Net Neutrality: nell'era Trump il web è sotto attacco?

Addio alla net neutrality, negli USA si smantellano le regole introdotte da Obama. Ora il rischio è che il web cambi per sempre, in peggio.

Net Neutrality: nell'era Trump il web è sotto attacco?
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Lo scorso Giovedì la Federal Communications Commission ha terminato un inter che va avanti da mesi decidendo, una volta per tutte, di smantellare la net neutrality. Ma questa settimana è successa anche una cosa davvero insolita. Per la prima volta da... probabilmente sempre, si è sentito parlare di net neutrality un po' ovunque anche in Italia: sulla stampa generalista, su Facebook e, soprattutto, da parte di persone insospettabili. Poco mancava che diventasse argomento di conversazione pure al bar e nelle sale d'aspetto dei barbieri. Questo perché, per una volta, anche la gente comune ha avuto la percezione che il web -quella cosa preziosa, imprescindibile e, ormai, così centrale nelle nostre vite e nella nostra democrazia- fosse seriamente spacciato. Due le domande: si tratta di una percezione che coincide con la realtà? L'Italia rischia qualcosa? Come per molte cose non esiste solo il nero e il bianco. Ma facciamo un passo indietro, cerchiamo, intanto, di capire cosa sia questa benedetta neutralità della rete.

Perché la neutralità di rete è così importante

Con net neutrality si intende un principio tanto semplice quanto delicato e cruciale: il divieto in capo ai provider di discriminare arbitrariamente gli utilizzi della rete, scegliendo alcuni contenuti a cui dare priorità, penalizzandone degli altri. Per farla ancora più semplice: oggi Vodafone, Fastweb e Telecom non possono scegliere a quali pacchetti di dati dare priorità, poco importa che stiate utilizzando internet per scaricare dei referti medici, informarvi sul sito del Corriere o se, al contrario, stiate scaricando otto tera-byte di film piratati, o guardando hentai di dubbia moralità su qualche forum dimenticato da Dio. Non cambia nulla: al netto delle differenze di infrastruttura (adsl, fiber to the cabinet, to the home...), ognuno ha, per diritto, la stessa velocità di accesso a tutti i servizi che ritiene più opportuni. Dare maggiore velocità a determinati servizi, come i video di YouTube; bloccare o restringere alcuni contenuti (ad esempio Torrent) su basi completamente discrezionali; stringere accordi con colossi commerciali per garantire ai loro servizi una maggiore velocità di accesso a scapito della concorrenza. Tutte pratiche vietate e sanzionate in regime di net neutrality. Questo principio ha, poi, tutta una serie di implicazioni e sotto-declinazioni altrettanto importanti, la più rilevante è il divieto di pratiche di zero rating: i vostri operatori mobile non possono nemmeno stringere accordi con un'azienda per mettere i suoi servizi a tariffa zero, fuori dal conteggio dei dati. Vodafone non potrebbe, quindi, vedere pacchetti che permettano di usufruire di servizi specifici, come Netflix o Facebook, senza pesare sui GB forniti mensilmente. La ratio è chiara e inattaccabile: si tratta di una discriminazione, una scelta che inquina la concorrenza; l'uso di Netflix diventerebbe per il consumatore più conveniente rispetto a quello di Infinity o Now TV, e quello di Facebook diventerebbe preferibile a, ad esempio, Twitter, per le stesse ragioni.
Insomma, gli operatori mobile sarebbero in grado di scegliere vincitori e vinti del mercato. Anche la net neutrality nel senso più ampio poggia in parte su questa volontà di tutelare le realtà più piccole. In una news che riportammo lo scorso 31 Maggio, non a caso, abbiamo parlato di come il fondatore di Netflix, Reed Hastings, si era espresso contro la proposta di abolire la net neutrality utilizzando parole particolarmente chiare e dure. Grossomodo il messaggio era questo: "No, non cambia nulla a Netflix se oggi tolgono la neutralità della rete, ma se non ci fosse stata 10 anni fa, Netflix, per come lo conoscete, non sarebbe mai nato". In un'altra news ancora, questa volta del 29 Aprile scorso, avevamo riportato che oltre 800 startup americane si erano schierate contro la decisione della FCC al grido di "se uccidete la net neutrality, uccidete anche noi".

Il nesso è molto semplice: la net neutrality è, indubbiamente, uno dei più grandi garanti dell'innovazione tecnologica. Immaginare il perché è semplice. Prima del 2008 nessuno di noi avrebbe mai scommesso due lire sul fatto che un tale di nome Zuckerberg sarebbe stato in grado di spodestare MySpace o Netlog creando un social network che oggi conta 2 miliardi di utenti. Il punto è che oggi Facebook è una delle compagnie più potenti dell'intero pianeta. Ma all'epoca? Chiaramente no, nasce come un progetto semi-amatoriale di uno studentello di Harvard, figuratevi. Ora provate immaginare un mondo dove i provider possono fare accordi multimilionari con singole compagnie, immaginatevi che il signor MySpace si sieda al tavolo con il signor Verizon dicendogli: "guarda, sento un po' di fiato sul collo, facciamo che ti pago 200 milioni e tu i tuoi clienti me li fai navigare sul mio sito a velocità Sonic". Come pensate che sarebbe andata a finire? Facile che tra un social facilmente navigabile e uno che ci mette mezzo secolo a caricarsi, peraltro nuovo e senza troppi utenti, quest'ultimo non avrebbe ricevuto alcun boom, e oggi saremmo ancora a parlare delle nostre band preferite su MySpace o a prendere in giro truzzi ed emo su Netlog. Ovviamente si tratta di un'iperbole, se un progetto è valido ci sono buone chance che si trovino anche i finanziatori per superare in parte questo ostacolo, ma la morale è chiara: un web senza principio di neutralità è un web che tende ad essere chiuso, dove pochi grossi colossi hanno vita facile nel campare di rendita e nel consolidare la propria posizione dominante sul mercato.

Cosa è successo e come cambierà il web in America?

La decisione presa dalla FCC giovedì scorso non è esattamente un fulmine a ciel sereno. Come scrivevamo in apertura si tratta di un processo che va avanti da mesi, nonostante forti proteste da parte della stampa specializzata, e della pressoché totalità dei think tank e dei movimenti impegnati nella difesa dei diritti legati alla internet governance. La net neutrality è diventata legge negli USA soltanto nel 2015, dopo che la giurisprudenza, nell'ambito del caso "Verizon v. FCC" si era espressa sostenendo, in assenza di una normativa che andasse esplicitamente in tal senso, di non avere il potere per rafforzare il principio di net neutrality a livello federale. All'epoca non mancarono forti proteste da parte dei repubblicani e, ironia della sorte, già nel 2014 Donald Trump aveva twittato definendo l'allora semplice ambizione dei democratici di rendere la net neutrality legge "l'ennesimo attacco di Obama ad internet". Ben si comprende perché una delle prime mosse del mogul newyorchese sia stata proprio quella di nominare Ajit Pai nuovo chairman della FCC con l'obiettivo di dare un deciso cambio di rotta rispetto alle regole dell'era Obama.

Bene, ora cosa cambierà? Difficile davvero da dire. Molti hanno immaginato i peggiori scenari distopici, con un internet sempre più simile alla TV via cavo grazie a provider che venderanno pacchetti di accesso al web divisi per contenuto: vuoi guardare video in HD? Bene, paga un extra sul tuo piano base; vuoi giocare online a World of Warcaft o Destiny? Ottimo, sono 19,98$ per il pacchetto gaming online. Insomma, una cosa da mettersi le mani nei capelli. Potrebbe succedere? Potrebbe. Eppure bisogna fare una considerazione prima di disperarsi: lo smantellamento della net neutrality non è avvenuto in silenzio; mai come oggi gli occhi dell'opinione pubblica e dei consumatori sono puntati sui provider. Difficile che dal giorno alla notte ci siano stravolgimenti così forti e drastici, specie se in grado di danneggiare l'immagine delle compagnie telefoniche; più facile immaginare un mutamento graduale, con conseguenze, per quanto forti, estremamente occulte. Lo dicevamo poco sopra: se la net neutrality non ci fosse stata, probabilmente non avremmo mai avuto né Facebook, né Netflix. Una bella perdita di cui, semplicemente, non ci saremmo mai accorti. Pratiche di zero rating e accordi commerciali tra ISP e grosse realtà saranno all'ordine del giorno, più difficile ipotizzare quando (e se) ci saranno cambiamenti che colpiranno direttamente ed esplicitamente i consumatori.

E in Italia?

In Italia è in vigore dal 2015 la così detta Dichiarazione dei Diritti di Internet che, all'articolo 4, stabilisce il principio della Neutralità della rete affermando che "ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze".Anche il diritto dell'Unione Europea è intervenuto a difesa della net neutrality, rendendone il suo smantellamento pressoché impossibile. Ad ottobre del 2015 il Parlamento Europeo ha adottato un regolamento che, pur affermando il principio della neutralità, si prestava ad ambiguità, con il rischio che gli ISP europei si possano inventare qualche scappatoia per ignorare le restrizioni. A scongiurare questa possibilità era deputato il BEREC, in un certo senso l'equivalente europeo della FCC. Al BEREC spettava il delicato compito di rilasciare le linee guida da impiegare nell'interpretazione del regolamento europeo.

Due le strade: o le linee guida avrebbero mantenuto le ambiguità testuali presenti nel regolamento, dando via libera ai provider di ignorare la regole, o, al contrario, sarebbero intervenute per definire in termini più puntuali quanto lasciato dal regolamento a più interpretazioni. Si optò per la seconda strada e, da Agosto del 2016, possiamo tranquillamente dire che la net neutrality in Europa è salva e a prova di bomba. Tutto è bene quel che finisce bene? Purtroppo no. Un conto è poter dire, da consumatori europei, di avere la libertà di accedere ad ogni contenuto del web senza restrizioni o oneri aggiuntivi, altra cosa è poterci dire completamente immuni dalla conseguenza dei nuovi regolamenti statunitensi. Lo abbiamo detto: se la net neutrality produrrà distorsioni del mercato tali da frenare l'innovazione e la nascita di nuovi competitor globali, è certo che di questo ne pagheremo le conseguenze anche noi. Del resto la Silicon Valley è in California, e non a Bruxelles.