Zuckerberg chiede scusa davanti al senato USA, ma la data economy è sotto accusa

Il CEO di Facebook, davanti al Senato degli Stati Uniti, è stato protagonista di un'audizione che pone molti interrogativi per il futuro.

Zuckerberg chiede scusa davanti al senato USA, ma la data economy è sotto accusa
Articolo a cura di

Quello che è andato in scena ieri è un evento senza precedenti. Mark Zuckerberg, CEO di Facebook e figura di spicco del mondo tecnologico, si è presentato davanti alle commissioni commercio e giustizia del Senato degli Stati Uniti, per parlare dello scandalo Cambridge Analytica. Un evento che fin da subito ha assunto toni più mediatici che di reale approfondimento sul tema, e che ha lasciato più domande che risposte. E nonostante il mea culpa fatto dal CEO di Facebook, apparso sincero in quel frangente, sono stati troppi i "non so" di un intervento che va analizzato non solo per le parole usate, ma anche per la mimica di uno Zuckerberg apparso, in alcuni frangenti, in difficoltà davanti alla commissione.

Un processo alla data economy

Lo scandalo che vede protagonisti Cambridge Analytica e Facebook è solo la punta dell'iceberg. Quello a cui stiamo assistendo in queste settimane è un vero e proprio processo alla data economy, quella di Google e dei molti social network oggi utilizzati, che sta facendo le fortune della Silicon Valley. Un processo che sembra partire male, almeno osservando il volto di Zuckerberg durante l'intervento di ieri. Teso, con uno sguardo quasi impaurito, il CEO di Facebook è apparso diverso dal solito, molto meno sicuro anche se determinato a difendere con i denti la sua azienda. Fondamentale, in questo senso, alcune delle sue prime affermazioni durante l'intervento.
"Facebook è un'azienda ottimista, vuole unire e connettere le persone... di recente abbiamo visto il movimento MeeToo e la Marcia per la vita di Washington, organizzati in parte da Facebook. Dopo l'uragano Harvey le persone hanno stanziato più di 20 milioni di dollari. Non facciamo però abbastanza per impedire un utilizzo scorretto dei nostri strumenti. C'è la questione della tutela dei dati personali, dell'interferenza straniera nelle elezioni e delle fake news. Tutto quello che è successo è un mio errore e per questo mi scuso. Io ho creato Facebook, io lo gestisco e la responsabilità è mia... Non basta connettere le persone, dobbiamo fare in modo che queste connessioni siano positive. Non basta dare una voce alle persone, dobbiamo fare in modo che le persone non diffondano informazioni sbagliate...".
Le parole di Zuckerberg, all'inizio del suo intervento, riescono bene a riassumere tutti i problemi di una piattaforma che sembra aver perso il controllo di sé stessa, ma ancora recuperabile secondo il suo fondatore. È indubbio il fatto che Facebook non voglia contribuire alla crescita dei fenomeni descritti del suo CEO, ma è anche palese il fatto che un controllo totale sui contenuti condivisi sia pura utopia allo stato attuale, basta aprire Facebook ogni giorno per capirlo. L'ammissione di colpa totale di Zuckerberg tuttavia è un segnale positivo, di un'azienda che non sta cercando di sottrarsi alle sue responsabilità ma che, al contrario, sembra aver bisogno di regole più stringenti sull'utilizzo dei dati degli utenti, come se una auto-regolamentazione fosse impossibile da applicare senza l'intervento del legislatore: "La legge potrebbe cristallizzare le norme sul trattamento dei dati personali, stabilendo che cosa le piattaforme possano e non possano fare. Inoltre i legislatori potrebbero dare alle persone la sicurezza di poter disporre in maniera piena del proprio profilo e delle proprie informazioni".
Zuckerberg ha promesso più attenzione al trattamento dei dati e un aumento del personale adibito alla sicurezza, che entro fine anno conterà 20.000 uomini dedicati. Un numero enorme, ma che sembra oramai necessario a monitorare una piattaforma che conta oltre 2 miliardi di utenti.
I senatori americani hanno puntato su domande le cui risposte sono già arrivate nelle scorse settimane, come quella sul motivo per cui Facebook ci ha messo tanto tempo ad intervenire sulla questione: "Abbiamo chiesto a Cambridge Analytica di cancellare quei dati e ci siamo fidati di quello che ci hanno risposto, è stato un errore. Non è facile evitare gli sbagli quando si costruisce un'azienda del genere in un garage nel 2004 e si arriva a due miliardi di utenti".

Questa frase, forse più di tutte, testimonia come il controllo di Facebook sui contenuti e sul trattamento dei dati degli utenti sia molto difficile da applicare nella pratica, viste le dimensioni raggiunte dalla piattaforma in pochi anni. I temi affrontati durante le cinque ore di intervento non hanno portato alla luce particolari novità sul caso Cambridge Analytica, ma queste non mancheranno certo nelle prossime settimane, visto che il CEO di Facebook ha rivelato che essa non è l'unica società ad avere grandi quantità di dati degli utenti, un'affermazione inquietante e che lascia spazio a ulteriori sviluppi sul tema della data economy.
Alla fine quello che rimane più impresso di questo intervento è il volto umano di Zuckerberg, quello di un ragazzo di 33 anni che ha visto la sua azienda crescere a dismisura e in parte fuori controllo, un controllo che, viste le dimensioni planetarie raggiunte, appare sempre più un miraggio più che un obbiettivo per il futuro.