Il problema dei neutrini solari e la sua elegante soluzione

I neutrini sono stati per molto tempo un mistero, che va dai primi modelli stellari fino alla definitiva risoluzione, con il premio Nobel del 2015.

Il problema dei neutrini solari e la sua elegante soluzione
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I neutrini sono stati per molto tempo oggetti misteriosi. Il loro fascino è stato alimentato nel tempo anche grazie ad un susseguirsi di teorie e speculazioni sulla loro natura e sulle loro caratteristiche: non hanno una massa, poi la hanno, poi vanno più veloci della luce, poi non ci vanno, poi sono di molti tipi diversi, poi sono uno e trino (cioè oscillano, come vedremo).
La storia dei neutrini vede protagonisti una serie di esperimenti sorprendenti fatti all'interno di grotte e miniere, dati che sembravano errori grossolani e colpi di scena che, ci auguriamo, allietino i vostri prossimi cinque minuti.

Excursus sul neutrino

Per cominciare, cosa è un neutrino? È una particella subatomica elementare, come l'elettrone o il quark, con una massa piccolissima (per molto tempo si è pensato che fosse appunto 0) e carica nulla. L'esistenza del neutrino è stata postulata nel 1930 da Wolfgang Pauli con lo scopo di spiegare lo spettro continuo del decadimento beta. Ne esitono di tre tipi diversi: neutrini muonici, neutrini tauonici e neutrini elettronici (con i loro rispettivi antineutrini). Il sole produce un numero considerevole di quest'ultimo tipo (gli elettronici) ogni secondo, in varie reazioni nucleari. In particolare, dai conti, risulta che sono circa 3.7 per 10^38 ogni secondo.
Ciò implica che, se consideriamo la parte di questi neutrini che colpisce la Terra, ogni centimetro quadro del pianeta (e quindi anche del nostro corpo) viene attraversato, ogni secondo, da circa centocinquanta miliardi di neutrini. Ripetiamo: ogni secondo, in ogni centimetro quadro. Leviamoci subito il dente: sono forse dannosi?

Interazione dei neutrini con la materia

Per creare un danno biologico, una particella deve interagire con la materia, ad esempio con una molecola di DNA, e danneggiarla. Se non c'è nessuna interazione, non può esserci alcun danno. Inoltre, il corpo umano possiede una tolleranza a questi "danni", un sistema di riparazione efficiente che riduce di molto la probabilità che una radiazione ionizzante crei, ad esempio, un tumore. Ma nulla di tutto questo ha a che fare con i neutrini.

Questi hanno una probabilità di interazione con la materia estremamente bassa, la stragrande maggioranza di essi riesce ad attraversare tutto il pianeta senza interagire con nulla, come se il pianeta non esistesse, figuriamoci il nostro corpo. Ecco perché non c'è alcun "tunnel per i neutrini" (qualcuno si ricorda questa gaffe?) che collega i laboratori del Gran Sasso a Ginevra, i neutrini passano serenamente attraverso la materia senza interagire quasi mai.
È stato calcolato che occorrerebbe un ipotetico muro di piombo spesso un anno luce per bloccare la metà dei neutrini che lo attraversano. Quindi sulla Terra arrivano tutti questi neutrini e, come abbiamo visto, sono praticamente impossibili da rivelare, ma perché ci interessa rivelarli?

Il modello stellare

Negli anni d'oro dello sviluppo della fisica nucleare si è cominciato a sospettare che l'energia proveniente dal Sole fosse generata proprio da reazioni nucleari, con protagonista assoluta la fusione nucleare. Il motivo era presto detto: se si prendeva in considerazione la sola energia proveniente dalla massa del Sole, l'energia gravitazionale, questa sarebbe bastata (prima di terminare) per tenerlo acceso soltanto un milione di anni circa; ma, come ben sappiamo, il Sole ha quasi cinque miliardi di anni ed è previsto che ne durerà, più o meno, altrettanti. Era quindi necessario pensare ad una fonte di energia da affiancare all'energia gravitazionale e la fusione nucleare sembrava perfetta (anche come energia anche qua sulla Terra). Così si studiò un modello che valesse non solo per il Sole ma in generale per qualsiasi stella.

Tale modello prevedeva varie reazioni nucleari diverse che si dividevano in due importanti cicli: il primo, chiamato ciclo protone protone (p-p), prevedeva la fusione di due protoni in un nucleo di elio (e continuava con diverse altre reazioni); il secondo, chiamato ciclo CNO (carbonio, azoto, ossigeno), prevedeva appunto varie reazioni nucleari con protagonisti questi tre elementi in modo ciclico.

Nulla e nessuno ci poteva confermare che questo modello fosse giusto, e che questi due cicli fossero gli effettivi protagonisti delle reazioni presenti all'interno del Sole o di qualsiasi altra stella. Certo, i conti tornavano, ma nella scienza serve sempre anche una prova sperimentale (per la verità più di una). Tuttavia nei cicli p-p e CNO erano presenti delle reazioni che prevedevano la formazione di neutrini elettronici con determinate energie. In particolare le reazioni interessanti erano quattro, ognuna con la produzione di un neutrino elettronico avente una sua energia peculiare.
Da qua l'idea: se avessimo trovato i neutrini elettronici dell'energia attesa e nel numero atteso, questa sarebbe stata una buona prova della bontà del modello. Gli esperimenti fondamentali riguardo i neutrini sono due: quello che ha trovato l'idea per rivelarli e quello che ha risolto definitivamente il problema della loro "oscillazione".

Gli esperimenti nelle miniere

Ray Davis ha avuto l'idea di sfruttare una reazione nucleare rara che avviene quando un neutrino elettronico interagisce con il cloro 37, dando come reagenti argon 37 e un elettrone. Ciò significa che ogni neutrino elettronico che interagisce, produce un atomo di argon 37, in seguito sarebbe bastato "contare" questi ultimi per capire il numero di neutrini che avevano interagito. Conoscendo la quantità di cloro a disposizione, era possibile calcolare gli eventi attesi, cioè il numero di atomi di argon 37 che ci aspettavamo di contare per concludere che il modello era corretto. Ma quanto cloro serviva per questo esperimento? Molto, una vasca intera con una quantità di atomi di cloro dell'ordine di 10^30. Un'intera vasca di cloro per vedere quanti neutrini? Circa uno a settimana, o almeno questo è quello che si aspettavano di trovare.
C'era un ulteriore problema: la presenza dei raggi cosmici (fotoni e particelle cariche provenienti dallo spazio). Ed era un bel problema perché il metodo con cui venivano contati gli atomi di argon era fortemente influenzato da questa radiazione cosmica. Per questo motivo si pensò di svolgere tali esperimenti dentro le miniere, in modo che lo strato di montagna sovrastante bloccasse qualsiasi radiazione. Qualsiasi radiazione tranne che i neutrini, ovviamente.

Strani risultati

Dopo moltissimi mesi di studi (d'altra parte con soltanto un neutrino a settimana!) David si accorse che i risultati che stava ottenendo erano esattamente un terzo di quelli attesi. Mancavano all'appello due terzi dei neutrini. La situazione non era semplice: era quindi sbagliato il modello? Era forse sbagliato l'esperimento? D'altronde era un esperimento molto complesso. Un'ultima alternativa era che ci fosse una ragione fisica dietro ad un risultato di questo tipo, qualcosa che riguardasse la natura dei neutrini elettronici. Tutti gli esperimenti seguenti confermarono i risultati di Davis: gli esperimenti dei laboratori sotto il Gran Sasso (esperimento Gallex), gli esperimenti del Sage (Russia), gli esperimenti Kamiokande e Super-kamiokande (nelle miniere giapponesi Kamiokande). In particolare, in quest'ultimo esperimento la miniera è stata interamente riempita d'acqua, con l'obiettivo di studiare lo scattering elastico del neutrino sugli elettroni dell'acqua.

È un evento più raro di quelli visti in precedenza, ma se riempiamo un'intera miniera di acqua la quantità di eventi possibili diventa sufficientemenete grande da rendere la frequenza accettabile. La miniera è stata poi rivestita da fotomoltiplicatori, in grado di vedere il fotone Cherenkov creato dall'elettrone durante l'interazione con il neutrino.

Nel frattempo, con il passare degli anni, il modello solare si è raffinato moltissimo, riuscendo a spiegare sempre più dettagli di tutta la fisica solare. Era quindi sempre più improbabile che fosse la causa di un fattore di errore così grande nella produzione di neutrini. E non poteva ugualmente essere più "colpa" dell'esperimento di Davis, in quanto vari esperimenti diversi, svolti con metodologie diverse, confermavano lo stesso risultato: continuavano a mancare all'appello due terzi dei neutrini. Evidentemente, la ragione doveva essere fisica.

L'esperimento decisivo: Sudbury Neutrino Observatory

Come nell'esperimento giapponese, anche in questo caso si è riempita una miniera canadese di acqua, stavolta arricchita di deuterio (un isotopo dell'idrogeno). Un esperimento incredibilmente costoso. Ma perché il deuterio? Il deuterio ha due reazioni possibili con il neutrino.
Una prevede l'interazione del neutrino elettronico, similmente a ciò che avviene nel Super-kamiokande, ma la seconda reazione avviene in corrente neutra, con lo scambio di un bosone z.

Ciò significa che questa seconda reazione non necessita di un neutrino elettronico, va ugualmente bene un neutrino muonico o tauonico. Tuttavia, ricordiamo, i neutrini generati dal Sole erano indubbiamente solo elettronici. Ecco perché fu un colpo di scena inaspettato osservare che, mentre la prima reazione confermava i risultati di Davis, la seconda mostrava tutti i neutrini attesi dal modello.
Questo ha dimostrato in un colpo solo che i modelli stellari andavano benissimo e che i neutrini oscillano. I neutrini che dal Sole partivano come elettronici oscillano tra i tre differenti stati durante il loro percorso: una caratteristica intrinseca della natura del neutrino. Per questo motivo hanno vinto (meritatamente) il premio Nobel per la fisica nel 2015.

Una soluzione elegante ad un problema complesso.