Un ritrovamento conferma l'uso diffuso di tatuaggi tra le popolazioni Vichinghe
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La televisione ci ha abituati a vedere i Vichinghi con i caratteristici tatuaggi che ne ornano corpo e viso e, ad alcuni di noi, può essere sorta spontaneamente la domanda: ciò è storicamente accurato?
Una nuova scoperta mette in luce che sì, i Norvegesi li sfoggiavano realmente.
La conferma ci arriva per lo più da fonti storiche arabe, da resoconti di cronisti e statisti in viaggio nelle fredde terre del Nord per commerciare o per effettuare scambi culturali con queste culture così diverse da loro.
E' celebre la testimonianza di Ahmad Ibn Fadlan, studioso di Baghdad, inviato in missione diplomatica nella zona del Medio Volga, Russia, dove incontrò per la prima volta i Rusiyyah (o Rus) denominati da lui in questo modo (Questa storia realmente accaduta ha dato vita al film "Il tredicesimo guerriero" con Antonio Banderas).
Si trattava di commercianti svedesi, schiavisti, intenti a navigare sul Volga per vendere la propria merce ai mercati locali.
Ibn Fadlan li descrive come uomini prestanti, coperti solo da spessi mantelli che lasciavano scoperto un braccio e metà del corpo per permettere di maneggiare più agevolmente le armi con cui si accompagnavano: pugnali, asce, spade, queste ultime con la caratteristica lama larga e increspata.
Dulcis in fundo, il messo arabo parla dei tatuaggi blu-verdognoli che li ricoprivano dalle dita al collo e che rappresentavano, per lo più, alberi e simboli runici (ed il celebre simbolo dei mercanti norreni, ovvero una bestia in procinto di attaccare).
L'inchiostro proveniva quasi certamente dalla cenere del legno, usato comunemente per colorare la pelle.
Non è del tutto certo che le parole di Ibn Fadlan fossero realistiche in quanto potrebbe aver descritto in questo modo i vichinghi per accentuarne l'aspetto quasi bestiale, feroce ma affascinante che suscitava in un arabo dell'epoca.
Inoltre, le saghe norrene non descrivono mai tatuaggi seppur riportino di cicatrici e del colore dei capelli.
Tuttavia è stato ritrovato nel permafrost, in Siberia, il corpo di un capo Scita del 500 a.C. con la pelle intatta dal gelo che ne ha conservato i tatuaggi caratteristici e questa potrebbe essere la prova che cercavamo.
La simbologia nordica è giunta fino a noi tanto da spingere molte persone a farsela riprodurre attraverso i tatuaggi.
Un motivo molto celebre è il Vegvisir, la bussola (che deriva da un testo di magia islandese del 17° secolo seppur esso sia da sempre associato a vichinghi) che aiutava nella navigazione marittima.
O ancora Ægishjálmr o l'Elmo del terrore, tatuato tra gli occhi, che doveva suscitare paura e confusione nei nemici e proteggere il possessore dalle malattie.
FONTE: AncientOrigins
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