Trump e immigrazione: Microsoft, Apple, Google, Facebook e Netflix non ci stanno

Negli Stati Uniti tutte le maggiori realtà tecnologiche si sono schierate contro la nuova dottrina sull'immigrazione voluta da Donald Trump.

Trump e immigrazione: Microsoft, Apple, Google, Facebook e Netflix non ci stanno
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Dopo l'insediamento, il neo eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump non sembra concedersi un attimo di sosta. Posta la firma sul decreto per la costruzione di un muro anti immigrati al confine con il Messico, il 28 gennaio sono arrivate anche quelle sugli ordini esecutivi per la "lotta al terrorismo". Secondo Trump, la soluzione al problema è semplice. Da un lato il Tycoon ha deciso di tenere fuori i cittadini stranieri provenienti da paesi a rischio, in cui troviamo Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Dall'altro la dottrina Trump prevede lo stop all'accoglienza di rifugiati politici, voluta da Obama, per i prossimi 120 giorni, dopodiché sarà data priorità innanzitutto ai rifugiati di religione cristiana. Interessante notare come, nella lista di paesi ritenuti pericolosi, manchino stati come l'Arabia Saudita, l'Egitto e il Libano, che hanno dato i natali agli autori dei peggiori attacchi terroristici sul suolo statunitense, ma resta il fatto che le scelte di Trump hanno creato da subito scompiglio, causando la dura reazione del mondo politico e industriale americano. In prima linea troviamo anche l'industria tecnologica, che fin da subito non ha esitato a mostrare il suo disappunto, anche con toni duri, verso la nuova dottrina Trump.

Il mondo tech non ci sta

La risposta di Mark Zuckerberg ai provvedimenti presi da Trump è stata tra le prime ad arrivare online. Attraverso Facebook, Zuckerberg ha affermato: "I miei nonni sono arrivati negli Stati Uniti dalla Germania, dall'Austria e dalla Polonia. I genitori di Priscilla (sua moglie ndr.) sono rifugiati arrivati dalla Cina e dal Vietnam. L'America è un paese di immigranti e dovremmo essere orgogliosi di questo". Sundar Pichai, CEO di Google, non ha espresso un parere sul provvedimento, almeno non direttamente, ma con un memoriale interno all'azienda, trapelato grazie a Bloomberg, ha ordinato a tutti i dipendenti in trasferta nei paesi considerati a rischio di tornare immediatamente negli Stati Uniti, per il timore che possano essere bloccati ancor prima della partenza. Interpellato da The Guardian, Google non ha confermato l'esistenza di questo memoriale, ma si è detta "preoccupata per le conseguenze che gli ordini di Trump avranno sulle libertà dei nostri dipendenti, e per le barriere che impediranno di portare nuovi talenti negli Stati Uniti". Secondo Bloomberg, allo stato attuale oltre 100 dipendenti di Google, spesso in viaggio nei paesi bannati da Trump, subiranno degli effetti negativi dalla nuova normativa, mentre sono 187 i lavoratori attualmente in forza a Big G che provengono dai suddetti stati. Una reazione tutto sommato contenuta quella di Google, lo stesso però non si puo dire per Sergey Brin, uno dei due fondatori del motore di ricerca, che nell'immagine sottostante compare al fianco dei manifestanti all'aeroporto di San Francisco.

Anche Microsoft, pur non attaccando direttamente il Tycoon, ha diffuso un memo per i propri dipendenti, in cui afferma che "Il nostro obbiettivo, come azienda, è quello di fornivi la massima assistenza e copertura legale. Siamo preoccupati per l'impatto che la nuova normativa avrà sui nostri dipendenti provenienti dai paesi presenti nella lista, ecco perché lavoreremo con loro per fornire il massimo aiuto possibile". Anche Satya Nadella, in un post su LinkedIn, ha commentato i fatti. "La nostra esperienza ci ha permesso di vedere l'impatto positivo dell'immigrazione sulla nostra compagnia, sul nostro paese e sul mondo. Continueremo dunque a difendere questo importante elemento". Allo stato attuale, sono 76 i dipendenti Microsoft provenienti dai paesi inseriti nella lista di Trump, ma ce ne sono molti altri che hanno già ottenuto la Green Card e che saranno comunque supportati a livello legale nel caso in cui ne avessero bisogno. Netta invece la posizione di Netflix, che si è affidata alle parole del CEO Reed Hastings per diffondere tutto il suo disappunto. "Le azioni di Trump stanno facendo del male ai dipendenti di Netflix in tutto il mondo e sono talmente anti-americane da addolorarci tutti".
Un supporto importante alla resistenza tecnologica contro Trump arriva da Apple, attraverso le parole del CEO Tim Cook, che ha dichiarato senza mezzi termini che "la nuova linea politica non sarà supportata da Apple". Come nel caso di Google e di Microsoft, anche Apple fornirà la completa tutela legale ai dipendenti che saranno influenzati dalla nuova normativa; Cupertino ha anche diffuso una nota che spiega meglio il pensiero dell'azienda, firmata da Cook.

"Durante i colloqui ufficiali a Washington di questa settimana, ho messo in chiaro che Apple crede fermamente nell'importanza dell'immigrazione, sia per la nostra compagnia che per il futuro. Apple non esisterebbe senza l'immigrazione... Ho detto più volte che la diversità ci rende più forti e se c'è una cosa che posso dire delle persone che lavorano per Apple è la profonda empatia che le lega le une alle altre... Apple è un'azienda aperta, aperta verso tutti, non importa da quale paese si provenga, quale lingua si parli o quali siano le proprie passioni. I nostri dipendenti rappresentano il meglio nel mondo e arrivano da ogni parte di esso". La lettera di Cook si chiude con una citazione di Martin Luther King: "Saremo anche arrivati con navi diverse negli Stati Uniti, ma ora siamo tutti sulla stessa barca". Queste sono solo alcune delle reazioni del mondo tecnologico alla nuova dottrina Trump. La Silicon Valley si è mobilitata in massa, qualcuno in modo diretto altri meno, ma si è dimostrata compatta contro le nuove norme imposte dal neo eletto presidente. Nel frattempo, il dissenso dilaga sempre di più e negli USA si moltiplicano le proteste. Sedici procuratori generali statunitensi hanno già dichiarato anti costituzionali i provvedimenti presi dal nuovo presidente, mentre dal New York Times trapela un'indiscrezione secondo cui Reince Priebus, Capo Gabinetto di Trump, abbia indicato un parziale passo indietro del governo: a tutti i possessori di una green card sarà garantito l'accesso al paese a quanto sembra. Se questo dovesse essere confermato si tratterebbe della prima, pesante sconfitta per la dottrina Trump. Di certo il peso del mondo tecnologico industriale americano si è fatto sentire da subito sulla scena politica americana, e non mancherà di farlo in futuro, non solo con le parole. Lyft, azienda operante nel settore del car sharing, ha già donato un milione di dollari all'American Civil Liberties Union, un esempio che potrebbe essere seguito anche da molte altre realtà. Insomma, l'inizio dell'era Trump è certamente in salita, ma vista la velocità con cui si sta muovendo il nuovo presidente ulteriori novità non tarderanno ad arrivare.