New Horizons: verso Plutone e oltre

La storia della missione che ha permesso all'uomo di osservare da vicino uno dei più controversi oggetti del nostro Sistema Solare: Plutone.

New Horizons: verso Plutone e oltre
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Quando, nel 1930, Clyde Tombaugh scoprì Plutone probabilmente non immaginava le proporzioni del dibattito che ne sarebbe scaturito.
Man mano che l'osservazione del Sistema Solare progrediva e il numero di corpi celesti scoperti aumentava, un numero sempre crescente di astronomi iniziava a pensare che, forse, il titolo di "pianeta" non fosse il più adatto per Plutone. Fu così che nel 1993, a 77 anni dalla sua scoperta, la comunità scientifica decise di declassarlo a pianeta nano, constatando come la sua massa e le sue dimensioni fossero inferiori a quelle di altri corpi celesti individuati nella sua area, denominata Fascia di Kuiper.
Nonostante la retrocessione, tuttavia, l'interesse per questo mondo così lontano dal nostro rimase, e anzi crebbe anche alla luce dell'impossibilità da parte di alcune delle precedenti missioni, tra cui quella di cui vi abbiamo parlato nel nostro speciale sul programma Voyager, di avvicinare Plutone per delle migliori osservazioni.
Fu così che ebbe inizio New Horizons, una storia che iniziò con una telefonata.

Un viaggio "freddo e lungo"

Nel 1992, lo stesso Clyde Tombaugh, che dopo la scoperta di Plutone si stava godendo la sua meritata pensione, ricevette una telefonata. Dall'altro capo del telefono c'era Robert Staehle, ingegnere del JPL, Jet Propulsion Laboratory.
Durante la telefonata, Tombaugh si sentì rivolgere una domanda che mai si sarebbe aspettato: gli venne chiesto il permesso di esplorare il suo pianeta.

Superato lo stupore, Tombaugh diede il suo consenso aggiungendo, poi, una frase che passerà alla storia: "Vi aspetta un viaggio freddo e lungo".
Fu questo il momento che diede inizio alla progettazione di una missione che aveva come obiettivo l'esplorazione di Plutone e del suo satellite Caronte: furono presentate cinque proposte, tre delle quali vennero scartate. Ne rimasero solo due, ovvero New Horizons, progettata dal team dell'Applied Physics Laboratory della Johns Hopkins University capitanato da Stamatios Krimigis, e la POSSE, Pluto and Outer Solar System Explorer, ideata da un team della University of Colorado Boulder capitanato dal Professor Larry W. Esposito con il supporto del JPL, della Lockheed Martin e dell'Università della California.
Dopo un periodo di analisi delle due proposte durato circa tre mesi fu New Horizons a spuntarla sull'avversario. Nonostante la vittoria, tuttavia, la vita del progetto iniziò decisamente in salita.

Fu l'amministratore delegato della NASA Sean O'Keefe, scelto dall'allora Presidente George W. Bush, a bocciare la missione sul nascere in quanto non convinto dal progetto. La soluzione fu trovata inserendo il programma New Horizon all'interno del Planetary Science Decadal Survey, un documento redatto dallo United States National Research Council, che riuniva sotto di sé le diverse entità che costituiscono la comunità scientifica americana; il documento andava ad illustrare quali fossero le priorità, da un punto di vista scientifico, e i temi di maggior interesse per gli scienziati. L'inserimento di New Horizons in questo elenco portò allo stanziamento dei fondi necessari da parte del Governo americano, e quindi al successivo avvio della missione.

Verso nuovi orizzonti

Quando Clyde Tombaugh definì "lungo e freddo" il viaggio di avvicinamento a Plutone, non lo fece solo per aggiungere un tocco di colore alla telefonata tra lui e Robert Staehle: la rotta per raggiungere il pianeta, infatti, avrebbe richiesto anni per essere percorsa, e le difficoltà più o meno prevedibili che New Horizons si sarebbe ritrovata a dover affrontare erano molteplici.

Questo portò il team che si occupò della progettazione della sonda ad operare delle scelte ben precise sotto diversi aspetti, a cominciare dall'alimentazione.
In previsione di una missione che, salvo imprevisti gravi, si sarebbe dovuta protrarre per anni, si decise di optare per un generatore termoelettrico a radioisotopi; questa tecnologia, che venne utilizzata anche in diverse altre missioni precedenti, sfrutta il calore generato durante il decadimento del plutonio 238 per produrre energia tramite un convertitore termoelettrico. Questo dispositivo era in grado di alimentare la sonda per anni.

Da un punto di vista scientifico, la sonda venne dotata di una strumentazione scientifica avanzata: venne inserita una fotocamera in grado di scattare foto ad alta definizione nel campo del visibile, strumenti in grado di analizzare l'infrarosso e l'ultravioletto, il comportamento delle particelle che compongono il vento solare, i campi magnetici dei corpi celesti avvicinati durante i diversi fly-by e di osservare la composizione della polvere stellare.
La data prevista per il lancio fu il 17 gennaio 2006.

Le condizioni metereologiche non ottimali, tuttavia, spinsero gli ingegneri a posticipare il lancio, che avvenne regolarmente e senza alcun problema due giorni dopo, il 19 gennaio, dalla piattaforma di lancio di Cape Canaveral, in Florida. La finestra di lancio scelta era fondamentale per ottenere una rotta che, grazie alla fionda gravitazionale di Giove, avrebbe permesso alla sonda di risparmiare tra i due e i quattro anni rispetto ad altre soluzioni valutate.

La rotta verso Plutone

Le prime fasi della missione prevedevano una calibrazione degli strumenti, sui quali vennero effettuati dei test atti a determinarne le capacità operative. Per condurre questi controlli vennero quindi scelti Marte e il piccolo asteroide 132524 APL: il fly-by del Pianeta Rosso, tuttavia, non venne sfruttato per raccogliere dati scientifici di nessun genere ma soltanto per una verifica approfondita della strumentazione di bordo e lo stesso si verificò per l'asteroide, osservato con il solo scopo di testare il funzionamento di una delle fotocamere montate sulla sonda.
Terminate le operazioni di calibrazione e controllo, New Horizons si diresse verso quello che era invece il primo, reale obiettivo della missione: Giove.

Il gigante gassoso venne analizzato ampiamente da New Horizons durante il periodo di permanenza nella sua orbita, e con esso anche i suoi satelliti. Le fotocamere della sonda effettuarono delle riprese all'infrarosso della Grande Macchia Rossa, l'uragano che da secoli imperversa nell'emisfero meridionale del pianeta, mentre i suoi strumenti analizzarono l'atmosfera e la coltre di polveri in movimento attorno a Giove.
Vennero inoltre studiate in maniera più approfondita le orbite dei satelliti interni, con una particolare attenzione rivolta ai satelliti galileiani Io, Europa, Callisto e Ganimede.

Tra questi, fu proprio Io a destare le maggiori curiosità: per la prima volta, infatti, gli scienziati ottennero la più nitida immagine del vulcano Tvashtar, la cui area di ricaduta dei materiali eiettati supera per estensione lo stato del Texas.
La fase di esplorazione del sistema planetario Gioviano e dei suoi componenti si protrasse finché per la sonda non iniziò un periodo di ibernazione programmato dal Controllo Missione, con cui permettere a New Horizons di conservare le energie in attesa di incontrare i principali obiettivi del suo lungo viaggio.

Plutone e Caronte

Successivamente, al risveglio dal suo letargo, New Horizons iniziò l'avvicinamento a Plutone ad una velocità di quasi 50.000 Km/h e compì una serie di fly-by ravvicinati. Il più vicino avvenne il 14 luglio 2005, quando la sonda passò a circa 12.500 Km dalla superficie del pianeta.

Durante la fase di progettazione della missione, vennero prefissati alcuni obiettivi: alcuni di essi erano considerati prioritari, come ad esempio l'analisi geologica di Plutone e della sua luna Caronte, l'analisi chimica della loro superficie e lo studio della loro atmosfera, mentre altri riguardavano aspetti dell'esplorazione del sistema di Plutone che erano stati messi in secondo piano, i quali ad esempio riguardavano uno studio approfondito degli effetti del vento solare sui due corpi celesti, ulteriori analisi dell'atmosfera e di come essa cambi nel tempo, maggiori informazioni e dati riguardo la composizione del pianeta e l'ottenimento di immagini di maggior risoluzione di Plutone e delle sue lune Caronte, Stige, Cerbero, Notte e Idra.
La sonda riuscì ad inviare una mole impressionante di dati, che secondo la NASA richiese un tempo prossimo ai 15 mesi per essere scaricata completamente, a causa della grande distanza e della lenta trasmissione.

Le informazioni raccolte sono ancora in fase di analisi, ma già diverse domande che da tempo gli scienziati si ponevano su Plutone e Caronte hanno trovato risposta, e certamente non sono mancate sorprese.
Furono scoperte diverse montagne con un'altezza media di 3500 m, una crosta piuttosto giovane, che indica un'attività geologica recente. Secondo John Spencer, leader del team che si occupa dell'analisi dei dati relativi alla geologia dei corpi celesti analizzati, questi rilevamenti ci spingeranno a "dover rielaborare diverse ipotesi formulate sull'attività geologica anche di altri mondi ghiacciati".

Le osservazioni permisero di scoprire numerose altre lune minori del pianeta, cosa che avvenne a una distanza tale da poter valutare eventuali pericoli per la traiettoria compiuta dalla sonda New Horizons, che poté continuare il suo viaggio indisturbata.
Gli obiettivi prefissati furono in gran parte raggiunti, a cominciare da uno studio più approfondito dell'atmosfera e della superficie di Plutone, analisi che rivelarono la loro conformazione e portarono gli scienziati a formulare alcune teorie inaspettate, come ad esempio la presenza di elementi utili alla vita nonostante la grande distanza dal Sole o le prove della presenza di un oceano d'acqua sulla superficie di Caronte in passato (vennero scoperte montagne di ghiaccio galleggianti su strati di azoto congelato, la cui origine, però, rimane ignota).
Terminato il fly-by di Plutone e della sua luna, la sonda continuò il suo viaggio verso la Fascia di Kuiper.

L'esplorazione di Arrokoth

La fascia di Kuiper è un'area che si estende per circa 50 unità astronomiche (ogni unità astronomica equivale alla distanza media tra la Terra ed il Sole) oltre l'orbita di Nettuno.
Essa contiene oggetti composti in prevalenza da acqua, ammoniaca e metano congelati, a differenza dalla Fascia Principale degli Asteroidi dove i corpi celesti presenti sono in prevalenza rocciosi. Proprio in quest'area, il team alla guida della missione New Horizons individuò un oggetto verso il quale rivolgere un'ultima volta gli strumenti della sonda. Il suo nome è 2014 MU69, successivamente rinominato Ultima Thule e ora conosciuto come Arrokoth.

Durante l'avvicinamento all'asteroide, durante il quale la sonda fu nuovamente messa in ibernazione per circa cinque mesi, vennero scattate diverse foto a svariati oggetti ritenuti degni di nota incontrati durante lo spostamento lungo la rotta designata, e finalmente l'1 gennaio 2019 avvenne il flyby.
Ci vollero dieci ore per avere un feedback, a causa della grande distanza, ma finalmente fu possibile osservare e analizzare Arrokoth; si scoprì che si trattava di un oggetto composto da due diverse "sfere" rocciose, rinominate separatamente Ultima e Thule, che un tempo erano distinte e per attrazione gravitazionale si ritrovarono unite.

La superficie, tuttavia, destò non poca curiosità: vennero rilevati diversi rigonfiamenti e crateri, segno della probabile unione di più oggetti di minori dimensioni che nel tempo si sono uniti per costituire le due unità principali.
Quanto ottenuto dalle analisi di Arrokoth potrebbe aiutare gli scienziati a comprendere maggiormente i processi attraverso i quali nascono i pianeti.

In viaggio verso lo spazio interstellare

Superato Arrokoth, il team decise di tentare altri approcci ad alcuni altri oggetti presenti nella fascia di Kuipers, e la sonda continuò ad inviare dati che sono tuttora in fase di analisi.
Ma quale destino attende New Horizons? Secondo quanto programmato, essa dovrebbe continuare a trasmettere fino agli anni 2030, quando la sua fonte di energia si esaurirà. Il suo "lungo e freddo viaggio" si concluderà nello spazio interstellare, dove raggiungerà le sonde Voyager per aiutarle, ed aiutarci, a comprendere ancora di più quali misteri nasconde l'universo.

Image credits: NASA, INAF, MACLEANS