: il paragone che si sente fare più spesso è con i Beanie Babies, una linea di giocattoli -sempre ispirati ad animali- diventati estremamente popolari negli anni 90. I Beanie Babies erano ambiti dai collezionisti perché ogni design era prodotto in quantità limitata in modo da farli andare out of stock in tempi relativamente rapidi. La conseguenza è che molti di questi peluche avevano raggiunto valori semplicemente folli. In moltissimi hanno cominciato ad investirci ingenti quantità di denaro, nella speranza di poterli rivendere a valori ancora più alti. Morale? Un sacco di persone hanno riempito le proprie soffitte di questi animali e, nel momento in cui si trattava di rivenderli e guadagnarci, hanno, loro malgrado, scoperto che non c'era nessuno disposto a riacquistarli. Una storia divertente, non fosse che c'è stata gente che ci ha perso cifre enormi. Sarà così anche per i CryptoKitties? Probabile, ma noi, ovviamente, speriamo proprio di no. Volete mettere con l'idea di vivere in una distopia post-nucleare dove l'unica valuta accettata sono gattini digitali registrati nella blockchain? Lasciateci sognare, e viva i Cryptokitties.
Cryptokitties: la storia dei gattini che hanno intasato il network Ethereum
Dimenticate i bitcoin: ora potete guadagnare scambiando gatti virtuali registrati sulla blockchain di Ethereum.
C'è un problema: la rete Ethereum è in ostaggio di un giochino che si basa sul creare gattini virtuali con la possibilità di scambiarli con altri giocatori in cambio di cuccioli più rari o denaro. Un po' tamagotchi, un po' pensione Pokémon (il trucco sta nel farli accoppiare tra di loro con la speranza di crearne di più insoliti e rari), CryptoKitties è riuscito a crearsi una folta schiera di giocatori appassionati e più di qualcuno ci sta anche facendo dei soldi sopra. Peccato che questo abbia intasato il network su cui si regge il sistema Ethereum.
Di cosa stiamo parlando
Cryptokitties viene definito dai suoi stessi creatori, la compagnia Axiom Zen, come uno dei primi giochi al mondo ad essere basato sulla blockchain. La stessa tecnologia dietro ai Bitcoin e agli Ether, solo che in questo caso non si parla di criptovalute ma di pet virtuali collezionabili. L'identià di ogni gatto è garantita da un codice a 256 bit registrato in modo indelebile sulla blockchain. In questo modo il titolo garantisce il fatto di essere "gli esclusivi ed unici possessori" dei singoli gattini virtuali. Ad ogni cryptokittie è poi associato un valore numerico, la sua generazione, che ne definisce la rarità: più basso è il numero, più prestigioso e prezioso sarà il vostro animale virtuale. In modo simile ai Bitcoin, anche i Cryptokittie sono pensati per essere un bene a numero determinato e finito: ogni 15 minuti il protocollo dietro al gioco ne crea uno nuovo, una volta creata la prima generazione di gatti virtuali, l'unico modo per generarne di nuovi sarà quello di farli accoppiare tra di loro.
Ogni gatto ha le sue caratteristiche uniche, una sorta di patrimonio genetico che va dal colore del felino al tempo di attesa che si deve aspettare affinché possa creare un cucciolo. Più basso sarà il numero di ore da aspettare, maggiore sarà il valore del gatto dato che permetterà di crearne di nuovi (da scambiare e vendere) con maggiore frequenza. Axiom Zen prende molto seriamente la questione degli "incroci genetici": l'azienda ha assicurato che tutte le persone a conoscenza dei segreti dell'algoritmo del gioco -e, quindi, consapevoli delle strategie da seguire per creare gatti di maggiore valore- non possono partecipare.
Al momento esistono già numerosi siti che tentano di fare ordine nell'universo dei gattini virtuali, cercando di isolare i singoli geni di cui sono composti e facendo il calcolo della rarità di ogni singola caratteristica: su CryptoKittydex.com, ad esempio, sono elencate tutta una serie di tratti unici e stravaganti, ad esempio esistono gattini con un look da "serpente" -secondo al sito sono lo 0.031% dei pet generati ad oggi, con un valore in media del 200% più alto dei gatti comuni-, ma anche con denti da vampiro, baffi alla Dalì e molto altro.
Il motivo del successo di Crypotkitties è chiaro: il gioco sfrutta quell'innata tendenza propria dell'uomo ad accumulare e collezionare. Una volta era la caccia, nata per necessità e poi diventata un vezzo: l'adrenalina della ricerca, dello stanare l'animale di turno e, quindi, la fucilata con cui ci si aggiudica il trofeo. Non più la cena, ma una maestosa bestia da impagliare ed esporre in salotto per impressionare amici e parenti. "Oh, quella? Una volpe albina delle campagne scozzesi, pensate che la disgraziata ha fatto penare i miei cani per due notti e un giorno oh-oh-oh". Già, molto agghiacciante, ma per fortuna alla caccia di bestie sciagurate presto si sono sostituiti i tappi di bottiglia, le monete antiche e, ovviamente, le figurine: giocatori di baseball, calciatori, personaggi dei film e cose alla Yugi-Oh. Poi una ulteriore metamorfosi, l'arrivo della smaterializzazione e del virtuale: i Pokèmon, appunto, con gli scambi tra giocatori parte integrante del gameplay (ve li ricordate Alakazam e Machamp? Ovvio che sì), non più le carte fisiche di un Magic, ma quelle virtuali di Hearthstone e così via. Insomma, Cryptokitties poggia su un terreno ampiamente collaudato e su un nutrito gruppo di persone che per questa caccia, ovviamente sempre più metaforica (diciamo che comprare e sbustare un pacchetto di Magic non richiede la fatica di stanare un leone nella Savana, diciamo...), ci vanno semplicemente matti. Peraltro in questo gruppo ci rientra pure chi scrive, che, infatti, sta seriamente pensando di mollare tutto, aprirsi un wallet Ethereum e diventare un broker di gatti virtuali.
La rete Ethereum intasata da un giochino
Questo boom pazzesco però ha creato anche qualche problemino: ci sono stati alcuni momenti in cui gli smart contracts relativi al gioco hanno rappresentato da soli il 15% del traffico totale della piattaforma, costringendo i possessori di ether ad aspettare anche diverse ore per vedersi confermate le proprie transazioni. Come raccontato dai ragazzi di Axiom Zen a Bloomberg, uno degli obiettivi del gioco era quello di rendere la tecnologia blockchain più attrattiva e accessibile anche alle persone con scarse conoscenze di tecnologia. Un'ambizione estremamente nobile, eppure paradossalmente questo giochino ha colpevolmente intasato il network Ethereum complicando parecchio la vita a quelle persone che dovevano compiere transazioni economiche probabilmente più rilevanti di qualche gatto virtuale. Axiom Zen ha cercato di ridurre il peso del gioco andando ad incrementare le commissioni che l'azienda si intasca ogni volta che viene generato un nuovo animale.
La bolla dei gattini?
Ok, è un'idea simpatica e un sacco di persone si sono fatte intrippare. Ma quanto vale il mercato di questi dannati gatti virtuali? Un sacco di soldi. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, il sito CryptoKitties Sales segnala un totale 217.599 transazioni, con 171.512 gatti virtuali unici venduti (a prova che esiste una sorta di speculazione, con persone che acquistano ad un prezzo nella speranza di rivenderne ad un altro) e un giro di denaro complessivo pari a 35487.40 ether, ossia oltre 17 milioni di dollari. Il prezzo medio di un gatto, ci indica Cryptokittie Sales, è di 79.83$. Ma ci sono gatti che valgono anche un centino di miglia di dollari: sono i gatti "fondatori", i primi 100 ad essere stati creati dal gioco. Il sito, ad esempio, ci indica che il primissimo gatto, Genesis, è stato venduto il 2 dicembre ad un prezzo di 114.000$. Stranamente non è nemmeno il più costoso, il primo posto è occupato dal diciottesimo gatto creato dal gioco "founder cat #18" che oggi vale 174.802$. E non mancano, ovviamente, storie interessanti di gente che capendo i meccanismi di questo gioco è riuscita a farci su qualche soldo, come quella di un imprenditore texano di 30 anni, "Todd", raccontata lo scorso 13 dicembre da The Verge. Secondo il sito, questo speculatore che era già riuscito ad accumulare una discreta fortuna investendo in bitcoin ed ethereum nelle loro rispettive primissime fasi, avrebbe comprato per 4.800$ OldLace, gatto che sarebbe poi riuscito a rivendere a 30 ether. 4.800$ non sono esattamente pochi e, infatti, lo stesso Todd spiega a The Verge che quello della speculazione sui CryptoKitties è un gioco con forti barriere d'accesso. Non una cosa che si può permettere qualsiasi persona, specie se non ha a sua disposizione un capitale di un certo tipo e -se ci possiamo permettere- una discreta quantità di follia, nel senso più buono del termine. Ed è sempre Todd a sostenere che il gioco sia particolarmente speculativo e instabile: "è difficile ipotizzare se siamo solo agli inizi o se questa cosa sarà ancora popolare nell'arco di due settimane da oggi", argomenta, infatti, il texano.
Insomma, dopo la "bolla dei Bitcoin" preparatevi a sentire parlare nelle prossime settimane della bolla dei Crypokitties: il paragone che si sente fare più spesso è con i Beanie Babies, una linea di giocattoli -sempre ispirati ad animali- diventati estremamente popolari negli anni 90. I Beanie Babies erano ambiti dai collezionisti perché ogni design era prodotto in quantità limitata in modo da farli andare out of stock in tempi relativamente rapidi. La conseguenza è che molti di questi peluche avevano raggiunto valori semplicemente folli. In moltissimi hanno cominciato ad investirci ingenti quantità di denaro, nella speranza di poterli rivendere a valori ancora più alti.
Morale? Un sacco di persone hanno riempito le proprie soffitte di questi animali e, nel momento in cui si trattava di rivenderli e guadagnarci, hanno, loro malgrado, scoperto che non c'era nessuno disposto a riacquistarli. Una storia divertente, non fosse che c'è stata gente che ci ha perso cifre enormi. Sarà così anche per i CryptoKitties? Probabile, ma noi, ovviamente, speriamo proprio di no. Volete mettere con l'idea di vivere in una distopia post-nucleare dove l'unica valuta accettata sono gattini digitali registrati nella blockchain? Lasciateci sognare, e viva i Cryptokitties.
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