Piante, animali e il futuro dell'esplorazione spaziale

La comunità scientifica sta cercando di capire quale sarà il ruolo di piante e animali nelle future esplorazioni spaziali: a che punto siamo?

Piante, animali e il futuro dell'esplorazione spaziale
INFORMAZIONI SCHEDA
Articolo a cura di

Quando pensiamo ai futuri passi dell'uomo verso nuovi mondi, non soltanto per delle più o meno fugaci visite ma per l'avvio di una vera e propria colonizzazione, la mente tende a vagare tra scenari figli del nostro immaginario fantascientifico, cinematografico o meno, che hanno in qualche modo segnato diversi momenti delle nostre vite.

Tuttavia, siamo abituati a vedere i protagonisti di queste storie muoversi in ambienti che spesso sembrano già perfettamente funzionanti, con esseri umani e specie animali e vegetali che condividono questi luoghi artificiali in armonia. Per arrivare a una simile capacità di colonizzazione di mondi lontani la strada da percorrere è lunga e non priva di insidie, ma la scienza da anni si sta adoperando al fine di risolvere le diverse criticità che potrebbero nascere lungo il percorso: andiamo a vedere come.

Creare un nuovo ecosistema

Nel 2015 usciva nelle sale un interessante film con Matt Damon, di cui vi abbiamo parlato nella nostra recensione di The Martian, in cui il protagonista si risveglia ferito dopo un incidente che ha portato la sua squadra a darlo per disperso in una fitta tempesta di sabbia marziana.
Una volta curate le sue ferite, Mark Watney, il botanico impersonato da Damon, decide di provare il tutto per tutto per sopravvivere abbastanza a lungo da permettere una nuova missione di salvataggio dalla Terra. Con le risorse alimentari non sufficienti per coprire il numero di giorni necessari all'organizzazione di una nuova spedizione, decide di affidarsi alle sue conoscenze di botanico per trovare un modo per ricavare il nutrimento necessario.

Questo film non è l'unico ad aver compreso quanto le piante possano rivelarsi fondamentali per l'uomo nei suoi futuri viaggi spaziali: negli anni sono stati condotti numerosi esperimenti proprio sul tema della sopravvivenza delle piante ai viaggi spaziali e su come queste possano proliferare al di fuori di un'atmosfera come quella terrestre.
Sulla Stazione Spaziale Internazionale, ad esempio, si sta cercando di capire se l'orzo sarà in grado di crescere nonostante l'esposizione alle radiazioni cosmiche.

Il viaggio a bordo di un veicolo spaziale, l'ambientamento a nuove condizioni e la capacità di fornire un adeguato nutrimento sono tutti elementi che si riveleranno critici e decisivi nel momento in cui si dovrà progettare la colonizzazione di un satellite, pensiamo alla Luna, o di un pianeta, come ad esempio Marte.
Una delle candidate prese maggiormente in considerazione per i prossimi futuri spostamenti che avranno l'intento di trovare una nuova casa al genere umano è l'alga spirulina, il cui utilizzo è in fase di studio presso la Melissa Foundation.

Melissa, acronimo di Micro Ecological Life Support System Alternative, è un progetto che ha base presso l'Universitat Autònoma de Barcelona e riunisce 15 differenti partner coordinati dall'ESA, l'Agenzia Spaziale Europea. Lo scopo di questa fondazione è quello di creare quello che viene definito come un supporto vitale rigenerativo, che avrà lo scopo di permettere all'uomo la permanenza su pianeti come Marte; l'idea è quella di creare un circolo virtuoso che, ispirandosi all'ecosistema terrestre, possa rispondere ad una domanda fondamentale per i futuri viaggi e colonizzazioni: come possiamo riuscire a riciclare anidride carbonica e rifiuti organici in cibo, ossigeno e acqua?

La sperimentazione al momento è condotta su una colonia di ratti che viene utilizzata per simulare un equipaggio, ma si spera di ottenere sufficienti garanzie per iniziare al più presto la sperimentazione con un team di esseri umani.

Chi portare con noi sulla Luna?

Come abbiamo raccontato nel nostro speciale sul Progetto Artemis, la prossima tappa del genere umano in termini di colonizzazione è la Luna. Diverse sono, e saranno, le sfide da affrontare: senza dubbio, una delle più importanti sarà il comprendere come favorire nel migliore dei modi l'approvvigionamento di cibo. Vi sono diverse opinioni contrastanti riguardo la possiblità di portare degli animali nelle strutture lunari per creare allevamenti destinati alla produzione di cibo per gli occupanti delle colonie, ma come potrebbe avvenire il trasporto?

Se la fantascienza ha già presentato soluzioni più o meno incredibili per ovviare a un tale problema, la scienza sta cercando di fornire soluzioni più realistiche. È il caso del progetto Lunar Hatch, una delle 300 idee al vaglio dell'ESA che si propone di inviare nelle spedizioni interplanetarie del cibo che risulti fresco, nutriente e gradevole per gli astronauti.
Il team di ricercatori sta conducendo degli esperimenti sulle uova di pesce, per la precisione di spigola: esposte a forti sollecitazioni che dovevano riprodurre lo shock di un trasporto a bordo di un veicolo spaziale, dalla partenza sino all'atterraggio, le uova hanno risposto mostrando una notevole resistenza.

Cyrille Przybyla, ricercatore presso l'Istituto di Ricerca Francese per lo Sfruttamento del Mare e coinvolto nel progetto Lunar Hatch, ha affermato: "La mia sensazione è che non possiamo andare nello spazio da soli. Dobbiamo mantenere con noi il nostro ambiente".
Per questo, si è deciso di concentrarsi su una specie animale che permettesse di gestire problematiche come il poco spazio nelle strutture delle colonie spaziali, lo smaltimento delle scorie prodotte e la quantità di anidride carbonica generata.

Per motivazioni analoghe potrebbero ritornare utili degli allevamenti composti interamente da insetti: per la loro ridotta dimensione, con conseguente minore spazio richiesto, e il basso consumo d'acqua si presentano come un'alternativa estremamente valida ad altre specie animali da trasportare durante le missioni. Tra i candidati, individuati da un team dell'Università dell'Australia e dell'International Space University in un report datato 2020 che trattava proprio questa possibilità, spiccano in particolare grilli, pupe di bachi da seta o larve di punteruolo delle palme.

Combattere la solitudine

Ma quindi animali, pesci o insetti, allevati negli allevamenti lunari sarebbero destinati unicamente al consumo umano? Non esattamente.
Secondo diversi scienziati e psicologi, una delle problematiche più importanti da affrontare per gli occupanti di queste future strutture coloniali saranno la solitudine e il senso di oppressione eventualmente scatenato dalla permanenza in ambienti comunque più claustrofobici rispetto alle strutture nelle quali siamo abituati a condurre le nostre vite.

Proprio gli insetti potrebbero giocare un ruolo fondamentale per combattere tali sensazioni: in uno studio condotto in Corea del Sud è stato rilevato come il prendersi cura dei grilli abbia portato dei benefici alle persone più anziane colpite da depressione.
Alla luce delle difficoltà che potrebbero essere incontrate nel trasportare dei cani o dei gatti in questi lunghi viaggi, quindi, per quanto possa sembrarci strano, potremmo ritrovarci a scegliere un insetto come compagno di avventura.

Un backup del nostro pianeta

Tra i progetti più interessanti che riguardano le colonie lunari c'è poi lo studio dei canali lavici formatisi sotto la superficie lunare. Secondo Jekan Thanga, assistente professore di ingegneria aerospaziale e meccanica presso l'Università dell'Arizona, sarebbe possibile sfruttare quegli spazi per conservare semi, spore e uova provenienti dalla Terra.
Sarebbe uno sforzo enorme, sarebbero necessari centinaia di lanci per poter portare tutto il materiale necessario sulla Luna, ma col tempo potremmo costruire una vera e propria copia di backup del nostro ecosistema, tramite la quale riuscire a replicare per quanto possibile il nostro habitat.

Si tratta di una sfida enorme, che gli scienziati stanno affrontando passo dopo passo per poter garantire ai futuri viaggiatori interplanetari la possibilità di vivere, e non soltanto di sopravvivere, in un ambiente il più possibile autosufficiente. Non basteranno uova, semi e alghe per ricreare quel mondo che nel tempo la nostra specie ha imparato ad amare, pur non riuscendo sempre a conservarlo e a trattarlo nel migliore dei modi.
Ecco, probabilmente proprio questa potrebbe essere un'abitudine che dovremmo cercare di non esportare nelle nostre future esplorazioni di altri mondi.