Questa AI individua le malattie genetiche analizzando il volto delle persone
L'azienda FDNA ha sviluppato una intelligenza artificiale capace di riconoscere e diagnosticare una malattia genetica analizzando il volto di una persona. Potrebbe portare a risultati molto importanti per la medicina, riducendo i tempi necessari alla diagnostica di malattie spesso non facili da individuare.
Il ragionamento alla base del suo funzionamento è, almeno sulla carta, semplice: molte malattie genetiche portano con loro dei tratti somatici comuni, l'esempio più comune di questo, spiega il magazine Ars Technica, è sicuramente la sindrome di down. Le persone che ne sono affette normalmente hanno alcune caratteristiche distintive che permettono il riconoscimento della condizione a vista.
Altre condizioni dovute a disordini della genetica, ad ogni modo, pur avendo comunque alcuni tratti somatici distintivi, sono meno facili da diagnosticare per un medico meno esperto, motivo per cui i pazienti potrebbero essere sottoposti a tempi d'attesa piuttosto lunghi, prima che la loro malattia venga correttamente individuata.
FDNA ha addestrato una intelligenza artificiale partendo da un vasto database composto da 500.000 immagini di primi piani, appartenenti ad oltre 10.000 individui, alcuni dei quali affetti da malattie genetiche. L'IA avrebbe, dunque, imparato a distinguere una persona affetta da malattia genetica da una persona, sotto questo profilo, sana.
Il software, denominato DeepGestalt, ha ottenuto un tasso di successo del 90% con la sindrome di Cornelia de Lande e di Angelman. Lo stesso test ripetuto da alcuni medici esperti, ha portato, invece, ad un tasso di successo compreso tra il 70% e il 75%.
Sebbene necessiti di ulteriore perfezionamento, DeepGestalt è stato in grado di ottenere buoni risultati anche con un compito più difficile: distinguere i diversi casi di sindrome di Noonan, una malattia genetica che presenta cinque possibili variabili, a seconda di quale gene abbia subito una mutazione.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature.
FONTE: Ars Technica
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