Dreamcast: alla scoperta dell'hardware della console SEGA

Retrospettiva e analisi dell'hardware del Dreamcast, l'ultima amatissima console realizzata internamente da SEGA.

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Sono molte le console che si sono succedute nel corso delle varie generazioni. Alcune sono rimaste incastrate nelle maglie del tempo e giacciono dimenticate in un angolo della nostra memoria, altre hanno segnato il nostro percorso da videogiocatori e rappresentano un ricordo sempre vivido che custodiamo nel nostro cuore.
In questo articolo analizziamo le scelte tecniche messe in campo da SEGA con il suo Dreamcast e le motivazioni che hanno sancito il flop commerciale di una console che, nonostante tutto, conserva un posto speciale nel cuore degli appassionati.

Il fallimento di SEGA Saturn

Alla fine degli anni 80 e per la maggior parte dei 90 SEGA è stata uno degli attori più importanti del mercato videoludico. Il suo Mega Drive (Genesis in America) ha rappresentato un enorme successo commerciale riuscendo a piazzare oltre 30 milioni di console in tutto il mondo. Il SEGA Saturn successore del Mega Drive, nelle intenzioni di SEGA, avrebbe dovuto eguagliarne il successo, ma ci furono alcuni imprevisti nella formula messa in campo dal colosso Giapponese. Il Saturn era una console sulla quale era difficile sviluppare a causa della sua architettura a doppia CPU: all'epoca era una soluzione pionieristica e gli sviluppatori non sapevano come sfruttarne al meglio le qualità.

Il Saturn inoltre era in diretta concorrenza con Sony Playstation, che forte del suo price tag davvero aggressivo (299$ contro i 399$ del Saturn) e di una campagna marketing molto ben orchestrata riuscì a surclassare su ogni fronte la console di SEGA che rappresentò una vera e propria debacle sul piano commerciale.

Il contraccolpo del fallimento del Saturn non solo comportò gravissime perdite economiche ma anche un totale cambio ai vertici: sia Tom Kalinske che Hayao Nakayama, rispettivamente presidenti delle divisioni americana e giapponese di SEGA rassegnarono le proprie dimissioni e vennero sostituiti da Shoichiro Irimajiri.
Il problema maggiore di SEGA era diventato rilanciare la propria compagnia, inizialmente si pensò di produrre un addon a 64 bit per il Saturn o un Saturn 2, ma le scarse vendite e la percezione negativa del pubblico della sfortunata console convinsero i vertici nipponici a progettare qualcosa di totalmente nuovo.

Il SEGA Dreamcast

Nel 1997 Irimajiri incaricò il progettista di IBM Tatsuo Yamamoto di cominciare lo sviluppo del nuovo hardware da gioco di SEGA, lo scarso successo del Saturn, derivante in parte da soluzioni tecniche discutibili, convinse il nuovo presidente a rivolgersi a risorse esterne per la progettazione di una nuova console. La storia si complica ulteriormente quando anche Hideki Sato, progettista interno di SEGA, cominciò a sviluppare una nuova console.

Non è ben chiaro se Irimajiri incaricò direttamente entrambi i team oppure fu una scelta indipendente di Sato, ma di fatto esistevano due progetti paralleli per lo sviluppo della nuova console di SEGA. Il progetto di Yamamoto, nome in codice "Blackbelt", si basava su un processore grafico 3DFX Vodoo 2 (In questo articolo ripercorriamo la storia di 3DFX) e una CPU

Motorola PowerPC 603e mentre quello di Sato, inizialmente chiamato "Whitebelt" e successivamente rinominato "Dural" (in onore della combattente metallica della serie Virtua Fighter), su un processore SH-4 di Hitachi e una scheda grafica powerVR2 di Videologic. La soluzione a questo dualismo fu trovata quando 3DFX, intenzionata ad essere quotata in borsa, fu costretta a rivelare l'accordo con SEGA, evento che fece enormemente adirare la dirigenza e che venne usato come pretesto per tagliare tutti i ponti con 3DFX e continuare con il progetto sviluppato "in casa", soluzione sicuramente più economica e congeniale ai vertici nipponici di SEGA. Scelto il progetto sul quale convogliare i propri sforzi SEGA creò un ultimo nome in codice: Katana.

Un Hardware incredibile

Tenendo bene a mente gli errori fatti con il Saturn a livello di scelte tecniche e costi di produzione, SEGA questa volta puntò su un sistema molto semplice e pulito. I progettisti infatti scelsero di non utilizzare componenti totalmente custom, come sempre fatto in ambito console, ma di mettere insieme hardware già esistente al quale apportare leggerissime modifiche al fine di massimizzarne le prestazioni.
Il cuore pulsante del Dreamcast infatti era una CPU Hitachi SH-4 - diretta evoluzione dell'SH-2 utilizzato sul Saturn - ma con tutta una serie di importanti evoluzioni tecnologiche, al tempo pionieristiche per tutta l'industria. L'SH-4 aveva una pipeline a cinque stage che permetteva di processare fino a cinque istruzioni contemporaneamente e integrava un superscaler che raddoppiava ulteriormente le istruzioni processabili per ogni ciclo della pipeline.

Grazie a questo design la CPU del Dreamcast, con i suoi 200 MHz, generava 360 MIPS (Milioni di istruzioni per secondo) o 1.8 IPC, circa 6 volte le prestazioni di Saturn e 2.8 quelle di Nintendo 64. Inoltre l'SH-4 integrava una potente unità FPU che permetteva operazioni a 32bit in sigle precision e a 64 bit in double precision, con un bus a 128 bit che gestiva quattro operazioni a 32bit contemporaneamente.

In pratica la sola unità FPU era in grado di generare cinque milioni di poligoni al secondo, andando a migliorare drasticamente il potenziale grafico della console.

La GPU scelta da SEGA era una VideoLogic PowerVR CLX2, meno potente della Voodoo 2 alla quale è stata preferita, ma comunque la più performante in ambito console nel 1998, anno di lancio del Dreamcast. Il Dreamcast infatti riusciva a stare al passo dei migliori PC da gaming, riuscendo a generare immagini a 640×480 pixel (VGA), basti pensare che Soul Calibur, titolo di lancio, è stato un raro esempio di un porting per console che girava meglio della sua controparte originale arcade.
La GPU di Videologic utilizzava un approccio alternativo al rendering 3D impiegando un sistema chiamato Tile-Based Deferred Rendering o "TBDR".

Il TBDR, invece di renderizzare totalmente un frame, divideva le aree di rendering in diverse sezioni chiamate "tiles", incrementando così la parallelizzazione dei processi.
Questo sistema portava due grandi vantaggi: il primo era quello di ridurre l'impiego di banda passante ed energia richiesta grazie alla divisione del rendering in piccoli processi paralleli, il secondo era quello di risolvere l'annoso problema della visibilità dei poligoni andando a ordinarli partendo dai più vicini e arrivando a quelli più lontani, così da calcolare esclusivamente quelli necessari a generare l'immagine ed evitare il rendering di poligoni non visibili, ottenendo un ulteriore guadagno prestazionale. Oltre a questo la GPU del Dreamcast poteva utilizzare Alpha blending, Mip-Mapping, Environment mapping, Bump mapping e filtro anisotropico bilineare e trilineare.

Il chip audio scelto da SEGA era chiamato AICA. Prodotto da Yamaha, era in grado di gestire 64 canali PCM a 8 o 16 bit, con sampling a 44.1 kHz e aveva 2 MB di SDRAM, inoltre era presente un decoder ADPCM utile a ridurre il carico computazionale sulla CPU. Il chip audio si occupava anche di fornire al bios della console il Real Time Clock (o RTC) grazie all'impiego di una batteria tampone.

Il Dreamcast aveva la possibilità di utilizzare due sistemi operativi distinti, il primo era un normale sistema operativo con delle icone che permettevano di lanciare il gioco inserito nella console, gestire i file di salvataggio, lanciare il player musicale o modificare dei semplici settaggi.

Il secondo era una versione custom di Windows CE, che nelle intenzioni di SEGA avrebbe dovuto attirare moltissimi sviluppatori. Windows CE infatti rendeva il Dreamcast compatibile con Visual Studio e DirectX e facilitava moltissimo i porting da PC.

Una delle scelte più rivoluzionarie di SEGA fu quella di integrare un modem dialup e la possibilità di utilizzare un adattatore LAN opzionale, questo rese il Dreamcast la prima console a permettere il gioco online, tramite la piattaforma proprietaria Dreamarena (SegaNet in America e Giappone) e addirittura la possibilità di navigare con un browser interno. Phantasy Star Online fu infatti il primo MMORPG per console al mondo e NFL 2K1 fu il primo sportivo a permettere il gioco online.

SEGA scelse i GD-ROM come supporti di memorizzazione per il suo Dreamcast, un formato proprietario sviluppato in partnership con Yamaha molto simile al comune CD-Rom, ma con una densità di bit quasi raddoppiata, che si traduceva in circa 1.2 GB di spazio disponibile su disco.

Anche per quanto riguarda le memory card per il salvataggio dei dati di gioco SEGA scelse di innovare drasticamente. Le Visual Memory Unit o "VMU" infatti erano memory card interattive che andavano a posizionarsi in un alloggiamento proprietario presente sul pad di Dreamcast: durante le sessioni di gioco permettevano il salvataggio dei dati e visualizzavano qualche informazione addizionale sul titolo in esecuzione (su Resident evil 2 ad esempio mostravano i proiettili rimasti nel caricatore). Quando scollegate dal pad invece, grazie al display e ai controlli presenti, poteva far girare piccoli software che permettevano di ottenere alcuni benefici in game, piccole avventure o giochi stile Tamagotchi. Le VMU potevano anche essere collegate tra di loro per scambiare oggetti o salvataggi.

Un dolce ricordo

Il Dreamcast, a conti fatti, era un gioiello di hardware e innovazione ma che ha avuto la sfortuna di confrontarsi con quel colosso che era la Playstation 2, arrivata dopo l'enorme successo di vendite e pubblico di Playstation. Dal momento della commercializzazione della seconda console di Sony le vendite del Dreamcast subirono un contraccolpo pesantissimo, anche a causa del fatto che la PS2 al momento dell'uscita era il lettore DVD più economico al mondo, fattore che ha indirizzato ulteriormente il mercato.
Dopo soli tre anni dalla data di commercializzazione il 31 marzo 2001 SEGA decise di interrompere la distribuzione di quella che sarebbe stata la sua ultima console. Il SEGA Dreamcast, nel suo breve ciclo vitale, ha venduto 9.13 milioni di unit e può essere considerato un enorme flop commerciale, che ha di fatto sancito la fine di SEGA per come l'abbiamo conosciuta fino a quel momento.

Molte saghe storiche hanno visto i loro natali sulla console di SEGA e sono ancora ricordate con affetto dagli appassionati. Il Dreamcast ebbe il merito di gettare le basi per il futuro del gaming su console con l'adozione di meno componenti proprietari, successivamente anche Nintendo Gamecube con la sua scheda video di ATI e Microsoft con Xbox, console totalmente basata su hardware PC, seguirono la stessa strada intrapresa pionieristicamente da SEGA. La scorsa generazione di console e quella attuale hanno ulteriormente consolidato questo trend e utilizzano totalmente componentistica e soluzioni create per i PC.
Per alcuni il fallimento del Dreamcast ha sancito anche la fine del gaming arcade, nonostante questo l'ultima console di SEGA ha ancora oggi, a distanza di vent'anni, un posto speciale nel cuore di moltissimi appassionati.