Da Heisenberg a Dirac: la nascita dell'elettrodinamica quantistica

Qual è la teoria più precisa che abbiano mai sviluppato gli esseri umani? I fisici non hanno dubbi: è l'elettrodinamica quantistica, la QED.

Da Heisenberg a Dirac: la nascita dell'elettrodinamica quantistica
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La scienza si muove alla continua ricerca della verità, tuttavia questa è elusiva e forse impossibile da raggiungere. Se però si volesse cercare la teoria fisica che più si avvicina alla verità delle cose, i fisici non hanno dubbi: è la QED, al secolo Elettrodinamica Quantistica, in assoluto la teoria più precisa e con maggiori successi teorici e sperimentali che gli esseri umani abbiano mai prodotto.

Sono parole audaci, ma come vedremo per nulla esagerate. Per capire, però, di cosa si occupa e cosa studia esattamente la QED, nonché il motivo per cui risulti così precisa e di successo, dobbiamo fare un passo indietro e capire innanzitutto perché abbiamo avuto il bisogno di una teoria nuova, cosa non riuscivano a spiegare le vecchie teorie e quali problemi stavano affrontando i fisici del tempo quando è stata sviluppata.

Vogliamo sottolineare che questa parte della fisica è praticamente impossibile da comprendere senza una conoscenza approfondita e dettagliata dell'unico linguaggio con cui può essere descritta davvero, la matematica. Per di più, è una matematica purtroppo complessa e difficile da digerire (per quanto molto elegante e affascinante). Ovviamente non useremo formule in quanto il nostro scopo è puramente divulgativo, verranno però necessariamente fatte continue semplificazioni anche linguistiche, strettamente necessarie ad una comprensione quanto più ampia possibile da parte di tutti.
Se però avete ulteriori domande, non esitate a commentare e proveremo a rispondere in modo quanto più chiaro possibile. Ci raccomandiamo però di diffidare, come regola generale, da chi vuole spiegarvi la meccanica quantistica (con teorie spesso fantasiose) con la presunzione di essere completo senza l'uso della matematica.

Gli inizi: teoria elettronica della materia

La nostra storia comincia più di un secolo fa con la teorizzazione prima (1838) e la scoperta poi (1874) dell'elettrone, una particella minuscola che sarà fin troppo a lungo considerata una specie di "atomo negativo".

Sempre alla fine del 1800 era ormai divenuta nota la teoria dell'elettromagnetismo di Maxwell (per saperne di più, vi suggeriamo il nostro breve approfondimento su James Clerk Maxwell), riassunta nelle elegantissime equazioni che descrivono in modo molto semplice le proprietà dei campi elettrici e magnetici, nonché le modalità con cui questi si generano a partire da cariche elettriche. Questo aveva poi portato alla comprensione delle onde elettromagnetiche (cioè la luce), che si generano dal moto non uniforme di una carica elettrica. Inoltre si sapeva che una carica subiva una forza da parte di questi campi elettrici e magnetici, descritta dalla famosa equazione di Lorentz. Da queste basi nasceva la teoria elettronica della materia, o elettrodinamica classica.

Come spesso avviene in fisica, la teoria sembrava funzionare per alcuni aspetti, ovvero prediceva risultati importanti che poi venivano trovati sperimentalmente, mentre falliva nello spiegare altri aspetti che lasciavano intendere che avrebbe potuto esserci nuova fisica o, più probabilmente, che la teoria fosse ancora incompleta, in un certo senso semplicemente sbagliata nella sua interpretazione di base. I problemi erano principalmente due: la struttura dell'elettrone e la "reazione di radiazione".

L'elettrone, che si era capito avesse carica negativa, rimaneva eludente in merito alla sua struttura interna. Era puntiforme o aveva delle dimensioni? La sua carica era "unitaria" oppure era generata da molte cariche più piccole, in sostanza aveva o non aveva una struttura interna?

Considerarlo puntiforme era certamente la soluzione più elegante, ma creava un problema non da poco, ovvero il fatto che il campo elettrico prodotto da una carica puntiforme aveva energia infinita. Il problema della reazione di radiazione era egualmente affascinante. Una carica accelerata emette radiazione elettromagnetica (emette cioè fotoni). Come sappiamo i fotoni sono pacchetti di energia ma questa energia non può generarsi dal nulla, deve provenire da qualche parte. In particolare, proviene dall'energia della carica che si muove e che quindi, emettendo onde, perde parte della sua energia. Fin qui tutto ok, se non fosse che per i fisici del tempo era incomprensibile come una particella potesse interagire con sé stessa al punto da frenarsi da sola.

Nasce la meccanica quantistica

Siamo agli inizi del 1900, Einstein ha pubblicato i suoi articoli che descrivono la relatività speciale e generale (qui le più grandi scoperte di Einstein), si sono definitivamente scoperti i fotoni con la loro natura incerta di onde o particelle, Bohr e Sommerfeld accennano ad una primitiva teoria di meccanica quantistica che poi viene migliorata poco dopo da Heisenberg e Schrödinger. Il problema che si erano trovati ad affrontare era quello di modellizzare la struttura dell'atomo (inizialmente del semplice idrogeno) e spiegarne le transizioni elettroniche e gli spettri che si osservavano, per poi successivamente spostarsi a modellizzare atomi con sempre più elettroni ed infine le molecole.

La struttura quantistica degli atomi venne subito messa in relazione con l'elettrodinamica classica nella speranza di comprendere come facessero gli atomi ad emettere e assorbire radiazione (cioè energia). Questa relazione prenderà il nome di "teoria semi-classica". In questa teoria, il campo elettro-magnetico rimaneva quello classico, cioè quello teorizzato da Maxwell, mentre gli elettroni venivano trattati in modo quantistico. Questa teoria spiegava in modo corretto le righe spettrali degli atomi che venivano osservate sperimentalmente, fino a spiegarne perfettamente l'intensità delle singole righe e perché alcune transizioni erano molto più probabili di altre (in gergo si dicono transizioni permesse e proibite).

Tuttavia, tale teoria presentava un difetto: ignorava completamente la natura quantistica dei fotoni che, appunto, venivano trattati classicamente. Inoltre nella teoria semi-classica non era presente l'emissione spontanea, cioè l'emissione di fotoni derivante da una carica accelerata, che usciva naturalmente addirittura dalla teoria classica. L'emissione spontanea è estremamente importante in quanto ci spiega, in termini quantistici, perché un elettrone eccitato (ad esempio a seguito di un urto o dall'interazione con un fotone) non rimane nel suo nuovo orbitale in eterno ma, prima o poi, emette un fotone e torna allo stato di energia più bassa possibile. Si comprese, quindi, che serviva introdurre le caratteristiche quantistiche della radiazione, dovevamo cioè "quantizzare" il campo elettromagnetico.

Così Dirac, Heisenberg, Pauli e molti altri cominciarono a lavorare sul problema. Si comprese presto che la soluzione risiedeva nel trattare il campo elettromagnetico come un oscillatore armonico. La quantizzazione risiede nel fatto che le oscillazioni non avvengono in qualsiasi modo ma sono quantizzate, cioè possono assumere solo alcune energie. Per comprendere la quantizzazione, si può pensare alle monete: esiste un centesimo, esistono due centesimi, ma non esistono un centesimo e mezzo o sette centesimi e mezzo, esistono solo multipli interi di 1 centesimo: i centesimi sono, quindi, quantizzati. Per le energie dei fotoni, si trova che queste sono multipli di fh (con f la frequenza di un particolare modo e h la costante di Planck).

Sorprendentemente, basta aggiungere la meccanica quantistica alle equazioni di Maxwell e automaticamente escono fuori i fotoni, non serve neanche postularli separatamente.

I problemi

Viene scoperto lo spin, una specie di "momento angolare intrinseco" (classicamente si può pensare all'elettrone che ruota su sé stesso, ma in meccanica quantistica questa lettura è sbagliata). Lo spin è a sua volta quantizzato e ha un valore che può essere positivo o negativo. D'altra parte, l'elettrone ha anche un "momento magnetico", come se fosse una piccola calamita. Se ora facciamo l'ipotesi che la carica sia distribuita come la massa, si può dimostrare che c'è un preciso rapporto tra momento magnetico e momento angolare di spin. Il calcolo era semplice e preciso ma sperimentalmente risultava essere esattamente il doppio di quello atteso dai calcoli. Tale valore 2 venne chiamato fattore giromagnetico ed era un mistero che andava spiegato.

Un altro problema era che la relatività cominciava ad avere successi spaventosi e la meccanica quantistica di Heisenberg e Schrödinger non era una teoria relativistica. Il problema non era nuovo ed era già stato discusso persino nel modello dell'atomo di idrogeno di Bohr, dove si era trovato che l'elettrone si muove ad una velocità di circa c/137 (dove c è la velocità della luce). Ricordiamo che la relatività diventa tanto più importante quanto più le velocità in gioco si avvicinano alla velocità della luce c; era quindi ragionevole in prima approssimazione non considerare gli aspetti relativistici. Tuttavia, se considerati, avrebbero certamente portato a delle correzioni che erano interessanti da valutare ed eventualmente verificare.

Questo lavoro venne svolto da Sommerfeld, che cominciò correttamente a considerare anche le orbite elettroniche come ellittiche e non come circolari. Con l'aggiunta della relatività, a un livello di approssimazione maggiore saltava fuori che livelli di energia che venivano considerati come unici, erano in realtà suddivisi in piccoli sotto-livelli (tale struttura viene infatti detta struttura fine). Con misurazioni sufficientemente precise questi livelli potevano essere visti anche sperimentalmente; tuttavia, questa struttura fine era ben visibile anche in atomi più pesanti dell'idrogeno. Questo era strano, poiché le velocità in gioco erano sempre più piccole mentre la struttura fine cresceva di intensità, fenomeno che quindi non poteva più essere associato a correzioni relativistiche.

Serviva, quindi, una "meccanica quantistica relativistica dell'elettrone dotato di spin", lavoro di cui si occupò Dirac nel 1928 con la famosissima equazione di Dirac (così tanto inflazionata nella pseudo-scienza).

L'equazione di Dirac, il Lamb Shift e l'esigenza della QED

Dirac trovò tre cose importantissime. Per prima cosa, riuscì a dimostrare che la sua equazione (che sostituiva quella relativistica di Schrödinger) prevedeva correttamente il fattore giromagnetico dell'elettrone, cioè il valore 2 di cui parlavamo prima, che finalmente risultava in accordo con i dati sperimentali. Per seconda cosa, verificò la struttura fine dell'idrogeno in una forma che inglobava quella calcolata da Sommerfeld e anche l'effetto magnetico di spin, finalmente in accordo con le misure. Per terza cosa notò che la sua equazione ammetteva soluzioni strane, ovvero prevedeva la presenza di una particella identica all'elettrone ma di carica opposta. Inizialmente si pensava semplicemente di aver trovato il protone, mentre successivamente si comprese che aveva predetto l'esistenza dell'antimateria, aveva cioè trovato la soluzione che descriveva il positrone (trovato poi da Anderson nel 1932).

Per le equazioni di Dirac, alcuni livelli (in particolare il 2s 1/2 e il 2p 1/2) avevano la stessa identica energia, quindi si trattava di due orbitali diversi che, però, sperimentalmente dovevano risultare assolutamente sovrapponibili. Tuttavia, a partire dal 1947, con nuove tecniche di indagine a microonde si cominciò ad avere il sospetto che ci dovesse essere uno spostamento di energia tra questi due livelli, che seppur piccolo non era spiegato da niente di fisicamente conosciuto. Tale spostamento era chiamato spostamento di Lamb (o Lamb Shift, dal fisico Willis Lamb).

Questo spostamento era davvero minuscolo ed elusivo da osservare, per colpa dell'effetto Doppler che lasciava solo intravedere la possibilità dell'esistenza di questo spostamento ma rendeva impossibile la sua misura diretta.
Immaginate per un attimo di essere uno degli scienziati che si trovavano ad affrontare questo problema, tanto piccolo quanto cruciale per capire se davvero abbiamo scoperto tutto o se ci manca ancora nuova fisica!

In particolare ci lavorarono Lamb e Retherford, la cui perseveranza nel cercare una soluzione sperimentale che potesse aggirare il problema dell'allargamento Doppler li premierà con il merito di aver dato il via alle correzioni che porteranno alla QED. L'esperimento è estremamente bello quanto, purtroppo, complesso: cercheremo comunque di semplificarlo per farvi apprezzare il più possibile la genialità e l'eleganza che si nascondono dietro al muro di equazioni e numeri.

Ci sono questi due livelli diversi chiamati 2s 1/2 e 2p 1/2, che per l'equazione di Dirac hanno la stessa energia ma, appunto, si ha il dubbio che questo potrebbe non essere vero, seppur di una quantità piccola. Fino ad allora, si era cercato di osservare questo spostamento guardando la differenza di energia tra quei due livelli e il livello fondamentale, ovvero l'1s 1/2. La prima idea centrale fu quella di abbandonare questo metodo e tentare di osservare direttamente la differenza tra i due livelli, un po' come tentare di zoomare sul problema. In questo modo, si sarebbe potuto ridurre fortemente l'effetto Doppler che dipende dalla frequenza.

Per farlo, presero inizialmente un gas di molecole di idrogeno che, se scaldate a sufficienza, venivano dissociate in atomi di idrogeno (a noi interessava studiare l'atomo e non la molecola). Si creava, quindi, un fascio di idrogeno nello stato fondamentale 1s 1/2.

Attraverso un cannone elettrico si eccitavano questi atomi in vari livelli (2s 1/2, 2p 1/2 e il 2p 3/2). Gli stati p decadevano al livello fondamentale in tempi dell'ordine dei nanosecondi, mentre lo stato 2s 1/2 in poco meno di un secondo. Gli atomi raggiungevano, quindi, un rilevatore di tungsteno posto a circa 10 cm, che era una distanza adatta per fare in modo che gli stati p fossero tutti decaduti nel fondamentale ma non lo stato 2s 1/2.
Raggiungevano il rivelatore soltanto gli stati 1s 1/2 (fondamentale) e 2s 1/2 (unico stato eccitato rimasto). Tuttavia, il rivelatore era in grado di vedere solo gli stati eccitati e, quindi, misurava una corrente continua di idrogeno nello stato 2s 1/2.

La misura della differenza di energia tra 2s 1/2 e 2p 1/2 veniva effettuata facendo passare gli atomi per un risonatore a microonde subito prima del rivelatore di tungsteno. Se la frequenza del risonatore era identica alla differenza in frequenza (e quindi in energia) tra i due livelli 2s 1/2 e 2p 1/2, una parte degli stati 2s 1/2 passava allo stato 2p 1/2. Come abbiamo detto, però, lo stato 2p 1/2 dura soltanto pochi nanosecondi (come tutti gli stati p) e decade molto velocemente allo stato fondamentale 1s 1/2, ben prima di poter raggiungere il tungsteno, ma parte del fascio ha fatto questa transizione e arrivano quindi meno atomi nello stato 2s 1/2, differenza che è ben visibile sul rilevatore.

Si capisce, quindi, che quando si osserva una diminuzione in corrente sul rivelatore di tungsteno, questo significa che abbiamo beccato la differenza giusta in frequenza tra i due stati 2s 1/2 e 2p 1/2 nel risonatore a microonde, e quindi abbiamo misurato con successo la loro differenza di energia. Differenza di energia che, ricordiamo, per l'equazione di Dirac doveva essere 0.

Lo sviluppo della QED

La scoperta del Lamb shift è stata di vitale importanza per lo sviluppo della teoria dell'elettrodinamica quantistica (QED) da parte di Bethe, Tomonaga, Schwinger, Feynman e Dyson. In questa teoria, le correzioni alla teoria di Dirac derivano dall'interazione dell'elettrone con il campo elettromagnetico quantizzato, cioè viene trattato in modo quantistico anche il campo elettromagnetico e non soltanto le particelle. Uno dei più grandi problemi che risolve la QED è poi quello degli infiniti, di cui avevamo parlato all'inizio dell'articolo e che risulta essere un problema centrale e ricorrente.

Il calcolo fu risolto da Bethe in treno, mentre tornava da una conferenza in cui uno degli argomenti principali trattati era proprio l'esperimento del Lamb Shift. Attraverso una procedura matematica (che verrà chiamata di "rinormalizzazione") si accorse che, anche in presenza di infiniti, la differenza tra questi dava un risultato finito. Quello degli infiniti è un classico problema di QED, la cui soluzione dava finalmente inizio al resto della teoria, sviluppata poi da Sin-Itiro Tomonaga, Julian Schwinger, Richard Feynman e Freeman Dyson. I primi tre vinceranno il premio Nobel per la fisica nel 1965.

La QED ha ottenuto successi clamorosi, riuscendo a prevedere i valori di moltissime costanti fondamentali della fisica con una precisione assoluta e impressionante. Per questa ragione, è poi divenuta la base per tutte le successive teorie quantistiche dei campi e per la cromodinamica quantistica. A oggi, rimane la teoria più precisa e con maggiori successi e verifiche sperimentali mai elaborata dagli esseri umani.