L'uomo dal carattere impossibile che cambiò la scienza: Isaac Newton

Continuiamo la nostra analisi sui più grandi scienziati del passato: uomini geniali, ma anche problematici. Come se la sarà cavata Isaac Newton?

L'uomo dal carattere impossibile che cambiò la scienza: Isaac Newton
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Il mondo della scienza può vantare centinaia di nomi importanti e figure di spicco che hanno contribuito in maniera decisiva a renderla una disciplina precisa e sempre più approfondita. Fare una lista di questi nomi è impensabile e ognuno a modo suo, tra centinaia di scienziati, filosofi e matematici del passato ha dato un contributo fondamentale nel rendere possibile i miracoli tecnologici ai quali assistiamo oggi.
Ma, come abbiamo fatto anche poco tempo fa per il buon Galileo Galilei, oggi vogliamo concentrarci su un altro pilastro della scienza, di smisurata fama e grandezza: Isaac Newton. Forse, si potrà pensare, che ormai già tutto si è detto sulle sue scoperte e sulle sue opere - ed in fondo è vero - ma la nostra analisi proverà a mettere in luce anche quegli aspetti meno conosciuti, come la sua strana personalità e il carattere "impossibile": più volte infatti abbiamo detto che genialità e follia vanno di pari passo, e scopriremo come anche il buon Isaac non sia esente da tale binomio.

Una genialità fin dall'infanzia

Il piccolo Newton aveva una forte inclinazione per la matematica fin da bambino.
Nacque nella contea del Lincolnshire, nel Regno Unito, il giorno di natale del 1642, secondo il calendario giuliano, ovvero il nostro 4 gennaio 1643 (sebbene esistesse già il gregoriano, in Inghilterra fu adottato solo tre secoli dopo e quindi la data di nascita dello scienziato inglese è spesso scritta in entrambi i modi). La sua infanzia non fu facilissima avendo perso il padre ancor prima di nascere e avendo poi instaurato un brutto rapporto con il patrigno.
Passò molti anni di contrasto nonostante Newton fosse ancora un bambino, arrivando anche a violente minacce. Dopo la morte del patrigno si pagò gli studi per la propria istruzione, ma invece di godere della propria gioventù sviluppò un'irrefrenabile passione per la costruzione di piccoli mulini funzionanti, di clessidre e meridiane.
La madre, preoccupata dal suo atteggiamento, cercò di allontanarlo dalla scuola e di farlo concentrare sul lavoro di agricoltore, ma per nostra fortuna intervenne un suo maestro che convinse il genitore a lasciarlo continuare nella vita accademica. A 19 anni Newton si ritrovò a Cambridge, dove partì la sua scalata verso il successo e la fama, diventando poi professore lucasiano di matematica nel 1669.

Le scoperte innumerabili

Trovato il luogo adatto per vivere al meglio la sua passione, l'attività di inventore e scopritore di Newton - sia come matematico, sia come fisico - conobbe un'incredibile impennata portando alla luce teoremi e leggi che per noi oggi sono un po' l'ABC dell'insegnamento scientifico. Per citarne alcune, in questo periodo il nostro professore definì e scoprì il sistema binomiale (per farla breve: quadrato di binomio, quadrato di trinomio e simili), si prodigò nello studio di nuove possibili applicazioni dei logaritmi e iniziò ad abbozzare il famoso "calcolo infinitesimale" (su cui torneremo tra poco).
Ma non mancò neanche di cimentarsi nel campo dell'Ottica, dove scoprì, grazie ad un prisma, la composizione spettrale di un fascio di luce. Con questa deduzione poté modificare profondamente il telescopio di Galileo, rendendolo uno strumento di una precisione infinitamente superiore. Era la nascita del cosiddetto "telescopio Newtoniano", ovvero un telescopio riflettore e non più rifrattore (come fu quello di Galilei). È giusto però ricordare che uno strumento simile fu ideato già molti anni prima, ma le modifiche di Newton lo resero uno strumento molto più avanzato (per gli standard dell'epoca).

Tale fu il successo del telescopio che la Royal Society (una delle organizzazioni scientifiche più autoriali e antiche del mondo, ritenuta tale ancora oggi) lo chiamò per darne una dimostrazione pratica. Ma negli anni a seguire non smise certo di sorprendere: a lui si devono le leggi del moto e della gravitazione universale, le definizioni di massa e inerzia, la teoria della luce corpuscolata (che oggi sappiamo essere bene o male vera solo a metà), un nuovo sistema di produttività della Zecca Reale britannica (che pesò grandemente sul ritorno della stabilità economica del Regno, colpa della guerra dei Trent'Anni che consumò molti fondi) e persino una nuova analisi e interpretazione delle Sacre Scritture.

Il primo terribile scontro

L'interesse di colleghi e studiosi per il suo lavoro gli diede coraggio e riuscì a farlo uscire (anche se per poco) dalla sua condizione di uomo estremamente chiuso, introverso e forse geloso delle proprie scoperte, pubblicando delle brevi note ufficiali denominate "Sui colori". Una volta che si pubblica qualcosa però - si sa - si va incontro alla critica, che può essere entusiasta o denigratoria. In molti tra gli accademici rimasero soddisfatti del lavoro dell'inglese ma uno fra loro, un certo Robert Hooke (di certo non un figlio di nessuno, visto che anche quest'ultimo è considerato uno dei padri della rivoluzione scientifica), si permise di criticare il lavoro di Isaac.
Prima di questo momento i due erano piuttosto amici e spesso intrattenevano corrispondenze a distanza su temi scientifici ma, dopo la critica di Hooke sulla questione della natura della luce, sostendendo che Newton avesse commesso anche degli errori sui suoi appunti riguardo la legge della gravitazione, l'amicizia si trasformò in una feroce diatriba che coinvolse anche la Royal Society per molti anni a venire.

Ad uscirne davvero con le ossa rotte fu il povero Robert, che si dovette scontrare con un Newton quasi all'apice della sua carriera e con un'influenza soverchiante su tutta la comunità scientifica.
Sembrerebbe che Newton si permise persino di insultarlo per la sua statura, e che - cosa ben più grave - continuò ad inveire contro il suo ex amico anche dopo che questi era morto. Sconvolgente è il fatto che l'anno di morte di Hooke coincise con l'elezione a presidente della Royal Society di Isaac Newton (1703) e che quest'ultimo fece togliere e nascondere i quadri che raffiguravano il suo collega defunto, al fine di cancellarne la memoria per i posteri. La cosa gli riuscì fin troppo bene tant'è vero che ancora oggi non è certo quale siano le fattezze di Robert Hooke.

La faida con Leibniz

Durante la sua vita come accademico e come professore, come abbiamo già accennato, Isaac fece scoperte formidabili ed ebbe svariate intuizioni geniali ed eleganti anche nel mondo della matematica. Uno dei suoi successi fu quello di aver dato vita al famigerato calcolo infinitesimale. In realtà non inventò moltissimo, visto che i procedimenti del calcolo erano già noti molti anni prima, ma grazie al suo contributo (e a quello di Leibniz) si è riusciti ad arrivare alla forma definitiva del calcolo di derivate e integrali che conosciamo oggi.

Ma cosa c'entra Leibniz in tutto questo? Egli è stato un famosissimo scienziato e filoso tedesco, e per chi non lo sapesse ad oggi l'invenzione di derivate e integrali viene attribuita ad entrambi, (Leibniz si concentrò soprattutto sulla giusta simbologia da adoperare, mentre Newton sulle applicazioni pratiche).

Questo però lo sappiamo noi, a distanza di secoli e dopo una lunghissima ricerca storica. A quel tempo invece le cose andarono diversamente e fu una lotta tra geni senza esclusioni di colpi. Anche per questa disputa si coinvolse la Royal Society, e fu nominata persino una commissione speciale per risolvere il problema.
La cosa più insolita però è che, quando fu il momento del "verdetto", Newton era già presidente dell'associazione e godeva del supporto quasi unanime della commissione. Inoltre, sembra che lui stesso abbia scritto il rapporto conclusivo. Insomma, non si può certo dire che il giudizio fu equanime.
Per questo "vile" trattamento Leibniz accusò aspramente Newton e tale faida portò ad un rallentamento della diffusione delle nuove scoperte dello scienziato inglese nel resto d'Europa. Poi, come già fece con Hooke, Newton inveì sul suo collega tedesco anche dopo la morte, cancellando dalla sua opera principale (i cosiddetti "Principia") tutti i riferimenti alle scoperte di Leibniz su cui si era basato, cercando di oscurare ogni suo possibile contributo.

Per amor del vero, c'è da considerare che la maggior parte del danno fu provocato dai colleghi dei due studiosi: le prime accuse infatti furono mosse da amici loro vicini, che iniziarono a comportarsi da "male lingue" e a sottolineare quanto un lavoro fosse somigliante all'altro, fin quando non si arrivò alle accuse di plagio.
I due all'inizio si ritrovarono in balia degli eventi - e si hanno testimonianze di una loro diretta corrispondenza per cercare di acquietare gli animi - ma la miccia ormai era accesa e Newton, come presidente della Royal Society e come massimo esponente del mondo accademico non poteva mostrarsi di polso debole o troppo accondiscendente.

I segreti e le dottrine

Intorno al nostro personaggio non è mancata una buona dose di misticismo che si è venuta a creare negli anni dopo la sua morte, quando pian piano sempre più dettagli sono emersi sul suo conto. Egli era un uomo terribilmente riservato ed estremamente insicuro: non era mai deciso se pubblicare una sua scoperta o meno, impiegando anche dieci anni nel rendere ufficiale un suo lavoro, e spesso ciò avveniva solo dopo la spinta dei colleghi. Era impossibile immaginare cosa sapesse e cosa avesse scoperto, e questo non fece che aumentare la sua aurea di mistero. Oltre a questo c'è anche un altro dato di cui va tenuto conto: era molto vicino alla dottrina neostoica (una sorta di stoicismo che cercava di avvicinarsi anche al cristianesimo) e al pitagorismo. Questo lo portava ad avere un'ideologia molto chiusa soprattutto con il concetto di "diffusione del sapere", il quale doveva essere dispensato solo a pochi eletti (e forse anche questo lo tratteneva dal pubblicare subito le sue nuove teorie).
Venne accostato anche a sette segrete ed oscure, come i Rosacroce o il ben più noto Priorato di Sion (riportato in voga soprattutto da Dan Brown nel suo "Codice da Vinci"). Non ci è dato sapere se avesse mai fatto parte di qualche associazione segreta, men che mai di queste due appena citate che molto probabilmente non sono neanche mai esistite, ma di certo il fascino di Newton ne uscì fortemente rinvigorito.

Il carattere controverso e le ossessioni

Vi abbiamo riportato solo due delle varie baruffe che successero nella vita di Isaac Newton, ma già da queste si può intendere che come il personaggio fosse tutto fuorché affabile, e anzi era spesso schivo e impossibile da "accomodare". Nei secoli successivi alla sua morte, studiando sia le sue opere sia lui come individuo, in molti si sono chiesti quale potesse essere la causa di tale temperamento e sono state avanzate varie ipotesi. Una delle più plausibili è che - come spesso accade agli uomini e le donne di genio - possa aver sofferto di qualche malattia o più che altro di qualche disturbo della personalità.
C'è chi ha sostenuto un bipolarismo e chi invece ha ipotizzato la Sindrome di Asperger. La sua difficoltà di instaurare un qualunque tipo di rapporto sociale duraturo (basti pensare al fatto che non ebbe mai moglie, fidanzata o fidanzato, e che si dice sia morto vergine) e i suoi comportamenti ossessivi possono far pensare facilmente ad una sindrome di Asperger (qualcuno ha detto Sheldon Cooper? o Greta Thunberg?), il tutto condito da una buona dose di egocentrismo e carenza di empatia.

Un altro aspetto da tener presente però è che Newton fu ossessionato anche da un'altra branca delle scienze di allora: l'Alchimia. Si dice che per mesi interi si rinchiudesse nel suo studio tra vapori e gas al fine di sperimentare e scoprire combinazioni alchemiche.

A prova di questo fatto c'è che durante la riesumazione del suo cadavere fu eseguita un'analisi sui suoi capelli, trovandovi altissime concentrazioni di mercurio. Questo metallo pesante, se assunto in buone dosi - e per lungo tempo come probabilmente successe a Newton - può portare ad avvelenamento e a disturbi mentali con episodi di delirio. Più volte infatti si è avuto prova che abbia avuto episodi psicotici, con tanto di lettere deliranti inviate ad alcuni amici.
A prescindere dall'ombra che si possa gettare sul suo conto, è innegabile che la sua luce fu infinitamente più intensa, tanto da toccare e illuminare ancora oggi molte altre discipline non direttamente collegate ai suoi studi. È giusto allora lasciarci ricordandolo con un simpatico epitaffio scritto da Alexander Pope, che però non fu mai trascritto sulla sua tomba a Westminster: "La natura e le leggi della natura giacevano nascoste nella notte; Dio disse: «Che Newton sia!», e luce fu".