Il disastro di Fukushima oggi: l'acqua radioattiva finirà nel mare?

Torniamo a parlare di Fukushima, soprattutto dopo le ultime affermazioni del Giappone, che sembra aver deciso il destino dell'acqua radioattiva.

Il disastro di Fukushima oggi: l'acqua radioattiva finirà nel mare?
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A distanza di 10 anni dal terribile disastro che colpì la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, la società TEPCO (la Tokyo Electric Power), responsabile dell'impianto, ha annunciato di voler riversare nell'oceano le acque radioattive utilizzate per raffreddare i reattori dopo l'incidente.
Si tratta della cosa più giusta da fare? Cerchiamo di capirlo ripercorrendo le tappe che hanno portato all'incidente e le successive misure adottate per limitare l'impatto di una catastrofe che avrebbe potuto essere ancora più disastrosa.

Partiamo dal principio

Fukushima è il capoluogo dell'omonima prefettura che si trova a nord-est di Honshu, l'isola più grande del Giappone. Nel primo pomeriggio dell' 11 marzo 2011 la città iniziò a tremare a causa di un terremoto di magnitudo 9.0 con epicentro a 97 km di distanza, di conseguenza, la centrale nucleare di Fukushima in pochi minuti attuò le procedure di emergenza per mettere in sicurezza i reattori. Fortunatamente all'epoca i reattori 4, 5 e 6 erano chiusi in attesa di rifornimento, tuttavia, i reattori 1, 2 e 3 erano normalmente in uso. Le procedure di sicurezza prevedevano il tipico inserimento delle barre di controllo e l'attuazione del protocollo d'emergenza denominato SCRAM. Questo procedimento fu in grado di bloccare la reazione all'interno dei reattori, tuttavia, anche se la reazione di fissione nucleare viene bloccata, l'energia prodotta in qualche modo doveva dissiparsi.

Tutto ciò porta all'innalzamento esponenziale delle temperature, che per essere abbassate necessitano di un trattamento con acque di refrigeramento. A questo proposito la centrale attivò prontamente dei generatori diesel di emergenza per fornire energia alle pompe di refrigerazione dell'acqua. Tutto sembrò funzionare quando, dopo circa 45 minuti, un'onda di 14 metri si abbatté contro la centrale distruggendo i generatori diesel. La TEPCO aveva valutato l'eventualità di un terremoto e anche di uno Tsunami, aveva infatti costruito una diga dell'altezza di circa 10 metri che proteggesse l'impianto, purtroppo lo scenario che si presentò loro l'11 marzo 2011 andava oltre le loro valutazioni.

L'onda dunque allagò i locali in cui erano posti i generatori diesel che conseguentemente si spensero, bloccando il raffreddamento delle acque all'interno dei reattori. Le barre di controllo a quel punto divennero incandescenti e a poco servì l'utilizzo dei generatori secondari o di altre pompe di refrigerazione. Il 12 marzo 2011 il reattore numero 1 esplose per le alte pressioni dei gas al suo interno, provocando un effetto a cascata, fino alle esplosioni avvenute nel reattore 2 e 4 il 15 marzo 2011. In particolare l'esplosione del reattore 2 distrusse una vasca utilizzata per il contenimento di acque radioattive non filtrate le quali si riversarono in mare aperto.

Procedure immediate adottate

Il governo fece evacuare immediatamente tutte le località nel raggio di 20 km, poi allargato a 30 km per un totale di circa 190.000 persone. La TEPCO si adoperò per bloccare la fuoriuscita dell'acqua radioattiva dal reattore 2, gli sforzi degli operatori si concentrarono poi sul cercare di isolare i reattori il più possibile continuando a versare acqua per il raffreddamento.
Nonostante i tentativi per riattivare i generatori diesel, questi non rientrarono mai in funzione e il 17 marzo fu deciso di utilizzare l'acqua prelevata dal mare per la refrigerazione, la quale poi fu stoccata all'interno di grandi contenitori distribuiti nei pressi della centrale.

L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) classificò l'evento come il disastro nucleare più grave dopo quello di Chernobyl, conferendogli la massima classificazione (livello 7) per la scala INES ovvero "incidente catastrofico". Nonostante questo, non è possibile effettuare un reale confronto tra i due disastri per le diverse modalità di contaminazioni (acqua/aria) e soprattutto per la differenza di trattamento dei reattori esplosi: a Chernobyl l'utilizzo del sarcofago nel lungo periodo fu un'azione attuabile mentre a Fukushima sarebbe architettonicamente impossibile.

Valutazione dei danni sulla popolazione

La United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation e la World Health Organization riferiscono che ad ora non ci siano stati aumenti di aborti, nati morti o disturbi fisici e mentali nei bambini nati dopo l'incidente. La popolazione evacuata e delle zone limitrofe viene monitorata annualmente sotto decisione del governo nipponico da giugno 2011 e non ha dimostrato alterazione statistica nell'insorgenza di tumori o danni fisici correlabili alle radiazioni.

Tuttavia, sono stati segnalati molti effetti psicologici quali ansia e depressione, la salute di questi individui verrà monitorata per altri 30 anni. I decessi correlabili direttamente al disastro sembrerebbero essere quelli di 3 operai, due deceduti probabilmente a causa del terremoto mentre operavano nel reattore 4, l'ultimo deceduto nel 2018 per cancro ai polmoni riconosciuto dal governo giapponese come correlato all'effetto delle radiazioni.

La responsabilità dell'incidente

Per quanto riguarda le responsabilità dell'incidente, nonostante la TEPCO avesse valutato l'eventualità di terremoti e tsunami e costruito sistemi di sicurezza, come ad esempio la diga di 10 metri di fronte ai reattori, questi accorgimenti furono valutati come insufficienti in un'indagine commissionata dal parlamento giapponese.

In particolare la commissione definì che il posizionamento dei generatori diesel fosse sbagliato: si trovavano troppo in basso, e per questo furono colpiti dall'acqua dello tsunami. Tre ex dirigenti della società furono accusati di negligenza e processati, ma nel 2019 furono assolti. Fu però stabilito che il governo giapponese condivideva la responsabilità dell'accaduto con la TEPCO e per questo era tenuto a risarcire le persone costrette ad abbandonare le proprie case e città.

Fukushima dal 2012 ad oggi

I lavori per lo smaltimento del materiale radioattivo non si sono mai fermati, ad oggi la TEPCO si è occupata di recuperare e smaltire i materiali provenienti dai reattori 4 e 3 ma afferma che siano necessari almeno altri 30 anni per recuperare le barre di combustibile non danneggiate, le barre fuse dagli altri reattori e smantellare tutti i locali della centrale.

Questi lavori necessitano ancora oggi dell'utilizzo delle acque di raffreddamento, infatti, anche i materiali fissili esauriti, una volta rimossi dal reattore, continuano a produrre calore, pertanto devono essere depositati in apposite piscine per un periodo di alcuni anni. Nel 2022 dovrebbero iniziare i lavori per la rimozione delle barre di combustibile dal reattore 2, quello più problematico, per il reattore 1 invece è stato deciso che i lavori inizieranno nel 2027. La IAEA, l'agenzia internazionale dell'energia atomica, dal 2012 continua ad effettuare conferenze in cui scienziati, ingegneri e specialisti si incontrano per la valutazione delle procedure attuate a Fukushima e si occupa di proporre possibili soluzioni a problemi legati alla centrale. La prossima conferenza si terrà a novembre 2021.

Il problema dell'acqua di refrigerazione

Tra i vari materiali radioattivi tuttavia, quello che attualmente desta più preoccupazione è l'acqua contaminata, utilizzata per il raffreddamento dei reattori, che si sta accumulando dal 2011. La TEPCO ha dichiarato che finirà lo spazio per lo stoccaggio di queste acque entro l'estate 2022. Anche la IAEA nel 2020 aveva fornito alla comunità scientifica un report relativo a questa problematica ed aveva richiesto una soluzione valida da presentare a breve da parte del governo giapponese.

Dal 2013 le acque contaminate vengono trattate con un processo chiamato ALPS "Advanced Liquid Processing System", il quale permette di eliminare la maggiorparte di radionuclidi radioattivi ad eccezione del trizio (un radioisotopo dell'idrogeno). Quindi nonostante il trattamento purtroppo le acque presentano ancora dei livelli di radioattività.
Nel 2020 la quantità di acqua all'interno delle cisterne ha raggiunto il quantitativo di 1.24 milioni di metri cubi, determinando la necessità di smaltimento prima del 2022, anno in cui si raggiungerebbe la capacità massima di 1.37 milioni di metri cubi.

La IAEA ha fornito il suo completo appoggio al governo e diverse possibilità per lo smaltimento delle acque, tra cui lo spostamento in altri punti di stoccaggio, possibilità che avrebbe lo svantaggio di un trasporto via terra e che richiederebbe la creazione di un nuovo centro di depurazione tramite il processo ALPS.
La separazione del trizio sarebbe possibile anche impiegando l'acqua pesante nei reattori CANDU, processo che è stato però valutato come inattuabile a causa dell'elevata diluizione del trizio, presente in piccole quantità in enormi contenitori di acqua. Esiste poi la possibilità di un rilascio di vapore controllato, tuttavia anche questo procedimento presenta notevoli svantaggi relativi alla sicurezza operativa e alle alte temperature utilizzate, senza considerare che una percentuale di trizio finirebbe comunque nell'atmosfera.

Infine, una delle opzioni che ad ora sembra favorita è il rilascio di queste acque nell'oceano pacifico in punti strategici, il tutto affiancato da controlli regolari e supporto scientifico costante al governo giapponese. Questa opzione viene valutata la più fattibile per diversi motivi, tra cui la sicurezza nello spostamento via mare, data la posizione della centrale, e la relativa bassa tossicità del trizio, tale da non destare preoccupazioni di contaminazione per l'ecosistema marino, secondo gli scienziati.

Il trizio è un isotopo radioattivo dell'idrogeno e contiene due neutroni ed un protone all'interno del suo nucleo. Esso decade emettendo elettroni (decadimento beta), il suo tempo di dimezzamento è di circa 12 anni con un decadimento totale in 246 anni. Si forma nei reattori nucleari a causa di una reazione di fusione tra l'acqua deuterata ed un neutrone.
Secondo il report rilasciato nel 2016, relativo alla valutazione dell'acqua stoccata nell'impianto di Fukushima, sembra che siano presenti in totale 2.1 g di trizio per 830.000 metri cubi di acqua, con una emissione di circa 760 x 10^12 Becquerel. Un quantitativo troppo esiguo per effettuare una separazione del trizio, il che rafforza i motivi per scegliere la procedura di sversamento in mare aperto.

Questa decisione ha però suscitato preoccupazione e disapprovazione da parte dei paesi vicini tra cui Cina e Corea del Sud, ma anche da parte della cooperativa dei pescatori giapponesi, i quali hanno richiesto chiarimenti da parte del governo, preoccupati dal possibile danneggiamento dell'industria ittica. Il governo ha dichiarato di essere totalmente disponibile a condividere i dati delle analisi relative alla procedura prima e dopo l'immissione delle acque contaminate in mare aperto, sempre con l'aiuto ed il sostegno dell' IAEA, e di voler sostenere l'economia dei pescatori nel caso venisse danneggiata.