È possibile utilizzare i buchi neri per mappare l'Universo? Sì, grazie al loro "eco"!

È possibile utilizzare i buchi neri per mappare l'Universo? Sì, grazie al loro 'eco'!
INFORMAZIONI SCHEDA
di

La Terra è il nostro unico punto di osservazione disponibile per studiare l’Universo in cui siamo letteralmente immersi, e si può ben immaginare quanto sia difficile concepirlo in tre dimensioni, non avendo possibilità di guardarlo “dall’esterno”. E se usassimo dei buchi neri per darci una mano nella misurazione?

Una delle sfide più ardue dell’astronomia, infatti, è quella di misurare la distanza dei vari corpi celesti in modo sempre più accurato, trovando dati sempre più precisi e affidabili. Stando a quanto ipotizzato nello studio pubblicato sul The Astrophysical Journal, si potrebbero usare non solo i dati provenienti da stelle, galassie e nebulose, ma persino da buchi neri supermassicci. Sembra un ossimoro che un oggetto rinomato per la sua capacità di trattenere ogni tipo di informazione (compresa la radiazione luminosa) possa offrire dei dati utili, ma in effetti è proprio quello che i ricercatori hanno proposto, mediante un “effetto collaterale” di determinati mostri cosmici.

Solitamente, per osservare la lontananza tra noi e una stella - o anche tra diversi corpi celesti – si usano diverse tecniche che hanno come basamento la luminosità assoluta e quella apparente, la loro velocità relativa (calcolata mediante il “red-shift”), o una qualsiasi emissione dello spettro elettromagnetico (come infrarossi, raggiX e così via). Per far entrare anche i buchi neri come candidati ideali per la mappatura dello spazio occorre innanzitutto che si tratti di quelli supermassicci, tipici dei centri galattici, e che siano attivi.

I buchi neri che rispettano tutte queste condizioni (come, ad esempio, quello situato nella radiogalassia Cygnus A) presentano diverse particolarità in grado di rivelare molto agli astronomi. Non possono essere visti in maniera diretta, ma il loro effetto sull’ambiente circostante invece racconta moltissimo: il materiale di polveri e gas che finisce per cadere nel cuore di tenebra cosmico inizia a vorticare a livelli vertiginosi, generando una forte emissione energetica che spesso si traduce in esplosioni di radiazione elettromagnetica come raggi X e ultravioletti.

Ma ciò non basta, e la svolta dello studio risiede nell’utilizzare l’”eco” che un buco nero possiede: intorno alla singolarità, anche a diverse migliaia di anni luce, spesso viene a crearsi un “toroide” (una forma geometrica, molto simile alla ciambella) di polveri e di materiale catturato dall’interazione gravitazionale. Questo toroide, dopo che il buco nero ha emesso qualche forma di radiazione elettromagnetica dal suo disco di accrescimento, funge sia da filtro e sia da ripetitore: riemette il “segnale” per lo più nell’infrarosso e concede una sorta di seconda luminosità al buco nero, molto più facile da analizzare. Comparando i dati è poi possibile scoprire quanto i bordi del toroide siano distanti tra loro, dando una stima della “luminosità intrinseca del buco nero”.

Un’idea quasi sconcertante, ma che ha incuriosito molto diversi scienziati, i quali però non hanno avuto remore nell’affermare che lo studio ha bisogno di altri test prima di offrire dati utili e affidabili. Non a caso la ricerca di Qian Yang, Yue Shen e soci ha impiegato circa due decenni per venire fuori, avendo mappato circa 587 buchi neri supermassicci. “La bellezza della tecnica di mappatura dell'eco è che questi buchi neri supermassicci non spariranno presto", ha riferito Yang. "Così possiamo misurare gli echi del toroide più e più volte per lo stesso sistema e continuare a migliorare la misurazione della distanza”.

Su questi mostri cosmici si è detto molto, e spesso girano alcune teorie davvero bizzarre: la più recente afferma che in un buco nero possano nascondersi interi "universo frattale".

È possibile utilizzare i buchi neri per mappare l'Universo? Sì, grazie al loro 'eco'!