Speciale Smartphone: le tecnologie di ricarica rapida

Mentre gli smartphone moderni richiedono sempre maggiore energia, le batterie non sono cambiate molto rispetto al passato. Ecco perchè le aziende si sono concentrate sui sistemi di ricarica rapida per aumentarne l'autonomia.

Speciale Smartphone: le tecnologie di ricarica rapida
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Gli uffici marketing delle più grandi multinazionali li hanno lanciati a mezzo di potenti campagne pubblicitarie: si tratti di Rapid (HTC), Quick (Sony), Turbo (Motorola) o del più fantasioso adaptive fast charging (Samsung), i sistemi di ricarica rapida sono diventati nuovo terreno di scontro per i maggiori marchi di telefonia del mondo. Perché ancora più che avere una batteria performante, può essere importante avere un dispositivo che si ricarica in breve tempo e che permetta comunque, magari dopo un breve pit-stop, di terminare la giornata. Come molte feature legate ai device elettronici di ultima generazione tuttavia, il confine tra vera innovazione e mero incantamento mediatico è davvero labile. Vediamo dunque, nelle righe che seguono, di districarci tra differenze e prestazioni di tutti questi sistemi, cercando di sfatare falsi miti figli delle analisi di mercato.

Diverso nome, stessa solfa

Andando a spulciare tra le caratteristiche di tutti questi diversi procedimenti di ricarica, si scopre sorprendentemente che si basano quasi tutti sulla medesima tecnologia (parlando di Motorola, Sony, HTC,LG e Samsung). Si tratta di un brevetto di Qualcomm, chiamato appunto Quick Charge. In particolare gli ultimi top di gamma, arrivati sul mercato tra il 2014 e il 2015, come G4, S6 ed M9, fanno riferimento al protocollo Quick Charge 2.0 (il sistema 1.0, approntato su molti dispositivi 2013, si basa sul medesimo principio ma ha prestazioni decisamente inferiori). La ricarica rapida avviene forzando l'alimentazione ad una tensione più alta rispetto a quella cui lavora abitualmente la batteria (il cui valore varia da alimentatore ad alimentatore, la potenza massima rimane comunque al di sotto dei 15 W). Aumentando la tensione, a parità di corrente erogata, la batteria riesce ad assorbire un potenza elettrica superiore, caricandosi quindi in un tempo minore. Questo fino ad una carica del 60-70%, percentuale oltre la quale, a causa di fenomeni elettrici detti di saturazione, è impossibile caricare ulteriormente l'unita tramite la suddetta sovratensione; a questo punto si torna ad una carica "standard" che completa il processo fino al 100%. Tutto viene controllato da componenti presenti sullo smartphone e non sul caricatore, che man mano richiedono un abbassamento della tensione applicata.
A seguito di quanto detto, è importante sottolineare come la ricarica avvenga in maniera veloce soltanto per quanto riguarda le percentuali più basse della batteria; l'andamento è fortemente non lineare, ovvero occorrerà molto di più per andare dal 70% al 100% di batteria che dallo 0% al 50% (principio già valido per la carica standard, ma che nel caso di Quick Charge risulta ulteriormente accentuato). Al contrario di quanto si potrebbe credere poi, tutti i dispositivi aderenti allo stesso protocollo sono intercambiabili: è possibile caricare un dispositivo Samsung con un caricatore Motorola, ottenendo grossomodo le stesse prestazioni. Questo permette, in caso di bisogno, di acquistare un caricatore senza preoccuparsi della marca purché, è bene precisarlo ancora, esso sia basato sul protocollo Quick Charge 2.0 (un buon esempio è sicuramente rappresentato dall'Aukey Quick Charge, reperibile ad un prezzo inferiore rispetto ai prodotti dei brand più blasonati).
Chiaro quindi come sulla questione si sia cercato di gettare fumo negli occhi degli acquirenti, diversificando per nome e presentazione sistemi fondamentalmente simili, i cui tempi di ricarica dipendono soprattutto dalla dimensione della batteria dello smartphone.
Prendiamo il caso del Galaxy S6, per citarne uno. Una nota campagna pubblicitaria che lo ha visto protagonista, indugiava sulla capacita di ottenere con soli 10 min di alimentazione a parete, circa un 30% di carica della batteria. Questo risultato è dato dall'insieme della tecnologia Quick Charge e da una batteria di "soli" 2550 mAh. LG G4, pur basandosi sullo stesso sistema di alimentazione, ha tempi di ricarica superiori soltanto perché dotato di un'unita da 3000 mAh. Va dato atto quindi a Samsung di aver venduto meglio di altri una caratteristica di cui moltissimi terminali in commercio sono dotati (e la cui lista completa è disponibile sul sito di Qualcomm).

Outsider

Non tutti però si sono adagiati sulla proposta Qualcomm, e diverse soluzioni parallele hanno visto la luce, specialmente a bordo di terminali prodotti da aziende meno conosciute. Tra tutti, a nostro modo di vedere, merita un approfondimento il sistema VOOC brevettato da Oppo, che basandosi su principi opposti a Quick Charge promette prestazioni teoriche realmente superiori, tanto che, secondo i dati diffusi dalla casa di Shenzen, sarebbe in grado di caricare per ¾ la batteria da 3000 mAh del Find 7 in solo mezz'ora.
Piuttosto che veicolare una potenza maggiore aumentando il voltaggio di ricarica, VOOC punta a trasferire una maggiore quantità di corrente mantenendo inalterata la tensione. Secondo i dati disponibili, il picco massimo raggiungibile sarebbe di 5 ampere, che data una tensione di 5 V portano ad una potenza complessiva di 25 W; valore ampiamente superiore ai 15 W, limite attuale di Quick Charge 2.0, dato che già di per sé rende bene l'idea di come l'offerta Oppo possa essere realmente superiore. Il controllo del processo, al contrario di quanto visto in precedenza, è interamente deputato all'alimentatore, che scala alla sorgente la corrente elettrica trasmessa, cosa che previene il surriscaldamento all'interno del device in maniera sicura ed efficace. Nonostante possa sembrare una scelta azzeccata, puntare su un maggior valore di corrente piuttosto che di tensione presenta comunque degli aspetti negativi: primo su tutti la necessità di un adeguato cavo di collegamento. Per ottenere performance ottimali infatti, VOOC ha bisogno di un cablaggio capace di trasmettere adeguatamente l'elevata intensità di corrente. Il componente più fragile della catena (l'esperienza diretta insegna quale stress meccanico siano soggetti i cavi USB nella vita di tutti i giorni) diventa quindi il più importante, rendendo di fatto meno robusto tutto l'insieme. Un cavo anche solo leggermente rovinato insomma, rischia di pregiudicare tutta la questione.
Il brevetto Oppo inoltre non è compatibile con gli altri protocolli: non sarà possibile caricare un dispositivo Quick Charge con un caricatore VOOC e viceversa. A meno di concessioni in licenza quindi, per acquistare un nuovo caricatore bisognerà forzatamente rivolgersi al costruttore originale (a tutto discapito della concorrenza sul prezzo)

USB tipo C in arrivo

In questo panorama, l'avvento dell'USB tipo C rischia di fare un significativo strike rispetto a tutto quello di cui abbiamo parlato sinora. Non sapendo come sarà effettivamente implementata questa nuova tecnologia nei futuri dispositivi, è presto per fare raffronti e previsioni. Certo è che se gli ipotetici 100 W di potenza trasferibili saranno effettivi, sarà inevitabile una discesa repentina dei tempi di ricarica, e non solo; con una tale potenza, sarà possibile caricare PC, tablet e telefono allo stesso tempo con un solo alimentatore, a tutto vantaggio della praticità e della trasportabilità. Speriamo solo che anche questo nuovo standard non diventi terreno fertile per strategie di marketing, disorientando il consumatore con nomi fantasiosi che in realtà stanno a rappresentare la stessa cosa. Collegamenti universali e interscambiabili, seppur non una manna dal punto di vista del margine industriale, sono una base irrinunciabile per una società sempre più orientata alla digitalizzazione.