Le comunità africane nell'epoca dei Tudor: perché se ne deve parlare?

Le comunità africane nell'epoca dei Tudor: perché se ne deve parlare?
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La narrazione della storia dell'Inghilterra dei Tudor (1485-1603) spesso non specifica il fatto che le comunità africane libere, residenti nella più grandi città inglesi dell'epoca, fossero, in realtà, numerose - come affermò la stessa Elisabetta I in due delle sue lettere del 1596.

Certo, per l'aristocrazia e la corona queste persone non erano altro che corpi vuoti da vendere al miglior offerente o nel caso in cui ci fosse stata una necessità particolare. Infatti, Elisabetta I, nelle lettere citate, proponeva di prendere alcune di queste persone e venderle come schiavi in cambio della liberazione di alcuni prigionieri inglesi in Spagna e Portogallo (Un'ottica abbastanza comune all'epoca e che perdurò fino al 1807 in Gran Bretagna, quando venne emanato il Slave Trade Act; mentre altri paesi del mondo proseguirono fino ad oltre la seconda metà del XIX secolo)

Tuttavia, Robert Cecil, l'uomo più influente nella corte elisabettiana, si oppose alla volontà della regina, ostacolando i mercanti che avrebbero dovuto prelevare gli schiavi. Egli, riconoscendo i cittadini africani come membri integrati all'interno delle comunità, sosteneva che non sarebbe stato facile prelevarli e venderli senza una forte opposizione popolare.

Gli studi demografici che si sono occupati della questione razziale nell'età moderna, più di preciso nell'Inghilterra del XVI secolo, sono riusciti ad identificare una piccola percentuale di popolazione africana, risiedente nei territori inglesi, attraverso i registri parrocchiali di battesimo, matrimonio e morte.

Nei testi risalenti tra il 1558 fino agli inizi del XVII secolo vengono spesso utilizzati termini denigratori nei confronti di questi cittadini, come "Negro" e "Moro" (termine usato già nella Spagna della Reconquista in tono dispregiativo per indicare gli invasori arabi).

Tuttavia, è curioso osservare che, nonostante la forte discriminazione, le persone che abitavano in queste comunità erano battezzate e ricevettero una sepoltura cristiana.

Da quanto emerge nei registri, non era nemmeno raro che all'interno della società inglese ci fossero delle coppie miste, che potevano anche aver generato dei figli. Per esempio, in uno dei registri di battesimo trovati, emerge il nome di una bambina, Helene. Viene affiancato al nome della madre un epiteto razzista, mentre il nome del padre non è seguito da alcun aggettivo.

Le persone di discendenza araba o africana non si trovavano, però, solo rilegati nelle province. Caterina d'Aragona, prima moglie di Enrico VIII, veniva sempre accompagnata dalla sua dama di corte, Catalina di Cardona - originaria della brughiera iberica.

Altri esponenti importanti all'interno della corte inglese furono:

  • John Blanke, un musicista di corte arrivato durante il regno di Enrico VII, la cui figura apparse due volte nel manoscritto che indicava la processione che si sarebbe dovuta seguire a Westminster dopo la nascita del principe Enrico, il primo figlio di Enrico VIII e Caterina d'Aragona.
  • Mary Fillis, una serva di corte libera che appare raramente nei documenti risalenti alla corte del XVI secolo, ma che esistette e decise di convertirsi nel 1597 - dato ricavato dai registri dei battesimi della parrocchia di San Botolfo ad Aldgate.

I dibattiti odierni sull'insegnamento della storia sono molto accesi, sia a livello accademico tra i più celebri nomi del campo sia tra i semplici studenti. Le proposte sono differenti, ma la volontà comune di sempre più studiosi è discostarsi da una visione eurocentrica per potersi avvicinare, con l'ausilio di diverse scienze, a realtà ed elementi della società del passato che ancora oggi risultano vaghe.