Il metodo scientifico: estraiamo insieme il DNA a casa

Secondo capitolo della rubrica sul metodo scientifico: riproduciamo l'esperimento che ha portato alla scoperta del DNA nel 1869.

Il metodo scientifico: estraiamo insieme il DNA a casa
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Proseguiamo nella nostra rubrica sul metodo scientifico, dove raccontiamo gli aspetti fondamentali della scienza, la loro storia e spieghiamo come riprodurre alcuni iconici esperimenti con oggetti di tutti i giorni. Nel nostro primo articolo di questa "serie" vi abbiamo parlato di importanza e applicazioni del metodo scientifico, ovvero di quell'insieme di regolamentazioni che consentono di descrivere la realtà attraverso la scienza, pertanto in maniera oggettiva e verificabile. Oggi, invece, parleremo del DNA: cos'è, come funziona, perché è così fondamentale per gli organismi viventi ma, soprattutto, come estrarlo e poterlo vedere ad occhio nudo.
Siete curiosi? Non dovrete far altro che continuare la lettura!

Che cos'è il DNA

DNA è l'acronimo di acido desossiribonucleico, la macromolecola fondamentale per la maggior parte degli organismi viventi e delle entità biologiche.
Cerchiamo di fare chiarezza tramite una spiegazione breve ma il più possibile esaustiva: il DNA è una macromolecola formata da molti monomeri legati insieme definiti nucleotidi, all'interno dei quali sono presenti una base azotata, uno zucchero pentoso (il desossiribosio) e un gruppo fosfato legati insieme. Il DNA viene definito molecola fondamentale per gli esseri viventi in quanto detiene tutte le informazioni genetiche necessarie ad un organismo per espletare le sue funzioni.

Il funzionamento del DNA è tanto semplice quanto efficiente: vi sono due filamenti formati dallo zucchero pentoso (desossiribosio) e dal gruppo fosfato, che fanno da struttura portante per le basi azotate. Immaginate una scala a pioli in cui i corrimano sono i filamenti di zucchero e fosfato mentre i gradini sono, appunto, le basi azotate; queste ultime sono quattro: l'adenina, la guanina, la citosina e la timina.

Le basi azotate rappresentano il "significato" del DNA e l'ordine in cui sono disposte sul filamento rappresenta un codice che può essere letto in una sola direzione per poi essere trascritto e tradotto nelle funzioni pratiche delle cellule.

Immaginate il nostro sistema di scrittura: il nostro alfabeto è composto da 21 lettere e, a seconda del loro ordine, possiamo dare diversi significati alle parole (tasso e sosta presentano le stesse lettere ma hanno un significato totalmente diverso). Per il DNA è la stessa cosa e, a seconda dell'ordine delle basi azotate, si ottiene un diverso significato.
Il DNA viene poi trascritto in una forma più semplice, l'RNA, una molecola a singolo filamento molto simile ma con una base azotata differente (l'uracile al posto della timina) e con uno zucchero pentoso differente (il ribosio); per semplificare il concetto, se consideriamo il DNA un libro in cui sono scritte tutte le minime informazioni di un argomento, l'RNA potrebbe rappresentare il riassunto che prepariamo in vista di una interrogazione.

A questo punto, l'RNA viene tradotto in proteine tramite degli organelli cellulari chiamati ribosomi, in cui il singolo filamento viene letto e la sequenza delle basi azotate porta all'assemblaggio delle proteine tramite una sequenza corretta di amminoacidi. Le proteine sono deputate alla trasformazione dell'informazione in azione da parte della cellula e possiamo definirle come piccoli operai specializzati in compiti diversi a seconda del filamento di RNA che le ha create.

Perché proprio il DNA?

A partire dalla scoperta del DNA tramite la sua estrazione da una cellula nel 1869 da parte del biochimico svizzero Friederich Miescher, ci vollero quasi 80 anni perché gli scienziati dimostrassero che l'informazione era contenuta proprio in questa molecola. La presenza di proteine e RNA rendeva, infatti, difficile capire da chi derivasse l'informazione genetica ereditaria.

Nel 1943, un medico canadese e due genetisti effettuarono un esperimento in cui si posero come obiettivo lo studio di come diverse popolazioni batteriche potevano scambiarsi informazioni: presero dei batteri di tipo (R) non dannosi per l'uomo e li misero a contatto con batteri di tipo diverso (S) dotati di un'alta virulenza. In particolare, gli scienziati volevano capire come i batteri di tipo (S) potessero passare ai batteri di tipo (R) l'informazione che li portava a essere pericolosi per l'uomo, poiché era già noto dai primi decenni del 900 che i batteri potessero scambiarsi informazioni e dunque mutare.

Presero i batteri di tipo (S) virulenti e ne disattivarono sequenzialmente prima le proteine, poi l'RNA e infine il DNA. Dopodiché, misero questi tre campioni a contatto con i batteri non virulenti di tipo (R) e videro che solo i campioni in cui non era stato disattivato il DNA erano in grado di tramandare le informazioni ai batteri di tipo (R), i quali diventavano virulenti e pericolosi per l'organismo. Questo esperimento portò alla formulazione del principio trasformante che dimostra la possibilità degli organismi di lavorare solo in una direzione, dal DNA all'RNA alle proteine e non viceversa.

Quindi, accertato che il DNA contiene tutte le informazioni possibili di un organismo, ci aspettiamo una grande diversità di DNA tra diversi esseri viventi: in realtà, non è così. Considerate che gran parte del DNA non sappiamo ancora con precisione a cosa serva, ci sono delle sequenze dette codificanti (quelle che servono a produrre le proteine e quindi le funzioni della cellula) che conosciamo abbastanza bene e delle parti dette non codificanti ancora avvolte nel mistero (circa il 97% del genoma umano). Della parte codificante del DNA, noi esseri umani ne condividiamo circa il 99% con alcuni tipi di primati come lo scimpanzé e addirittura il 50% con le banane, secondo quanto emerso in uno studio.

Negli ultimi anni, il progresso e la ricerca hanno effettuato passi da gigante, ma bisogna considerare che il genoma dell'essere umano è stato sequenziato totalmente solo ad aprile di quest'anno. Un progetto nato più di 32 anni fa, di cui hanno fatto parte più di 250 scienziati, 20 istituti scientifici di ricerca e 6 nazioni. Il DNA di un Homo sapiens contiene all'incirca 3,2 miliardi paia di basi azotate per una singola cellula e, per la precisione, la prima mappatura del genoma risale al 2001; tuttavia, senza le strumentazioni odierne, gli scienziati non riuscirono a decifrare tutti i passaggi, e lasciarono delle lacune corrispondenti a circa l'8% del genoma.

Oggi, grazie al progetto internazionale chiamato Telomere-to-Telomere (T2T), è stato finalmente possibile leggere il DNA umano dall'inizio alla fine senza interruzioni. I ricercatori sono rimasti colpiti dal fatto che le parti mancanti consistevano in sequenze che si ripetono molte volte, un dato che dimostra come nelle ripetizioni si nasconda il segreto della diversità umana. Questa incredibile notizia ci aiuta a comprendere il livello di complessità di cui parliamo: dal sequenziamento all'attribuire il corretto il significato di queste basi azotate messe in un determinato ordine, il passo è enorme.

Ma se sequenziare il DNA risulta una pratica impossibile da fare in casa oggi, vogliamo proporvi la possibilità di effettuare con oggetti di uso comune il primo passaggio per studiare il DNA, ovvero la sua estrazione da un organismo vivente. Possiamo, dunque, cercare di riprodurre l'esperimento che portò alla scoperta del DNA nel 1869.

L'estrazione come tecnica scientifica

Prima di tutto, definiamo cosa significa estrazione: l'estrazione è un processo chimico-fisico di fondamentale importanza nella maggior parte delle procedure sperimentali, che permette di estrarre, quindi separare, una molecola da un campione in cui sia presente una miscela più o meno complessa.
L'estrazione può suddividersi in molte categorie e, in particolare, noi oggi presenteremo un'estrazione con solvente, ovvero il processo in cui da una miscela si estrae una molecola (soluto) tramite un solvente non miscibile con il primo.

Solitamente, si sfrutta la differenza tra due solventi, usando un solvente acquoso polare e uno organico apolare. Prendete ad esempio l'acqua e l'olio: questi due solventi non si miscelano tra loro perché presentano caratteristiche diverse come appunto la polarità, il concetto è lo stesso.

Per estrarre la molecola sceglieremo dei solventi in cui essa ha un comportamento differente. In uno dei due essa dev'essere totalmente insolubile, mentre deve solubilizzarsi bene nell'altro. Attenzione: nel nostro caso sfrutteremo l'estrazione con solvente al contrario di come si usa solitamente, ovvero useremo un solvente apolare in cui il DNA non sia solubile e lo vedremo in sospensione come un filamento bianco.

Ovviamente questa è una tecnica grossolana, mentre nei laboratori vengono utilizzate tecniche decisamente più accurate con composti appostiti, ma la teoria è pressoché identica. Inoltre, se volete dilettarvi, in commercio esistono diversi kit preimpostati per il campionamento del DNA. A diversi prezzi potete trovare quelli di base per le analisi di routine, fino a quelli estremamente più accurati e complessi nelle procedure utilizzati in chimica forense.

L'esperimento

Ma ora basta teoria, è il momento di sporcarci le mani. Ecco a voi la procedura per poter ricreare l'estrazione del DNA a partire da una cellula vegetale nella vostra cucina con strumenti di tutti i giorni:

Materiale
• Un frutto a scelta tra i seguenti: banana, fragola o kiwi.
• cloruro di sodio (sale da cucina)
• detersivo per piatti
• acqua, solvente polare (meglio se distillata)
• alcol etilico, solvente apolare (va bene sia quello alimentare sia quello rosa per le pulizie, ma sarà più difficile vedere i processi a causa del colorante)
• carta da filtro (è possibile usare anche quella del caffè), un colino o una garza a maglie strette
• un becher (o semplicemente un bicchiere) e una forchetta
• un cilindro graduato (o un contagocce)
• una provetta o un piccolo recipiente trasparente

Procedimento
1. Sbucciare la banana o il kiwi (non è necessario con la fragola), tagliare il frutto in due e prenderne una metà. Porre la banana in un becher e schiacciarla con una forchetta. In questo modo si disgregano meccanicamente i tessuti vegetali. Questa fase è fondamentale per rendere più fragile e frammentare in parte la parete cellulare.

2. Lisi cellulare. Si aggiungono 50 mL di acqua, 2 cucchiaini di sale e un cucchiaio di detersivo per i piatti. Mescolare con una forchetta. Lo scopo di questa fase è liberare il DNA dal nucleo in cui è contenuto. Il detersivo per i piatti contiene molecole di tensioattivi con doppia proprietà polare ed apolare, in grado di dissolvere le membrane biologiche (cellulare e nucleare) composte da lipidi. Il sale neutralizza le cariche negative dei gruppi fosfato e permette alle molecole di DNA di avvicinarsi tra loro, allontanando così le molecole di acqua che circondano l'acido nucleico. Il sale facilita la precipitazione della molecola (utile nel momento in cui verrà aggiunto l'alcol etilico).

3. Eliminazione dei residui. Ora dobbiamo filtrare il miscuglio ottenuto attraverso una carta da filtro (va benissimo anche una garza o un colino). Ripetere la filtrazione almeno due volte e recuperare il filtrato. La filtrazione elimina i residui cellulari e le parti di tessuto non disgregato. Se il miscuglio risulta difficile da filtrare aggiungere un po' d'acqua distillata.
4. Precipitazione del DNA. Lo scopo di questa fase è recuperare il DNA in forma solida. Prelevare 20 mL di filtrato e versarlo in un contenitore trasparente pulito. Aggiungere 20 mL di alcol etilico. Il DNA non è solubile in etanolo, quindi si avrà un surnatante (fase liquida nella parte superiore del contenitore) di alcol etilico abbastanza limpido e un pellet (precipitato) di DNA.

Questo meraviglioso video di NileRed, il nostro chimico preferito su YouTube, mostra il procedimento in modo esaustivo; inoltre, piccola curiosità, NileRed è il nome inglese del rosso Nilo anche conosciuto come osazone blu, un colorante lipofilo molto acceso che cambia colore se immerso in diversi solventi.

Si ringrazia caldamente Zanichelli per l'uso delle immagini, Sadava et al. La nuova biologia.blu © Zanichelli 2016