Pubblicità su Netflix e Disney+, un passo indietro dai loro stessi ideali?

Con la scelta di aprirsi alla pubblicità le piattaforme streaming stanno venendo meno a quelle che erano le loro idee originali di intrattenimento.

Pubblicità su Netflix e Disney+, un passo indietro dai loro stessi ideali?
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Dopo Netflix, anche Disney+ si prepara ad accogliere nella sua offerta una sottoscrizione a prezzo ridotto con all'interno degli spot pubblicitari.
Le due principali piattaforme streaming del pianeta hanno deciso di mettere una pezza sulla questione guadagni rivolgendosi al buon vecchio mondo degli ad, da sempre fonte di guadagno per le TV commerciali e nuova gallina dalle uova d'oro anche per le piattaforme.
Un "passo indietro" per il mondo dello streaming che, nella sua accezione più pura, si era sempre tenuto alla larga, perlomeno per questi due servizi in particolare, da tale genere di logiche commerciali della televisione tradizionale.
Tra crisi, ristrettezze economiche e concorrenza, si è presa una decisione che, seppur raccontata come tale, potrebbe non essere del tutto a favore dell'utente.

La scelta di Disney

Iniziamo dalla cronaca più recente. Come vociferato da qualche settimana, Disney+ ha annunciato il suo piano con pubblicità, che sarà disponibile negli Stati Uniti già dal prossimo 8 dicembre. Il nuovo abbonamento, denominato Basic, andrà a costare 7,99 dollari al mese e comprenderà le pubblicità. Sarà affiancato da un abbonamento Premium, a 10,99 dollari al mese, senza pubblicità e con il download dei contenuti compresi nel prezzo.

I nuovi abbonati avranno possibilità di scegliere tra i due piani, mentre i vecchi, se vorranno continuare a usare la piattaforma, dovranno optare per una delle due soluzioni. In poche parole, si tratta di una vera e propria rimodulazione con aumento di prezzo di tre dollari: se prima ci si poteva abbonare e vedere tutto senza pubblicità a 7,99 dollari, ora per poter avere le stesse opzioni di prima occorrerà pagare di più, a meno che non si scelga di far fare un passo indietro al proprio profilo e sorbirsi gli spot, che non saranno pochi.
Questi verranno mostrati prima della riproduzione e durante, non si sa in quale quantità, ma potranno essere mandati avanti velocemente. Per fortuna, non saranno visualizzati nei profili e nei contenuti per bambini sotto i 7 anni.

Il primo passo di Netflix

Netflix ha già fatto il suo passo verso la pubblicità anche dalle nostre parti, con il piano economico Netflix Base con pubblicità ufficiale anche in Italia da novembre 2022.
A 5,49 euro al mese ci si potrà abbonare a un piano di sottoscrizione piuttosto limitato: gli spot saranno di 4 minuti circa all'ora, il download dei titoli non sarà disponibile, i contenuti potranno essere visti solo da un dispositivo per volta e con una risoluzione di 720p. La limitazione più grave, dovuta a presunti problemi di licenze, è però la mancanza nel piano con pubblicità di numerosi contenuti invece disponibili per tutti gli altri tipi di abbonamento.

Questi Film e Serie TV, segnati con l'icona di un lucchetto, non potranno essere guardati da chi ha l'abbonamento base: la questione è ancora più curiosa se si pensa che la lista cambia da Paese a Paese, a seconda dei diritti per ogni prodotto e senza una chiarezza di fondo che andrebbe specificata, rischiando di far abbonare degli utenti per dei contenuti specifici salvo poi scoprire che non sono disponibili. Una mancanza molto più limitante di un'interruzione pubblicitaria durante la visione.

Un passo indietro

I bei tempi dello streaming sembrano essere finiti nell'oblio più totale. Le piattaforme stanno utilizzando una strategia comunicativa che mira a definire questa scelta come una rivoluzione più che un passo indietro, che darà la possibilità a tutti di abbonarsi, soprattutto a quelli che non potevano permettersi di pagare 10 euro al mese. Concentrandosi su Netflix, visto che il piano con pubblicità di Disney+ non rientra in questo discorso,, il risparmio effettivo per l'utente con il piano base sarà di 30 euro, una cifra che non cambia effettivamente la vita a nessuno, a fronte delle importanti limitazioni di cui si fa portatrice.

A fare sorridere, probabilmente, è il voler far passare come rivoluzionario l'utilizzo di una fonte di guadagno da cui le piattaforme si erano ben guardate e che ora sembra essere diventata la panacea per tutti i mali: la pubblicità.
Avere tra le mani dei servizi di fruizione di contenuti carichi di pubblicità come un canale TV qualsiasi non è certo quello che gli utenti si aspettavano quando queste realtà di erano affacciate sul mercato.

Promesse disattese

Come si erano presentate al mondo queste piattaforme? Come era stato lanciato il mondo dello streaming legale? Quale era stato il biglietto da vista di Netflix?
Questi servizi si offrivano come alternative virtuose alla televisione tradizionale: offrivano una vasta scelta, una libertà massima di fruizione nei tempi e nei modi e a costi agevolati. Ma, soprattutto, e tenevano a specificarlo sempre, senza alcuno spot pubblicitario a rallentare, inficiare o interrompere la visione.

Molti utenti si affacciano al mondo delle sottoscrizioni a pagamento per avere un servizio che sia già "premium" in partenza, che dia quello che la televisione non può dare. Le piattaforme erano nate come servizi dalla parte dello spettatore, si distinguevano, proponevano qualcosa di nuovo e in modi per l'epoca innovativi.
Poi qualcosa, purtroppo, è andato irrimediabilmente male. Una concorrenza sempre più spietata, che ha portato tutti a scendere a compromessi, abbracciando una proposta dalla quale avevano promesso di tenersi alla larga.

Aumenti e concorrenza

Anno dopo anno i costi di abbonamento sono aumentati sempre più per far fronte a una costante riduzione nei guadagni. Anno dopo anno i cataloghi si sono inevitabilmente ridotti in termini di nuove proposte e le limitazioni sono diventate sempre più stringenti. Al lancio, Disney+ offriva un anno di contenuti a 60 euro; presto si arriverà a pagare il doppio per avere lo stesso pacchetto.
Ma la pubblicità può davvero rappresentare la "pietra tombale" sulle velleità di diversificazione di questi servizi? Una "resa" al modo di fare più commerciale dei grandi media, al più facile catalizzatore di introiti sul pianeta?

Il confine con la TV si è assottigliato e non c'è da sorprendersi se le due realtà sembrano assomigliarsi sempre di più, eccezion fatta per la macroscopica differenziazione tra canali lineari e contenuti on-demand. Agli abbonati, invece, non resta altro che stare a guardare e scegliere se accettare questo nuovo compromesso o proseguire come prima.

Il risparmio esiste ancora?

L'era dello streaming è iniziata con delle promesse di flessibilità e costi contenuti, pur offrendo tanto sul piano contenutistico. Pensateci un momento: siamo tutti, chi più e chi meno, abbonati a più di una piattaforma, perché le cose che ci piacciono non sono mai concentrate solo in un posto, costretti a uno "zapping" costante tra i servizi alla ricerca di qualcosa di nuovo da vedere, ora anche con pubblicità e complessivamente ci ritroviamo a pagare cifre importanti se vogliamo avere la possibilità di vedere tutto.

Di fatto, siamo ai livelli di un abbonamento TV satellitare, che credevamo lussuoso e obsoleto fino a qualche anno fa, salvo poi scoprire che evidentemente il modello originario proposto dalle piattaforme streaming non era del tutto sostenibile a quei costi e con quelle formule.