La pirateria musicale ai tempi di Spotify: i brani pirata dalla Nuova Zelanda

Nonostante i servizi di streaming legale, la pirateria musicale continua ad essere forte e a causare problemi a chi lavora nel settore.

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La pirateria musicale è molto lontana dall'estinzione. In un mondo che permette oggi, con una quota mensile, di accedere a cataloghi sterminati di canzoni, la pirateria ha ancora successo, sfruttando delle falle nel sistema che in pochi si sarebbero aspettati solo qualche anno fa. In questo articolo non parleremo di Napster e della storia del fenomeno, ma esclusivamente della situazione attuale, con numeri in crescita e nuove frontiere per la circolazione dei contenuti illegali del tutto inaspettate.

Un controsenso

Fino a pochi anni fa un mondo in cui sterminate librerie di canzoni erano accessibili pagando una quota fissa mensile, relativamente bassa, era pura utiopia. Ebbene, ora esiste, e permette la fruizione dei contenuti anche gratuitamente. Pensiamo a Spotify, che consente di fare proprio questo tramite la sua applicazione per PC e tablet. L'utente può scegliere i brani da ascoltare, anche se sono appena usciti. L'unico compromesso è quello di sorbirsi ogni tanto una breve pubblicità, per poi tornare ad ascoltare gratuitamente 30 minuti di musica. Nel caso si voglia utilizzare Spotify in mobilità, invece, il prezzo è piuttosto contenuto: 9,99 euro per gli utenti standard e 4,99 euro per gli studenti. In questo modo, anche gli spot pubblicitari scompaiono e si possono ascoltare (anche offline) tutte le canzoni della enorme libreria del servizio.

Nell'ultimo periodo inoltre, Spotify ha aggiunto delle playlist accessibili gratuitamente da tutti, come Daily Mix e Release Radar, che contengono anche brani freschi di pubblicazione, selezionati in base alle preferenze degli utenti. Se non bastasse, da quando Google ha portato YouTube Music in Italia, sulla popolare piattaforma di streaming video sono iniziate ad apparire delle playlist, pubblicate direttamente sui canali ufficiali degli artisti o su quelli tematici, che contengono tutti i brani in alta qualità di un determinato album, a volte anche recente.
Tutto questo, ovviamente, accessibile gratuitamente, a patto di sorbirsi le solite pubblicità di YouTube. Come potete vedere, ascoltare musica legalmente, e senza spendere nulla, nel 2018 si può, è molto facile e vi consente di stare alla larga dalla pirateria.

Album e brani in anteprima

Nonostante le possibilità offerte oggi, i casi di pirateria nel mondo sono ancora piuttosto diffusi. Guardando al nostro paese, è recentemente salito agli onori delle cronache il caso del singolo "Fuoco e benzina" del noto rapper Emis Killa, che è finito con diverse ore di anticipo in pasto ai pirati del web, in particolare su alcuni gruppi Telegram. Nelle sue storie Instagram, Killa ha dichiarato: "Nonostante noi artisti pensassimo di aver risolto il problema della pirateria mettendo i dischi in streaming gratuito su Spotify, [...] ti pareva che non arrivavano questi [...] che li prendono dalla Nuova Zelanda [...] e li mettono su YouTube. [...] E' come se facessi il costruttore, impazzisco mesi per fare una casa come voglio io e durante la notte arriva uno a caso che prende e cambia i serramenti, mette le finestre come piacciono a lui". In parole povere, alcuni utenti sfruttano il fuso orario della Nuova Zelanda, dove i brani vengono pubblicati su Spotify circa 11 ore prima, per scaricarli e pubblicarli in "anteprima" sulle piattaforma di streaming video, in modo ovviamente illegale.

Per quanto i brani di Killa possono non piacere, sono comunque il frutto di duro lavoro, non solo suo, ma di molte persone che gli stanno accanto. In questo contesto, per chi non vuole pagare la soluzione è semplice: aspettare poche ore e ascoltare il brano su Spotify tramite PC o tablet o su YouTube, al posto di scaricarlo dai peggiori siti o canali Telegram.
Infatti, il brano "Fuoco e Benzina" era stato pubblicato sin da subito sulla piattaforma di streaming video di Google, direttamente sul canale di Emis Killa. Inoltre, come al solito, su Spotify era disponibile già dalla mezzanotte del giorno dell'uscita. Aspettare qualche ora non cambia nulla, ma per l'artista i danni possono essere enormi, visto che potrebbe anche ritrovarsi con molti ascolti in meno sui servizi di streaming legale, cosa che a volte può decretare il flop di un brano.

I numeri della pirateria musicale

In un recente rapporto della International Federation of the Photographic Industry (IFPI), vengono a galla i numeri globali della pirateria musicale. Il campione di ascoltatori preso in esame va dai 16 ai 64 anni e appartiene ai diciotto Paesi più "sviluppati" in ambito musicale, tra cui figura anche l'Italia. Ebbene, stando allo studio, il 38% delle persone ricorre a metodi illegali per ascoltare musica online. La pratica più utilizzata (32%) è quella dello stream ripping, ovvero la registrazione dell'audio dei video caricati su piattaforme come YouTube utilizzando appositi software. Una pratica che può gravare anche sulla qualità dell'ascolto, visto che spesso i contenuti di partenza sono caricati illegalmente da terzi e non dagli artisti. Si parla poi dell'immancabile peer-to-peer, ancora forte (23%) nonostante i suoi "tempi d'oro" siano finiti.
La terza modalità più utilizzata (17%) per scaricare illegalmente brani è tramite i motori di ricerca. Gli autori dello studio hanno provato anche a fornire una "spiegazione" alla pirateria musicale, senza comunque giustificarla: "(le persone, ndr) vogliono ascoltare le canzoni offline senza pagare i servizi Premium". Un'argomentazione che ha poco senso, visto che negli abbonamenti premium questa possibilità è sempre inclusa.

In questo contesto, è molto importante quanto dichiarato da David Price, uno degli autori dello studio, al The Guardian. In particolare, Price descrive come la pirateria musicale non sia più stata al centro dell'attenzione mediatica negli ultimi anni, ma questo non significa che sia morta, anzi. In ambito di legislazione, si sta muovendo qualcosa. Infatti, la IFPI, lavorando assieme alle case discografiche, ha già fatto chiudere nel 2017 uno dei più famosi siti di stream ripping: YouTube-MP3.
Inoltre, si stanno portando avanti iniziative con l'Unione Europea, con l'ormai famoso articolo 13 della direttiva sul Copyright, che renderebbe le piattaforme responsabili nella prevenzione del caricamento da parte degli utenti di contenuti soggetti al diritto d'autore. "Tuttavia, Spotify e affini non possono fare molto, perché sono già user-friendly", ha aggiunto Price. Insomma, alla fine si ritorna sempre allo stesso punto: a cambiare deve essere la mentalità delle persone.