Speciale Su Marte nel 2025

Il progetto privato che punta a costruire la prima colonia stanziale su Marte.

Speciale Su Marte nel 2025
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Il pianeta Marte è uno degli obbiettivi principali dei programmi di esplorazione spaziale dei prossimi anni. I numerosi progetti avviati all’inizio del secondo millennio, dai satelliti orbitanti ai rover divenuti tanto famosi per il loro simpatico aspetto, hanno già risolto un numero imprecisato di quesiti sul pianeta rosso e, in generale, sulla formazione del Sistema Solare. Tuttavia tali missioni hanno inevitabilmente portato gli scienziati ad avere nuovi dubbi e a porsi tante altre domande cui solo la presenza in loco dell’essere umano può dare risposta. L’impegno della NASA e del governo americano, insieme ad un gruppo di altri paesi avanzati tecnologicamente, è quello di portare l’uomo su Marte non prima di quindici anni e forse più. Si tratta di un lasso di tempo necessario per effettuare tutti i test di simulazione, studiare al meglio la missione, preparare l’equipaggio, sviluppare la tecnologia necessaria per il viaggio, l’approdo, la permanenza e il ritorno sulla Terra. Le attività sono già iniziate. Basti pensare alla capsula Orion, la navicella ideata dalla NASA nell’era post-shuttle, in grado di portare gli uomini nello spazio, ma ben oltre la Stazione Spaziale Internazionale: Luna, asteroidi e Marte, per l’appunto.

L’Ente Spaziale statunitense ha eseguito un primo lancio di prova del veicolo Orion a dicembre 2014. Il test (Exploration Flight Test), senza equipaggio, ha portato l’Orion ad effettuare un volo a circa 5.800 chilometri dalla Terra, ossia 15 volte la distanza della Stazione Spaziale Internazionale, e un rientro alla velocità di 32.000 chilometri l’ora (a questa velocità si va da New York a Tokyo in 20 minuti), conclusosi con un tuffo nel Pacifico. Il tutto è servito a valutare i sistemi di lancio e di rientro, tra cui il controllo dell’assetto, il paracadute e soprattutto lo scudo termico. Passi avanti importanti quelli della NASA, i cui finanziamenti gravano per la maggior parte sulle spalle dei contribuenti americani. In pratica sono gli USA a finanziare in gran parte la missione, e tra fondi limitati e le dovute precauzioni per evitare disastri che avrebbero un eco mondiale irreparabile, ecco che gli scienziati si trovano a dover usare il freno a mano in tutto ciò che fanno e che propongono.
C’è qualcuno però, che ha pensato a come superare questo tipo di problematiche, economiche e d’immagine, e ha deciso di lanciarsi in maniera più libera in un’avventura molto simile a quelle che si vedono nei film o di cui se ne parla nei romanzi di fantascienza. Si tratta di Bas Lansdorp, un ricercatore olandese che ha dato vita al progetto Mars One.

Mars One: il biglietto è di sola andata

Il piano dello studioso è di stabilire una colonia permanente su Marte dal 2025. Le tappe principali della prima fase del progetto prevedono l’invio di un satellite per le comunicazioni nel 2016, di un rover, per perlustrare la zona prescelta per la colonia, nel 2020, di sei cargo approvvigionamenti nel 2022 e dell’equipaggio umano nel 2025. Ogni viaggio dura sei mesi e almeno allo stato attuale la tecnologia non può fare di meglio. C’è un piccolo particolare che abbiamo omesso, un dettaglio che rende la missione potenzialmente senza fine: gli astronauti che partiranno alla volta di Marte, inizialmente quattro, non faranno più ritorno sulla Terra. Ogni due anni arriverà un nuovo gruppo di coloni, ma nessuno farà più ritorno. Ciò contribuirà enormemente a ridurre i costi delle missioni ma Mars One, anche da questo punto di vista, non è un progetto come gli altri.
Obiettivo degli “organizzatori” è quello di assicurarsi i finanziamenti necessari da sponsor e investitori privati, rendendo l’intera impresa un vero e proprio reality show, a partire dal reclutamento degli astronauti. Pensate siano pochi quelli disposti a non far più ritorno sulla Terra? Vi sbagliate di grosso. Il programma ha avuto un successo inimmaginabile, più di 200.000 persone hanno fatto domanda per i 4 posti iniziali. Il gruppo è stato scremato a 1.058 nel dicembre 2013 e a 660 nel febbraio 2014. Attualmente ne sono rimasti 100, 50 uomini e 50 donne, che saranno ulteriormente testati per assicurarsi che riusciranno a resistere alla durezza della vita sul pianeta rosso. Il gruppo comprende persone da tutto il mondo: 39 sono americani, 31 europei, 16 asiatici, 7 africani e 7 arrivano dall’Oceania. Ogni candidato ha il proprio profilo sul sito dell’organizzazione ed età, provenienza e storie sono molto diverse. C’è Zaskia, una ventenne boliviana, Reginald, un sessantenne pakistano, Pietro Aliprandi, un venticinquenne nostro compatriota. Tutti desiderano vivere e morire su Marte come parte di una piccola colonia su di un pianeta morto. Ogni partecipante avrà a disposizione dei moduli abitativi gonfiabili da 50 metri quadri e dovrà occuparsi della gestione delle coltivazioni e della manutenzione degli impianti, oltre ad esplorare i dintorni con adeguate strumentazioni tecnologiche avanzate.

“Mars One ravviverà l’interesse per le missioni spaziali” sostiene il team che vi lavora alacremente da qualche anno. Le potenzialità ci sono, ma allo stato attuale delle cose i problemi non mancano. In primis i fondi. Il progetto conta molto sul fatto di essere una sorta di reality e la no profit messa su da Lansdorp ha provato a recuperare fondi in molti modi, via donazioni, tramite l’offerta dei diritti TV della missione e dei processi di selezione e con una campagna su Indiegogo. Quest'ultima serviva a mettere insieme 400.000 dollari da destinare alla Lockheed Martin per un test di volo a bordo di un loro modello di navicella spaziale, ma ne sono stati raccolti solo 300 mila. Tuttavia le difficoltà di finanziamento non hanno scoraggiato Mars One, che spera di organizzare un altro test per l’anno in corso.
A complicare le cose però, ci sarebbero problemi ben più gravi. Recentemente un team di ricercatori del MIT, Massachussets Institute of Technology, ha svolto una dettagliata analisi di Mars One e le conclusioni sono spietate: “L’idea di costruire una colonia umana su Marte è eccitante. Per rendere questo sogno realtà però, serviranno innovazioni in un ampio campo di tecnologie, e una rigorosa prospettiva sistemica oggi assente”. In parole povere “non siamo ancora pronti”. Il MIT ha specificato che senza tecnologie più avanzate e modifiche nel programma già stilato, i poveri astronauti (amatoriali) vivrebbero per non più di due mesi sul pianeta rosso. Al fine di capire quali possano essere le reali possibilità di riuscita del progetto, i ricercatori del MIT hanno utilizzato un approccio sistemico, analizzando i diversi aspetti della missione, come l’architettura dell’habitat, i sistemi di supporto vitale, le parti di ricambio necessarie e il trasporto dei materiali. Il risultato, come accennato, è stata una secca bocciatura.

Per prima cosa, avendo come termine di paragone i consumi energetici misurati negli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, i ricercatori hanno calcolato che per coltivare il cibo necessario al sostentamento dei coloni servirebbero almeno 200 metri quadri di serre, una bella differenza rispetto ai 50 previsti attualmente. Stando così le cose infatti, sarebbe più conveniente spedire periodicamente il cibo dalla Terra. La coltivazione nelle serre, che secondo il progetto dovrebbero trovarsi all’interno della zona abitativa dei coloni, produrrebbe inoltre una quantità eccessiva di ossigeno che in breve tempo esaurirebbe le riserve di azoto necessarie per compensare le perdite di atmosfera nei moduli abitativi. La colonia marziana resterebbe presto senza aria e i poveri e intraprendenti coloni morirebbero entro i primi 65 giorni dall’inizio della missione.
C’è dell’altro. Per l’illuminazione i ricercatori hanno calcolato che sarebbero necessari almeno 875 Led, ma ciò richiederebbe continue sostituzioni. Mandare i pezzi di ricambio su Marte però non è facile, visto che il viaggio non è una passeggiata e frequenti partenze porterebbero i costi della missione a lievitare in breve tempo ben oltre quelli previsti attualmente da Mars One. Stampare in 3D i pezzi direttamente sul luogo potrebbe essere una soluzione, ma come spiegano gli scienziati, queste tecnologie, se pure in piena espansione, non sono nate per funzionare in mancanza di gravità e potrebbero non produrre buoni risultati al di fuori dell’orbita terrestre. A far salire il preventivo inoltre, contribuirebbero anche i razzi necessari per i trasporti: non sei, come immaginato oggi dal progetto olandese, ma oltre 15, abbastanza per arrivare ad una spesa di ben 4,5 miliardi di dollari, solo per dare inizio alla missione.

Nonostante il parere negativo che emerge dalla loro analisi, basato esclusivamente su dati scientifici, lo scopo dei ricercatori del MIT non è quello di dissuadere dal tentativo di colonizzazione di Marte. “Mars One è un’idea piuttosto radicale”, spiega Samuel Schreine, uno degli autori dello studio. “Quello che abbiamo costruito è uno strumento con cui possiamo analizzare diversi aspetti di una missione su Marte, e analizzare in che modo piccole modifiche in questo o quel particolare possono cambiare le probabilità di successo del progetto”.