Missioni su Encelado: quanto è complicato non portare "parassiti" terrestri?
Dal passaggio delle prime sonde Voyager, ma soprattutto dopo le sorprendenti foto di Cassini, la luna di Saturno Encelado ha suscitato un grande interesse nella comunità scientifica. Il prossimo obiettivo è organizzare un lander o un orbiter in grado di studiare la luna, ma bisogna considerare anche i pericoli di una contaminazione.
È un problema che riguarda tutte le missioni spaziali, persino quelle di routine come le spedizioni cargo sulla ISS (sapevate che è appena arrivato un bel carico stravagante sulla Stazione Spaziale Internazionale?): il controllo di possibili proliferazioni batteriche e/o di microrganismi a bordo delle navicelle, dei razzi, o di qualsiasi parte della strumentazione di missione da sempre è un fattore di rischio, soprattutto per voli che hanno come obiettivo mondi possibilmente “favorevoli” alla vita.
Sappiamo che ogni vite, ogni rivoletto o bullone di un veicolo aerospaziale viene montato e costruito sotto severissimi controlli ambientali, in ambienti asettici e quanto più sterili possibili, ma non si può mai avere la certezza del 100%. Per le missioni Apollo i controlli erano molto severi, pur sapendo che l’ambiente lunare era particolarmente difficile da “infettare” con microrganismi provenienti dalla Terra; quanta dedizione, e quanto controllo ci vorrà per un’eventuale missione che abbia come obiettivo Encelado?
La luna di Saturno è nota soprattutto per essere un corpo celeste con buone probabilità di ospitare la “vita”: i suoi oceani d'acqua sotterranei, uniti alla presenza di fuoriuscite di geyser di vapore dalla superficie, indicano che Encelado è attualmente geologicamente attivo, e le temperature delle cavità sotterranee potrebbero essere molto favorevoli per la proliferazione batterica. Se da una parte ciò è entusiasmante, in quanto potrebbe esserci già un processo biologico in corso, dall’altra desta molta preoccupazione negli scienziati. Una possibile contaminazione dei ghiacci o delle falde acquifere rischierebbe di far proliferare sì, la vita su un altro corpo celeste, ma pur sempre di origine terrestre, l'incubo di ogni astrobiologo.
Shannon MacKenzie - scienziata planetaria presso il laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University nel Maryland – insieme ai suoi colleghi, ha iniziato a lavorare ad uno studio del concetto di missione su Encelado, tenendo conto soprattutto di queste problematiche. “Che tu sia in orbita o in superficie, è fondamentale assicurarsi che la navicella stia lontano da quell'oceano”, ha detto MacKenzie.
"Per un orbiter vuoi assicurarti di non impattare accidentalmente la superficie ad alta velocità e in qualche modo contaminare l'oceano. Per un lander invece, non vuoi rovinare la delicata fase di atterraggio rischiando di fare la stessa fine."
Ciò che sarà di fondamentale importanza per un’ipotetica futura missione sarà soprattutto lo studio della possibile zona di atterraggio, che dovrà essere quanto più stabile possibile e lontana dalle falde acquifere di Encelado: "Non c'è uno strumento di rilevamento della vita, in cui basta premere un pulsante e poi dire, 'Oh, c'è vita qui' oppure 'Oh, non c'è vita qui'. Sarebbe fantastico ma non esiste. Invece, dobbiamo trovare un paio di strade diverse per fornire prove sufficienti e convincerci [della sterilità delle componenti]”.
La missione messa in conto da MacKenzie e soci prende il nome di "Enceladus OrbiLander”, una singola navicella spaziale che potrebbe prima orbitare intorno ad Encelado, e poi atterrare sul suo guscio ghiacciato, il tutto alla ricerca di segni di vita. Sebbene per ora sia un progetto messo soltanto su carta, ha tutte le carte in regola per divenire la prima – effettiva – missione capace di visitare una luna di un gigante gassoso come Saturno.
FONTE: SPACE.COM
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