Ecco come guarire dalla rabbia: puoi salvarti solo dopo esser... morto!

Ecco come guarire dalla rabbia: puoi salvarti solo dopo esser... morto!
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La rabbia è una terrificante malattia diffusa principalmente nel mondo animale. Non esistono al momento vere e proprie cure. L’unico modo per combatterla potrebbe essere... morire. Scopriamo insieme in che modo.

Questa volta non parliamo della rabbia collegata all’ipertensione, ma purtroppo ci riferiamo al letale virus. Nell’uomo, si osserva un tasso di sopravvivenza spaventosamente prossimo allo 0%. Se morso da un animale portatore del virus, una persona ha solo 24 ore (che diventano 48 ore se è vaccinata) per raggiungere un ospedale sperando di impedirgli di infettare il sistema nervoso.

L'incubazione può richiedere settimane o addirittura mesi, iniziando come una malattia simil-influenzale con mal di testa, debolezza e febbre che spesso durano diversi giorni. In poco tempo però, i sintomi progrediscono in problemi neurologici come agitazione, ansia e disfunzione cerebrale, con anche allucinazioni e delirio. Tutto ciò può durare da 2 a 10 giorni ed è quasi sempre fatale. Per avere un’idea della pericolosità, basti pensare che fino ad oggi sono stati registrati meno di 20 casi di sopravvivenza. Come sono sopravvissute queste (poche) persone?

Per quasi tutti, è stato adoperato il controverso protocollo di Milwaukee, ovvero una procedura di ultima istanza che comporta la morte cerebrale quasi completa. La sua efficacia però, è ancora oggetto di accesi dibattiti ed è stata abbandonata dalla maggior parte dei medici.

Sviluppato dal dottor Rodney Willoughby Jr, il protocollo di Milwaukee è una procedura di emergenza per combattere la rabbia nei pazienti umani. Prende il nome dalla città di Milwaukee, dove è stato utilizzato per la prima volta con successo nel 2004. Il protocollo si basa sulla capacità del corpo di combattere il virus della rabbia, ma solo nel momento in cui gli viene concesso abbastanza tempo.

Considerando che la rabbia si muove attraverso i nervi nel sistema nervoso centrale e nel cervello, dove si replica e provoca i devastanti sintomi neurologici, Willoughby Jr e colleghi hanno ipotizzato che se l'attività cerebrale può essere ridotta al minimo indispensabile, il virus potrebbe essere rallentato abbastanza da mantenere in vita il corpo e concedere al sistema immunitario tempo prezioso per combatterlo.

Il protocollo è stato tentato per la prima volta su una ragazza di 15 anni, con medici che usavano potenti anestetici per indurre il coma inibendo l'attività nervosa, mentre le veniva somministrato un cocktail di farmaci antivirali. È stata una procedura ardua, ma dopo 76 giorni è stata dimessa dall'ospedale. I successivi follow-up hanno mostrato che aveva un impedimento del linguaggio e alcune difficoltà a camminare, ma è riuscita ugualmente a laurearsi e ha dato alla luce due gemelli nel 2016.

Da allora, i creatori del protocollo di Milwaukee affermano di aver salvato 18 persone nel 2018 (2 negli Stati Uniti e il resto in Perù), anche se le statistiche sono diventate sfocate e gli esperti mettono in dubbio questi numeri a causa della loro scarsa documentazione.

La procedura ha infatti un tasso di fallimento estremamente elevato, con un recente lavoro che mostra che solo un paziente su 12 trattati con il coma indotto è sopravvissuto. Nonostante non sia inoltre un modo particolare di morire, tutto ciò è molto costoso per il singolo ospedale, richiede un trattamento intensivo ed è eticamente discutibile. A questo punto, viene da chiedersi se con tassi di sopravvivenza così bassi senza trattamento, possa rappresentare l'unica opzione per alcune persone.