Il giorno della memoria: cos'è e perché è importante celebrarlo

Vediamo perché ogni 27 Gennaio ricorre la Giornata della Memoria, essenziale per ricordare le vittime dell'Olocausto nella Seconda Guerra Mondiale.

Il giorno della memoria: cos'è e perché è importante celebrarlo
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Era il primo Novembre del 2005, quando l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite decise, durante la 42esima plenaria, di designare la risoluzione 60/7, che prevede la commemorazione delle vittime dell'Olocausto ogni 27 Gennaio.

La risoluzione venne preceduta da una sessione speciale tenuta il 24 Gennaio dello stesso anno, durante la quale tutti i paesi delle Nazioni Unite celebrarono insieme il sessantesimo anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti, che, ricordiamo, provocarono in tutto la morte di 15-17 milioni di persone, considerate "indesiderabili" o "inferiori" per motivi politici o razziali.
Fra queste rientrarono ben 6 milioni di ebrei. In una giornata così importante, soprattutto per la storia Europea, ci si chiede quale sia la nostra fetta di responsabilità e dove essa ponga le sue radici. Proviamo, quindi, a rispondere a qualche quesito su quest'essenziale giornata, nella speranza di offrire tutte quelle informazioni necessarie per vivere un 27 Gennaio con maggiore consapevolezza.

Perché proprio il 27 Gennaio?

Perché non commemorare le vittime in una qualche data diversa? Effettivamente, prima del 2005, gran parte degli Stati Europei ricordavano le proprie vittime in giorni differenti, sulla base dei grandi eventi storici nazionali che hanno sancito, in qualche modo, la fine dell'Olocausto. Eppure, per un argomento del genere si iniziò a sentire la necessità universale di dimostrare un'unità comune.
Per questo, si cominciarono a mettere sul tavolo date simboliche che, in qualche modo, potessero essere un trampolino per avviare iniziative di commemorazione, divulgazione storica, etc...Alla fine, si giunse alla conclusione che il giorno perfetto, simbolicamente parlando, fosse il 27 Gennaio.

Tornando indietro nel tempo, nel 1945, proprio in quella lunga giornata invernale le truppe sovietiche della 60esima Armata del primo fronte ucraino, guidato dal maresciallo Ivan Konev, entrarono dentro i confini di Auschwitz. Il campo venne smantellato e i pochi superstiti liberati. Eppure i ricordi riportati dai liberatori e dalle vittime furono talmente traumatici che posero l'intera popolazione europea, per la prima volta, di fronte all'orrore del genocidio nazifascista.

Basti pensare che, 10 giorni prima dell'arrivo dei sovietici, i nazisti distrussero più prove possibili riguardo le atrocità commesse nel campo, si ritirarono e portarono con loro, nella cosiddetta "marcia della morte", tra il freddo gelido della Polonia, circa 80 mila prigionieri sani. L'obiettivo doveva essere quello di trasferirli in altri campi, privandoli di cibo, acqua e coperte. Chi, indebolito, non riusciva a marciare in colonna, veniva brutalmente ucciso dalle guardie di scorta. Per questo molte tra queste persone trasferite da Auschwitz non tornarono più tra le braccia dei loro familiari superstiti.

Bisogna, però, tener presente che Auschwitz non fu il primo campo liberato, in particolare dai sovietici.

Questi, solo sei mesi prima, avevano aperto le porte di Majdanek e conquistato, sempre nell'estate del 1944, tutte quelle aree che avevano campi di sterminio come Belzec, Sobibor, Treblinka (anche questi prontamente smantellati dai nazisti prima dell'arrivo delle truppe Alleate). Solo 4 mesi dopo il 27 Gennaio, verrà liberato dagli Stati Uniti anche il terribile lager di Dachau, il primo vero e proprio campo di sterminio voluto da Heinrich Himmler e, per atrocità, noto tanto quanto Auschwitz. Gli strumenti di tortura e di annientamento trovati dai sovietici in quel fatidico Gennaio segnarono per sempre il mondo e, più in particolare, l'eredità storica europea.

Eredità e responsabilità: due elementi che accomunano l'intera Unione Europea da ormai più di un decennio

In Europa il tema dell'Olocausto, a partire dal secondo dopo-guerra, fu molto sentito tra le generazioni nascenti, che dovettero prendersi il peso dei terribili orrori sostenuti dai propri genitori e farsene carico per tutta la loro crescita. Questo sentimento, ancora oggi, a livello istituzionale non è cambiato. Anzi, è andato sempre più a rafforzarsi nel momento in cui è nata l'Unione Europea.

A partire dall'ottobre del 2001-2002 diversi ministri dell'istruzione dei vari stati membri cominciarono a proporre al Consiglio Europeo numerose iniziative per costruire un senso di responsabilità comune anche nei giovani cittadini del nuovo millennio.

Pur mantenendo le proprie date di commemorazione, fino al 2005, si cominciarono ad offrire materiali comuni a tutta l'Unione per rendere consapevoli, in particolare gli studenti, su un capitolo oscuro della storia europea ed educare affrontando temi come quello del genocidio e dei crimini contro l'umanità.

L'obiettivo, chiaramente, era uno: prevenire, aiutando a comprendere la complessità che si cela dietro valori come la tolleranza, l'unione tra nazioni, etnie e religioni. Questo fine venne ripreso persino nella risoluzione del 2005, dove si può leggere sin dalla prime righe: "E' necessario fare tutto il possibile nella sfera educativa per evitare che nasca un rinnegazione dei tragici eventi che hanno marcato il XX secolo, tra cui l'Olocausto, genocidi e altri crimini contro l'umanità legati al concetto di 'pulizia di razza'".

L'Unione Europea è stata la prima unione di Stati a non dare solo importanza alla commemorazione delle vittime, ma anche all'educazione interdisciplinare. Per quanto sia fondamentale studiare la storia contemporanea e gli eventi che hanno caratterizzato uno dei secoli più oscuri dell'intera umanità, è anche necessario apprendere gli aspetti psicologici e scientifici di certi episodi, oltre al dare un'essenziale valore all'educazione civica, all'arte e alla letteratura.

Cosa si commemorava prima dell'Unione, soprattutto in Italia?

Come spiegato precedentemente, ogni paese commemorava le proprie vittime sulla base dei grandi eventi nazionali riguardanti l'Olocausto. I principali riflettori erano puntati, ovviamente, sulla Germania e sul suo "Tag des Gedenkens an die Opfer des Nationalsozialismus" (La giornata della memoria delle vittime del nazionalsocialismo), proclamato dal presidente federale Roman Herzong il 3 Gennaio del 1996 e, anch'esso, celebrato il 27 Gennaio di ogni anno. Sulla scia della Germania, anche le istituzioni italiane formalizzarono una giornata commemorativa, prevista dalle legge 20 del luglio 2000 n.1.

In questa veniva affermato: "La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, 'Giorno della Memoria', al fine di ricordare la Shoah (lo sterminio del popolo ebraico), le leggi raziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio ed, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".

Le finalità della legge sono molto simili alla risoluzione delle Nazioni Unite del 2005, eppure il discorso sulla scelta della data, per forza di cose, fu fortemente acceso, poiché, nel nostro Paese, era innegabile che ci fossero dei giorni particolari e cruciali riguardo l'Olocausto e su cui l'intera riflessione pubblica doveva soffermarsi. Prima di arrivare al definitivo disegno di legge, emersero due alternative non meno importanti rispetto alla liberazione di Auschwitz: il 16 Ottobre, proposto dal deputato Furio Colombo, e il 5 Maggio, una data ampliamente sostenuta dall'Associazione nazionale degli ex-deportati politici nei campi nazisti. Ma quali erano i motivi per queste due scelte?

16 Ottobre: rastrellamento del ghetto di Roma

Il 16 Ottobre del 1943, anche chiamato "Sabato nero", avvenne il rastrellamento del ghetto di Roma. Questa retata delle truppe della Gestapo, affiancate dai funzionari del regime fascista, che si protrasse dalle 5:30 del mattino fino alle 14 del pomeriggio, portò alla cattura di 1259 persone. Di queste, 1023 ebrei, tra cui donne, uomini e bambini, vennero deportati direttamente al campo di sterminio di Auschwitz. Ne sopravvissero solo 16 (15 uomini e una sola donna - Settimia Spizzichino, morta nel 2000).

Il rastrellamento fu voluto proprio dagli alti vertici nazisti, ma il tenente colonnello delle SS presente a Roma, Herbert Kappler, decise di rimandare momentaneamente gli ordini e approfittare dell'occasione per derubare l'intera comunità ebraica del suo oro e spedirlo in Germania.

Il 14 Ottobre fu il turno delle due biblioteche presenti nel ghetto e del Collegio rabbinico, dove vennero saccheggiati beni dal valore inestimabile - tutti, ovviamente, spediti in Germania. Dopo quest'azione, venne avvisato il comandante presente ad Auschwitz del prossimo carico di oltre 1000 ebrei tra il 22 e il 23 Ottobre. Tutto quello che si poteva sottrarre a quelle persone era finito in qualche archivio tedesco e, ormai, era giunto il momento di deportare quegli italiani privati di tutto.

L'usare il 16 Ottobre come data per ricordare le vittime dell'Olocausto avrebbe focalizzato l'attenzione sulle deportazioni razziali e sottolineato le evidenti responsabilità italiane, dirette o indirette, nello sterminio.

5 Maggio: liberazione del campo di concentramento di Mauthausen

Il campo di concentramento di Mauthausen era un lager nazista nell'Alta Austria. Fra tutti , era l'unico considerato di "classe-3", cioè specializzato nella punizione e nell'annientamento dei prigionieri attraverso il lavoro. Vi erano piccole camera a gas, ma le persone, sottoposte in condizioni inumane, morivano principalmente per il lavoro forzato, per consunzione derivata dalla denutrizione e per stenti. Come spiegò anche il pittore e scultore Aldo Carpi, Mauthausen era un inferno di scheletri dove la vita massima, dall'arrivo, era mediamente tra i 2 e 3 mesi.

Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, 20 mila prigionieri provenienti da altri lager vennero evacuati a Mauthausen, ma quest'ultimi non avevano idea di quali erano gli ordini previsti per quel luogo: l'intero campo doveva scomparire, compresi i detenuti. Iniziarono, quindi, gli stermini in massa nelle camere a gas e nelle gallerie del territorio attraverso l'uso di esplosivi. Più prigionieri morivano e meglio era. Il 5 Maggio del 1945 la terza Armata americana libererà Mauthausen, chiudendo per sempre un capitolo della storia europea troppo oscuro da poterlo affrontare immediatamente e nella maniera più accurata.
Le precarie condizioni fisiche dei più giovani, gli unici rimasti, non garantirono la loro sopravvivenza anche dopo l'apertura dei cancelli del campo. Molti morirono per il semplice fatto che i soldati americani, nel vano tentativo umano di aiutarli, davano loro un pasto caldo.

L'Associazione nazionale degli ex-deportati politici propose nel 2000 la data di liberazione del campo austriaco per sottolineare la centralità della storia dell'antifascismo e le deportazioni politiche in Italia. Dopotutto a Mauthausen vennero spediti svariati oppositori politici del nostro Paese, dalla sua fondazione, nel 1938, fino al 1945.

I giusti tra le nazioni: un titolo che ricorda il coraggio di centinaia di uomini

Nel Giorno della Memoria non ci si sofferma, però, solo sulla commemorazione di chi, sfortunatamente, non è riuscito a sopravvivere. Un passaggio importante di questa giornata è il ricordo dei Giusti, cioè tutte quelle persone non-ebree che, per definizione, hanno agito in modo eroico, anche a rischio della propria vita, e senza alcun interesse personale per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista.

Questo termine venne usato per la prima volta nel 1962, quando il memoriale Yad Vashem ad Israele, il principale ente nazionale per la Memoria della Shoah, decise di inserire un'ulteriore classe da commemorare - alle quattro già esistenti.

Spinti dall'iniziativa del memoriale, la Corte Suprema d'Israele decise di creare una Commissione, nel 1963, che avrebbe avuto il compito di cercare questi "salvatori" e conferire loro il titolo onorifico di "Giusto". Questo piccolo organo voluto da Israele era composto da 35 persone, tra cui personalità pubbliche e storici (anche sopravvissuti allo stesso Olocausto). Ciascuno di loro doveva eseguire le proprie ricerche, tra documentazioni e testimonianze, rispettando dei parametri scrupolosi.

Chi si vide ricevere questo titolo, veniva insignito di una medaglia all'onore e otteneva il privilegio di vedere il proprio nome inciso nel celebre "Giardino dei Giusti", una delle destinazioni più importanti nell'intero turismo ebraico e nel museo del memoriale di Yad Vashem.

Giardino dei Giusti tra le nazioni; Gerusalemme

Giardino dei Giusti tra le nazioni; Milano (con Liliana Segre, sopravvissuta Auschwitz)

Oltre al semplice titolo onorifico, essere un Giusto comporta anche dei benefici assistenziali dallo Stato di Israele nel caso in cui la persona dovesse trovarsi in difficoltà economiche o dovesse avere problemi di salute.

Il nostro Paese è al mondo l'ottavo, in una lista di 42 stati, per numero di persone che, dal 1962 al 2019, sono state riconosciute per il loro innegabile coraggio. Nel memoriale ebraico si contano, per adesso, ben 714 italiani.
Fra questi ne vogliamo elencare alcuni dei più celebri, per concludere un lungo discorso che, speriamo, possa avervi fornito maggiori nozioni per affrontare questo 27 Gennaio 2021.

Carlo Angela

Padre dell'amatissimo Piero Angela e nonno di Alberto Angela, che era un medico e antifascista piemontese. Egli nascose nella sua clinica numerosi ebrei e antifascisti, fingendo che fossero malati. La polizia, sospettosa del suo comportamento, lo convocò a Torino, dove rischiò la fucilazione durante una rappresaglia. L'aspetto affascinante di questo gesto fu l'umiltà dell'uomo che, per oltre mezzo secolo, tenne tutto ciò nascosto, fino a quando Renzo Segre non ne parlò nel libro "Venti mesi", nel 1995;

Giorgio Perlasca

Era un commerciante padovano che contribuì alla salvezza di decine di ebrei a Budapest, dove si spacciò per diplomatico spagnolo. Se siete interessati alla sua storia, potreste leggere il libro del giornalista Enrico Deaglio, "La banalità del bene" (con un titolo ispirato chiaramente alla famosissima opera di Hannah Arendt, "La banalità del male"), o guardare il film "Perlasca - un eroe italiano";

Lorenzo Perrone era un semplice muratore italiano che , per pura casualità, si ritrovò ad Auschwitz non come prigioniero, bensì come lavoratore pagato. Nell'estate del 1944 Perrone conobbe Primo Levi, uno dei più celebri scrittori italiani riguardo il tema dell'Olocausto, e fra i due, entrambi originari del Piemonte, nacque una forte amicizia.

Levi scrisse nel suo libro, "Se questo è un uomo", come l'amico "libero" gli portasse del cibo in più di nascosto, alcune volte il suo intero pasto, e di come una volta gli avesse regalato una veste da poter nascondere sopra il classico abbigliamento a strisce del campo, al fine di proteggersi dal freddo. Nonostante il grande coraggio, manifestato anche con altri prigionieri, gli orrori del campo minarono fortemente la sua salute mentale, portandolo ad avere problemi con l'alcolismo. Quando Primo Levi uscì da Auschwitz provò ad aiutarlo, ma Perrone, con una salute psichica instabile tanto quanto quella fisica, morì di tubercolosi nel 1952. I figli di Levi si chiameranno rispettivamente: Lisa Lorenza e Renzo.