Il lato oscuro della NASA: i peggiori disastri nella storia dell'Agenzia

Anche la NASA ha degli scheletri nell'armadio: disastri e incidenti spesso frutto di cattiva amministrazione e negligenze. Analizziamone alcuni insieme.

Il lato oscuro della NASA: i peggiori disastri nella storia dell'Agenzia
INFORMAZIONI SCHEDA
Articolo a cura di

Non c'è successo senza fallimento, non c'è vittoria senza perdita e non c'è evoluzione senza sacrificio: su questa ideologia si fonda un po' tutta la grande ricerca della Verità alla quale l'umanità è disperatamente devota. Una parte di questa ricerca - come sappiamo - risiede nell'esplorazione spaziale e nell'impegnarsi ad esplorare l'ignoto, "l'abisso degli abissi", "the deepest of the deep" (come recitava il famoso "discorso B" del presidente Nixon, qualora gli astronauti dell'Apollo 11 non fossero riusciti a tornare a casa) e non senza una buona dose di rischi.
Ogni missione è stata calcolata in ogni dettaglio, senza lasciare nulla al caso, ma per quanto l'Uomo si sforzi c'è sempre una percentuale minima di fallimento critico, indipendente dalle misure di sicurezza adottate. Con questa ineluttabile percentuale ha avuto spesso a che fare la NASA che, tra i tanti successi e le glorie, ha anche collezionato una lista di disastri assai gravosi, pagandone il fio con il più alto dei prezzi: le vite umane. Nella nostra rubrica di oggi ripercorriamo alcuni dei più gravi incidenti che siano mai avvenuti nella storia dell'agenzia statunitense, approfondendone cause ed effetti.

Il disastro dell'Apollo 1

La percentuale che poc'anzi abbiamo citato è spesso frutto dell'errore umano, un fattore aleatorio impossibile da eliminare del tutto nonostante le contromisure. Per affrontare questa spina nel fianco si cerca di essere preparati, di avere un piano B (persino C), e di trovare sempre una soluzione nel minor tempo possibile. Il vero problema è quando si cerca di fare qualcosa di straordinario e avere sulle spalle una gravosa "data di scadenza": le missioni Apollo nascevano come desiderio di spingere l'Uomo oltre i confini del proprio pianeta natale, ma c'era anche una fortissima componente politica e di propaganda, cioè sconfiggere la URSS durante il periodo della Guerra Fredda.
Era l'elemento propulsivo che spinse l'Uomo a compiere miracoli della tecnologia e ad arrivare più lontano di chiunque nella storia, ma fu anche causa di diverse "leggerezze", che inevitabilmente si tradussero in disastri. La storia dell'Apollo 1 ne è la prova lampante: il primo volo con equipaggio umano del progetto sarebbe dovuto partire il 21 febbraio 1967 da Cape Canaveral, ma durante un'esercitazione tenutasi il 27 gennaio dello stesso anno, si verificò un incendio.
La capsula era altamente pressurizzata con un'atmosfera composta quasi esclusivamente da ossigeno (e non da una miscela ossigeno più azoto, perché più "economica" e leggera); il portellone d'ingresso per l'equipaggio era poi - a tutti gli effetti - mal progettato: non poteva essere aperto dall'interno se la capsula era pressurizzata e richiedeva oltre cinque minuti per essere sbloccato dall'esterno.

Durante il test del 1967 un cavo di rame, spogliato del suo rivestimento isolante, causò una serie di scintille generando un violentissimo incendio che divampò in meno di una decina di secondi (si scoprì che il cavo strusciava contro un perno del portellone, e a causa dei movimenti di apertura e chiusura era stato del tutto usurato). L'aria così satura di ossigeno (il comburente per eccellenza) generò una sorta di "esplosione" nella capsula, bruciando qualsiasi cosa si trovasse all'interno.

I tre astronauti presenti all'interno non ebbero scampo: Virgil "Gus" Grissom, Edward White e Roger Chaffee, furono ritrovati quasi completamente carbonizzati e addirittura fusi con le loro tute. I primi soccorritori raccontano di come sia stato difficile riconoscerli, e che solo grazie ai "posti prestabiliti" era possibile determinare chi fosse chi.
Da allora la NASA ha imparato molto: le capsule moderne hanno procedure di emergenza per essere aperte in poche mosse, non c'è più aria composta da solo ossigeno e soprattutto ogni materiale selezionato per i veicoli spaziali è totalmente ignifugo. Curioso il fatto che dopo l'incidente dell'Apollo 1 gli ingegneri si misero a revisionare la capsula, risolvendo altri 1407 problemi critici prima di allora passati in sordina.

Il disastro dello Space Shuttle Challenger

Sembrava che la NASA avesse assunto eccezionali misure di sicurezza dopo aver perso i tre astronauti dell'Apollo 1, ma la dura realtà colpì come un pugno in faccia gli ingegneri (e i milioni di spettatori) quando, nel 1986, lo Space Shuttle Challenger esplose dopo soli 73 secondi dal decollo. Ma andiamo con calma. Il programma Space Shuttle fu uno dei più innovativi e avveniristici mai progettati dall'agenzia spaziale americana: ancora oggi i motori del veicolo sono utilizzati e fondamentali, e andranno persino a far parte del nuovo SLS che dovrà portare l'umanità sulla Luna nel 2024.
Nato nel 1981, fu il primo esperimento - riuscito - di veicolo riutilizzabile per operare in orbita bassa: veniva trasportato nello Spazio mediante due Solid Booster laterali, insieme all'External Tank, principalmente un'enorme cisterna contenete carburante e propellente. Questi tre pezzi venivano rilasciati prima di entrare in orbita mentre l'Orbiter Vehicle (quello che chiamiamo impropriamente Shuttle) proseguiva la sua corsa. Quando volò per la prima volta fu un successo incredibile, che emozionò il popolo americano (e non solo) al punto da proclamare festa nazionale il giorno del primo rientro atmosferico.
Persino un giovanissimo e adolescente Spielberg partecipò, in diretta, all'evento. Gli anni e i voli dello Shuttle proseguivano bene, ma l'interesse dei media e della popolazione iniziava a calare: nel 1985-1986 i voli erano seguiti da meno di un terzo di quelli che avevano assistito ai primi lanci. Occorreva inserire una "novità" per interessare di nuovo il pubblico. Si scelse di far partecipare ad una missione spaziale nientepopodimeno che un civile, in particolar modo un insegnante, che avrebbe tenuto una lezione in diretta streaming proprio dallo Shuttle durante il volo in orbita.

Dopo un casting curato direttamente dalla NASA fu scelta l'insegnate Sharon Christa McAuliffe, insieme ad un equipaggio di altri sei astronauti per un totale di sette persone a bordo del Challenger. Il giorno del 28 gennaio 1986 l'eccitazione era alle stelle, con molteplici dirette satellitari che collegavano milioni di spettatori in tutto il mondo (la cui maggior parte erano ragazzini collegati dalle proprie scuole).

Nessuno si aspettava che dopo 73 secondi dal lancio, quando ormai lo Shuttle era a 14km di quota, l'intero vettore sarebbe stato avvolto dalle fiamme, disintegrandosi e finendo in mille pezzi. Uno shock che ancora oggi fa sentire la sua eco, soprattutto perché il disastro era stato "annunciato" da alcuni ingegneri: secondo i rapporti dell'inchiesta che ne seguì, infatti, una guarnizione di gomma del booster laterale - denominata "O'Ring" - era troppo soggetta all'usura, soprattutto con temperature fredde e rigide che ne riducevano le capacità elastiche.
Quel giorno di gennaio c'era ghiaccio ovunque sul pad di lancio, ma si decise di lanciare comunque: i ritardi costavano denaro (e ve ne erano stati già due per il Challenger), e bisognava recuperare quanto prima il favore del pubblico, in più il pericolo degli O'Ring difettosi era stato preso ampiamente sottogamba.

Quella mattina tutti e sette i membri dell'equipaggio morirono, ma non per le fiamme o per la distruzione del veicolo, bensì per lo schianto che il modulo ebbe contro la superficie del mare, ad una velocità di circa 333 km/h. Si è dibattuto spesso sulla "sconsideratezza" della NASA e su quanto fu colpevole dell'incidente, ma tra i vari pareri e opinioni ci piace semplicemente ricordare che quelle sette persone diedero la vita per un qualcosa che amavano, e che ancora oggi sono ricordati come eroi.

Il disastro dello Space Shuttle Columbia

"Perché cadiamo? Per imparare a rialzarci" disse una volta qualcuno di famoso. Si sbaglia per imparare dai propri errori, si accumula esperienza e si evita di perseverare nelle proprie negligenze. Almeno in teoria. Sembra che la NASA invece, non abbia sempre seguito questa filosofia e infatti, nel più recente 2003, ci fu un altro grave incidente a darne prova: lo Space Shuttle Columbia era partito senza alcun apparente problema di sorta il 16 gennaio dello stesso anno e, dopo aver effettuato diciassette giorni di test scientifici in orbita, era pronto al rientro il 1° febbraio 2003. Dopo circa mezz'ora dall'inizio del rientro in atmosfera dell'orbiter i contatti radio vengono persi, la telemetria impazzisce e i primi testimoni oculari (per lo più i residenti di Dallas e zone limitrofe) segnalano un forte odore di bruciato e pioggia di detriti in fiamme: lo Shuttle era distrutto, e con esso persero la vita anche tutti i membri dell'equipaggio.

Si scoprì, dopo una severissima indagine, che lo scudo termico del veicolo (in particolare un pannello RCC posto sulle ali) era stato pesantemente danneggiato durante la manovra di decollo da un pezzo di schiuma isolante, precipitato con una certa forza sulla tegola del sistema di protezione termica.

Secondo i test riprodotti poi dalla commissione d'esame, l'impatto creò un buco di 41 x 42.5 cm nell'RCC, e questo compromise irrimediabilmente l'isolamento dello Shuttle, facendolo andare in mille pezzi a causa delle forze d'attrito e dal calore prodotto dal rientro atmosferico. La causa sì, fu il pezzo di isolante caduto, ma la Commissione puntò il dito principalmente contro la NASA, criticandone aspramente i processi decisionali e la valutazione di rischio.
Era come se l'Agenzia avesse bollato gli urti sullo scudo termico come "normali deviazioni" dai criteri di progettazione, non avendo conseguenze fatali. La cosa insolita era che la NASA imponeva una serissima regolamentazione sulla costruzione degli Shuttle, soprattutto nel rivestimento termico, ma non aveva mai preso precauzioni o riforme progettuali per meglio proteggerlo da urti e detriti che si verificavano puntualmente ad ogni lancio.
Ciò fu vista come una grave mancanza, traducibile con il pensiero "fin quando funziona, lasciamo tutto com'è". A pagare lo scotto, alla fine, è stato l'equipaggio della missione STS-107, e un po' tutta l'esplorazione spaziale che da allora subì una brusca frenata, fermando i voli Shuttle per oltre tre anni e ritardando la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale, che per fortuna fu ultimata grazie al programma russo con le navicelle Progress e Sojuz.

Il futuro è così rischioso?

Quella del Columbia è stata l'ultima calamità che ha richiesto vite umane come pagamento per quanto riguarda l'esplorazione spaziale (escludendo il pilota morto durante il volo di collaudo della SpaceShipTwo, di proprietà della Virgin Galactic) , e per fortuna da allora le varie agenzie spaziali di tutto il mondo hanno imparato che la sicurezza è davvero la cosa da mettere al primo posto. Questa, come qualcuno potrà ben intuire, è stata anche una delle cause per cui l'umanità non è tornata più sulla Luna né ha compiuto altri passi "da gigante": l'inasprirsi - a fin di bene - delle procedure di controllo, di sicurezza e di costruzione ha fatto gonfiare enormemente i costi della Corsa allo Spazio, tanto che nel 2011 il programma Shuttle fu addirittura ritirato dall'allora presidente Barack Obama.
Oggi viviamo con la speranza che tutto quello appreso in questi anni possa ricondurci in maniera sicura tra le stelle: agenzie spaziali e compagnie private si stanno impegnando per unirsi e collaborare al fine di abbattere i costi, rimanere vigili, e allo stesso tempo riconquistare il posto che ci spetta come esploratori e pionieri dello spazio.
Il sacrificio richiesto forse è stato troppo alto da pagare? Chi può dirlo, di certo è un argomento che non troverà mai risposte definitive, in quanto avrà sempre sostenitori e detrattori da ambo i lati. Per conto nostro ci auguriamo che - nonostante tutto - l'esplorazione spaziale continui e che le promesse fatte siano rispettate nel corso di questo decennio, non tanto per saziare la nostra fama di imprese epiche, ma per dare lustro (e soprattutto dare senso) ai giganti che si sono sacrificati per noi, e che ci portano sulle loro spalle anche se non sono più tra noi. Il lascito regalatoci da chi è venuto prima non dovrà mai essere dato per scontato.