James K. Polk: il presidente schiavista che comprava bambini per racimolare una pensione
La storia degli Stati Uniti è ricca di presidenti o alti esponenti pubblici che hanno fatto parlare di sé nel corso dei secoli. Uno fra i più noti è proprio il capo di Stato James K. Polk che, pur noto come l'uomo che spinse i confini degli Stati Uniti, celava un terribile segreto legato allo sfruttamento degli schiavi, soprattutto minori.
Il dibattito sui presidenti e i loro ricchi commerci nel mercato ottocentesco dello schiavismo è molto sentito sia nel mondo accademico statunitense sia nell'opinione pubblica. Evitare di dare un giudizio personale sui fatti storici, soprattutto riguardo un tema del genere, è molto difficile, ma gli storici hanno provato lo stesso a mettere in primo piano i fatti oggettivi. Questa, quindi, è la storia di James Knox Polk.
Nato nel 1795 in Carolina del Nord, Polk discendeva da una famiglia di coloni irlandesi. Trasferitosi nel Tennessee all'età di 10 anni, visse gran parte dei propri studi con un unico obiettivo: entrare nella politica. In particolare, si esercitò per anni nell'uso della retorica, al punto di essere definito il "Napoleone dei comizi".
Facente parte del Partito Democratico, presto divenne il candidato perfetto per correre alle presidenziali del 1844. In poco tempo riuscì a muovere l'elettorato a suo favore e nel novembre dello stesso anno vinse le elezioni.
Il suo programma politico era chiaro: annettere il sud (il Texas che, pur indipendente, de facto era una regione del Messico) e parte della West Coast (in particolare l'Oregon, che, al tempo, era sotto il dominio inglese).
Polk riuscì a conseguire i suoi obiettivi di politica estera, ma sul fronte schiavismo la situazione era un po' più complessa.
Egli riteneva moralmente corretto far uso degli schiavi, di qualsiasi età, e favorì, in silenzio, il fenomeno. Dall'altra parte, però, vi erano gli stati del nord che cominciavano a fare pressione riguardo il tema, opponendosi all'ideologia del presidente.
Polk, dunque, trovò l'escamotage per poter continuare ad avere schiavi senza perdere l'elettorato abolizionista: faceva comprare solo bambini e giovani adulti da terze persone, trasferendoli, successivamente, nelle sue piantagioni nel Mississippi. Qui, il presidente era riuscito ad ottenere grandi ettari di terra sradicando, dopo il 1830, parte della popolazione indigena di Choctaw.
Dopo la sua vittoria, una dozzina dei suoi schiavi (i più adulti) vennero portati nella Casa Bianca con la scusa di averli ereditati dalla dote della moglie e non volerli vendere ad altri schiavisti. Appariva, quindi, come il padrone misericordioso che, pur non volendo avere degli schiavi, doveva tenerli per la loro salvaguardia.
Polk si riguarderà, però, dal far sapere all'opinione pubblica che nelle sue terre venivano usati principalmente bambini per la manodopera schiavista. Come scritto in una lettera al cugino, la giovane età era un importante requisito nella sua selezione, perché, per lui, "giovane" corrispondeva a "più efficace".
Inoltre, più piccoli erano gli schiavi, più l'investimento avrebbe avuto valore sul lungo termine: i ragazzi avrebbero lavorato più a lungo nelle piantagioni e le ragazze avrebbero dato alla luce bambini che Polk non avrebbe dovuto comprare.
Michael David Cohen, ricercatore nell'università del Tennessee, ha spiegato che la compravendita degli schiavi e le ricchezze ottenute dalla loro manovalanza erano comprese nel piano pensionistico che Polk aveva progettato, per lui e sua moglie, a conclusione della sua carriera politica.
Sfortunatamente, però, per quanto i bambini fossero più economici da comprare, erano anche i più soggetti a malattie e a morti premature per via della brutalità delle piantagioni. Lo storico William Dusinberre sostiene che circa il 51% degli schiavi comprati da Polk morirono per questi due fattori.
FONTE: History
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