Grazie al James Webb Telescope possiamo osservare la luce delle prime stelle

Un team di ricercatori americani vuole sfruttare il telescopio spaziale James Webb per osservare la luce delle prime stelle.

Grazie al James Webb Telescope possiamo osservare la luce delle prime stelle
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Non ci sarebbe bisogno di introdurre il James Webb Space Telescope, ma è giusto far sì che tutti possano capire di cosa stiamo parlando: il gigantesco telescopio spaziale, che vedete nell'immagine di copertina, è uno dei progetti più ambiziosi della NASA, una vera e propria nave spaziale lunga 20 metri che navigherà nel vuoto per cercare di catturare le prime luci dell'universo. Abbiamo parlato della sua capacità di osservare le radiazioni all'infrarosso in un nostro speciale degli scorsi mesi, ma stavolta vogliamo soffermarci sulle tecniche che verranno usate dagli scienziati per vedere le primissime stelle createsi dopo il Big Bang.
Queste prime stelle si sarebbero create in un lasso di tempo dai 200 ai 400 milioni di anni dopo l'espansione dell'universo e sarebbero troppo lontane anche per il James Webb Space Telescope in linea di principio: grazie ad alcuni "trucchi" del mestiere, però, sarà possibile catturarne la luce.

L'importanza dell'osservazione delle stelle

Il famoso telescopio, che per comodità chiameremo anche con il suo acronimo JWST, sarebbe già dovuto essere nello spazio ma l'enorme mole di test da effettuare ne ha ritardato il lancio al 2020, una notizia che deluso molto addetti al settore ed appassionati di astronomia.
Tralasciando le inutili lamentele, un team di ricercatori della Arizona State University ha calcolato la possibilità di osservare le prime stelle dell'universo, che a quanto pare richiede una buona dosa di fortuna. Questa osservazione potrebbe sembrare fine a sé stessa, invece potrebbe risolversi in una raccolta dati di estrema importanza per la ricerca spaziale: analizzare questa luce significa capire come sono fatte le prime stelle dell'universo, derivandone l'evoluzione nel tempo e deducendo importanti informazioni circa il Big Bang.
Il professor Frank Timmes, astrofisico che ha lavorato alla ricerca, vuole le risposte alle domande che gli astronomi si pongono sul primo universo, come "erano più comuni i sistemi di stelle binarie o le stelle erano per lo più singole? Quanti elementi pesanti sono stati prodotti dalle prime stelle? Come si sono formate queste prime stelle?".

La lente gravitazionale e gli infrarossi sono la chiave per la riuscita della missione

Avete presente l'effetto doppler? Quello che vi fa sentire il suono della sirena di un'automobile molto acuto mentre si avvicina a voi (alta frequenza) e grave quando si allontana (bassa frequenza)? In maniera analoga le onde elettromagnetiche variano la propria frequenza in corrispondenza del movimento di corpi. Le prime stelle erano grandi, incandescenti ed emettevano raggi ultravioletti. Lo spazio tra noi e queste stelle si è però allargato a causa dell'espansione dell'universo, dunque il nostro pianeta si è allontanato da queste.
Così come il suono delle sirena si abbassa di frequenza appena un'autoambulanza si allontana, anche le onde emesse da queste stelle risultano di frequenza più bassa, ovvero sono passate dall'ultravioletto all'infrarosso. Non è un caso se il James Webb Space Telescope è specializzato per captare proprio le frequenze dell'infrarosso.

Un altro passo fondamentale per la riuscita della ricerca è sfruttare la lente gravitazionale, un effetto che aumenta di 10 o 20 volte l'intensità della luce emessa dalle stelle che arriva sul nostro pianeta. Come previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein, la luce viene curvata in prossimità di una massa immensa e la presenza di un cluster di galassie (ammasso di galassie) è sufficiente per direzionare sul nostro pianeta abbastanza luce, così da funzionare come una lente ottica che permette di vedere gli oggetti più luminosi di quello che sono in realtà. L'effetto fisico è più semplice da visualizzare che da spiegare e la prossima immagine vi aiuterà sicuramente a capire come la luce delle stelle può risultarci più intensa del dovuto per via della curvature della luce.

Questione di fortuna

Purtroppo, anche un amplificazione della luce di queste prime stelle di 20 volte quella reale non sarebbe sufficiente a permetterci di identificarle. Servirebbe una luce 10.000 volte più grande affinché il James Webb Space Telescope riesca ad identificarla. Alcune condizioni particolare permetterebbero un'amplificazione avente questi numeri appena citati, nel caso in cui un ammasso di galassie passasse esattamente tra noi e la stella da osservare, un allineamento davvero fortuito. Parliamo di una probabilità che è piccola (ma non nulla) e richiede una lunga fase di osservazione del cielo per poter cogliere l'opportunità di sfruttare questo effetto fisico.

Il telescopio però non è stato progettato per durare a lungo quanto Hubble (che è in orbita dal 1990) e la sua operatività è stimata tra i 5 e i 10 anni, forse 15 se tutto fila liscio. L'orbita del James Webb non è tale da poter effettuare una manutenzione come per Hubble ed infatti non è prevista alcuna missione di questo tipo ad oggi. Insomma la probabilità di osservare realmente la luce delle prima stelle è davvero bassa, ma con un po' di fortuna gli astronomi saranno in grado di captarla.
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