IPTV: un fenomeno sempre più diffuso ma spesso illegale

Sono sempre di più gli italiani che si approcciano all'IPTV, scappatoia spesso illegale per risparmiare sui costosissimi abbonamenti tv.

IPTV: un fenomeno sempre più diffuso ma spesso illegale
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Doveva essere la grande rivoluzione della fruizione dei contenuti in rete e in un certo senso lo è stata. Si chiama IPTV ed è il protocollo che permette la trasmissione via internet del segnale televisivo. Oggi tutto questo è tragicamente diventato sinonimo di streaming illegale, di siti che offrono a poche decine di euro contenuti, canali e pacchetti interi delle più importanti pay-tv del mondo. Un grande risparmio per il consumatore ma un grande danno per chi i contenuti li crea e per tutti gli utenti che pagano i normali abbonamenti. Il fenomeno sta prendendo sempre più piede anche in Italia, con un passaparola forsennato e una schiera sempre più ampia di utenti che, più o meno inconsapevolmente, violano la legge.

Emergenza globale

IPTV ha mosso i suoi primi passi nel mondo ormai dieci anni fa, diffondendosi pian piano anche nel nostro Paese. Ha sempre dato la possibilità di consumare contenuti televisivi e in digitale, in HD e on demand grazie al semplice utilizzo di una rete internet a banda larga. L'aumento delle connessioni sempre più veloci e la diffusione a livello più o meno capillare della fibra ottica hanno reso il servizio alquanto popolare: il suo valore complessivo potrebbe potenzialmente raggiungere i 117 miliardi di introiti e i 130 milioni di abbonati legali entro il 2025. Il futuro della tv, insomma, passerebbe proprio attraverso questa tecnologia.
I pirati informatici però, come spesso accade, si sono mossi in modo molto più rapido, dando all'IPTV una forte impronta illegale: a livello internazionale il fenomeno è in continua espansione, nei soli Stati Uniti e Canada il 5,5% della popolazione, soprattutto nelle aree urbane più popolate, è abbonato a servizi IPTV pirata. Nelle grandi città dei due paesi si arriva a una penetrazione del 7,3%. Si tratta di persone che si armano di tutto punto per fruire al meglio dei contenuti tra abbonamenti e acquisti di veri e propri set-top-box per lo streaming.
In Europa la tecnologia ha iniziato ad assumere connotati illegali solo negli ultimi anni: in Francia siamo già al 4% di utilizzo, con tragiche previsioni di crescita nei prossimi mesi. Ancora peggiore la situazione nel mercato asiatico: i box dei servizi streaming pirata sono stati acquistati dal 45% della popolazione thailandese e dal 15% degli abitanti di Singapore. In Cina il 64% della popolazione ritiene accettabile guadare contenuti pirata su IPTV.

La situazione italiana

Nel nostro Paese non esistono ancora rilevazioni ufficiali sulla diffusione di un fenomeno ancora giovane seppur in piena e totale crescita. 4,6 milioni di italiani, a oggi, fruiscono illegalmente di eventi sportivi live. Il calcio è come sempre al centro dell'attenzione del pubblico, con già più di 43.000 violazioni nel solo girone d'andata della stagione 2018/2019 e un +50% rispetto a quanto fatto registrare lo scorso anno. Secondo una ricerca Ipsos, tre pirati su quattro utilizzano metodi illegali per guardare le partite di calcio grazie ai sistemi di IPTV e ai decoder illegali, spendendo cifre tra i 10 e i 20 euro, in barba ad abbonamenti legali che spesso superano queste cifre di due o tre volte.
Secondo stime più o meno precise sono almeno 350 milioni gli euro persi dal sistema calcio per colpa delle IPTV illegali. Il fenomeno si espande a macchia d'olio: tantissimi utenti utilizzano questi sistemi anche per Formula 1, MotoGP e tennis, con il 23% dei pirati, circa 1 milione di utenti, che guarda in modo illegale eventi sportivi live e il 35% che invece li utilizza per guardare film, serie tv e programmi televisivi. Gli atti di pirateria compiuti lo scorso anno dagli utenti italiani sono stati ben 21 milioni.

Un business milionario

Seppur nell'illegalità più totale, è innegabile la convenienza di questo tipo di soluzioni per il pubblico. Con un unico abbonamento si ha libero accesso a tutto il panorama televisivo e on demand italiano e mondiale: Netflix, Sky, Dazn, film, serie tv, documentari, eventi sportivi di ogni genere e sorta e canali altrimenti inaccessibili. Dietro questi pacchetti si celano, spesso e volentieri, vere e proprie organizzazioni criminali con server dislocati in vari punti del mondo per garantire un certo livello di qualità dei contenuti.
È incredibile sapere come, nonostante si vada ampiamente contro la legge, spesso si riesca a garantire all'utilizzatore una qualità video più che adeguata, in alta definizione e con una fluidità di trasmissione quasi perfetta. Queste organizzazioni riescono ad acquistare un numero di abbonamenti legali tramite cui lanciare i segnali che poi vengono utilizzati per fornire al pubblico il servizio illegale.
Basta una rapida occhiata ad alcuni dei più importanti portali di compravendita online per trovare non solo set per l'utilizzo della tecnologia - perfettamente a norma di legge - ma anche abbonamenti tutto compreso che fanno ben poco per nascondere la loro natura fraudolenta. Queste sottoscrizioni offrono pacchetti tutto compreso e un'assistenza che permette una configurazione in pochi e semplici passi. A livello mobile basta avere le applicazioni giuste, anche queste legali, per poter usufruire del proprio abbonamento senza troppi problemi.

Corsa ai ripari

Come spesso accade in questi casi, è la commistione tra legale e illegale a creare il fenomeno. L'IPTV è uno standard virtuoso per l'internet del futuro. Le app e i set-top-box da collegare alla tv non fanno altro che sfruttare uno standard dalle grandi potenzialità, capace di andare a braccetto con l'evoluzione della velocità della rete internet. Abbiamo a che fare con una tecnologia che ha catalizzato l'attenzione dei pirati informatici e che ha fatto subito presa anche tra gli utenti, come a suo tempo è accaduto con il peer-to-peer, i torrent o lo streaming, tutti sistemi virtuosi ma immancabile terreno fertile per pratiche illegali. Per la fruizione - legale - di qualsiasi contenuto, soprattutto per gli eventi sportivi, occorre pagare un gran numero di abbonamenti, spesso frammentati in più servizi e pacchetti che, tutti insieme, rappresentano un tetto di spesa non indifferente per un utente medio.
Va da se che servizi che offrono tutto questo a 10, 15 o 20 euro, in un unico servizio e con pochi e semplici passi facciano forte presa, nascondendo agli occhi del pubblico tutto il sottobosco fraudolento o i rischi penali che si incorrono nel fare uso di queste pratiche.

Il pubblico dovrebbe riflettere meglio sulle conseguenze delle proprie azioni, non pensare solo al tornaconto personale ma anche a chi quei contenuti li crea, li paga e li diffonde, lavoratori che meritano rispetto e compensi che così verrebbero irrimediabilmente compromessi. Allo stesso tempo broadcaster e piattaforme dovrebbero guardare con più attenzione alle esigenze di chi i contenuti li fruisce, evitando un'eccessiva frammentazione delle offerte e un costante aumento di prezzi che non fanno altro che spingere lo spettatore a cercare altre e più convenienti soluzioni.
La speranza è che tutto questo possa spingere da ambo le parti a una più attenta riflessione sulle condizioni di un sistema certamente ricco e variegato ma ancora parecchio migliorabile sotto più punti di vista.