Dopo aver percorso 750 milioni di anni luce, un neutrino si è schiantato in Antartide

Dopo aver percorso 750 milioni di anni luce, un neutrino si è schiantato in Antartide
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Ci pensate? Una minuscola particella subatomica ha viaggiato per 750 milioni di anni luce nell'Universo per poi, infine, "schiantarsi" in Antartide. Ma andiamo con ordine: per la prima volta in assoluto, sono stati ricevuti dei segnali da due buchi neri supermassicci che si sono "nutriti" con alcune stelle nelle loro vicinanze.

Il primo buco nero ha una massa di 30 milioni di soli, si trova a 750 milioni di anni luce di distanza, e la sua luce è stata osservata nell'aprile 2019, ma sei mesi dopo uno strumento in Antartide ha catturato una particella spettrale ad altissima energia (un neutrino), che sembra essere stata espulsa proprio durante l'evento.

Il secondo buco nero, invece, ha circa 1 milione di volte la massa del sole e si trova in una galassia a 700 milioni di anni luce di distanza. In entrambi gli eventi, gli esperti affermano che i buchi neri abbiano fatto a pezzi una stella, qualcosa chiamato in gergo "evento di distruzione mareale" (TDE).

Mentre il mostro cosmico divora il suo pasto, la stella viene "spaghettificata". Questo evento produce un getto di energia incredibile; secondo altri modelli alcune stelle potrebbero anche esplodere verso l'esterno e interagire con il gas e la polvere circostanti, generando della luce (che poi viene vista anche dalla Terra, per intenderci).

Le particelle, a causa dell'ambiente estremo in cui si trovano, possono aumentare la loro velocità in processi simili a quelli visti all'interno degli acceleratori di particelle. Potrebbe essere stato proprio questo evento ad "accelerare" il neutrino e farlo dirigere verso il nostro pianeta, scoperto grazie all'IceCube Neutrino Observatory sepolto all'interno del ghiaccio antartico.

Questa scoperta è così importante perché gli astronomi non hanno mai ricollegato un neutrino a un particolare TDE, rendendo questo il primo caso noto. Lo studio in questione è stato pubblicato il 22 febbraio sulla rivista Nature Astronomy.