Sconvolgente studio annuncia: gli esseri umani potrebbero perdere l'olfatto

Sconvolgente studio annuncia: gli esseri umani potrebbero perdere l'olfatto
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I sensi sono strumenti necessari per saggiare gli stimoli del mondo che ci circonda. In una sua nota opera, Shakespeare scrisse: “ciò che chiamiamo rosa, pur con un altro nome, avrebbe lo stesso incantevole profumo”. E se non potessimo più sentirlo? Uno studio ha scoperto che l’olfatto degli esseri umani potrebbe rischiare di svanire con il tempo.

La possibilità di percepire gli odori è fornita da una moltitudine di recettori presenti nelle cavità nasali, capaci di rilevare le sostanze chimiche che aleggiano nell’aria. Ma tali strutture adibite alla captazione degli odori possiedono una notevole variabilità a seconda dell’individuo.

Uno studio condotto da un team di ricerca internazionale, analizzando i recettori olfattivi per la percezione dell’odore corporeo e del muschio, ha valutato la possibilità che l’olfatto degli esseri umani potrebbe gradualmente scomparire.

Una ricerca risalente al 2013 , verificò che, tra due persone, le differenze riscontrabili nei geni specificanti tali recettori è del 30%. In tale differenza risiede la capacità di alcuni individui di essere più sensibili agli odori ed avere un olfatto più sviluppato di altri.

Lo studio odierno, guidato da Bingjie Li dello Shanghai Institute of Nutrition and Health, ha valutato 1.000 persone di nazionalità cinese e 364 newyorkesi di svariate etnie. Ai volontari sono stati sottoposti 10 odori, tra cui muschio e ascelle umane, in quanto presentano più variabilità di percezione.

Dal riscontro dei dati gli scienziati hanno trovato prove a supporto della controversa ipotesi che affermava il graduale deterioramento dell’olfatto umano a causa di modifiche genetiche nei recettori olfattivi.

Valutando l’intensità percepita dai volontari e le peculiarità genetiche degli stessi, gli scienziati hanno provato a determinare l’andamento nei cambiamenti olfattivi. "Il confronto di questa variabilità percettiva con la variabilità genetica ci consente di identificare il ruolo dei singoli recettori" suggeriscono i ricercatori.

Lo studio ha identificato due recettori olfattivi, uno adibito alla percezione della Galaxolide, molecola caratteristica della dolce fragranza di talco associata all’odore di "pulito". L’altro recettore è associato alla sostanza chimica 3M2H, che identifica uno degli odori del corpo umano. A proposito di odori sgradevoli, la scienza ha pensato ad ovviare ai problemi di alito cattivo.

Mutazioni dei geni che specificano per questi recettori hanno determinato l’intensità percepita dai volontari per i due odori. Il team ha approfondito queste ed altre 27 mutazioni genetiche, valutando anche il periodo di comparsa di tali modifiche, per scoprire se i recettori fossero diventati più o meno sensibili agli odori.

Secondo gli autori "Abbiamo scoperto che gli individui con versioni ancestrali dei recettori tendono a valutare l'odore corrispondente come più intenso", e continuando "Sebbene questo studio non sia stato progettato per affrontare direttamente questa ipotesi e possa soffrire di bias di selezione, questi dati supportano l'ipotesi che il repertorio del gene olfattivo dei primati sia degenerato nel tempo".

Questa teoria si basa sulla considerazione che gli esseri umani starebbero sviluppando una diminuzione dell’olfatto dal momento in cui la vista è divenuta il senso dominante. Come i primati, infatti, gli esseri umani possiedono molti meno geni olfattivi rispetto agli altri mammiferi.

Per quanto affascinante, diversi esponenti della comunità scientifica contestano tale teoria, affermando che tutto sommato l’olfatto umano sia abbastanza sviluppato. Infatti, pur possedendo meno geni olfattivi rispetto ad altri animali, gli esseri umani possiedono una grande abilità di discernimento degli odori. Non paragonabile, di certo, al prodigioso odorato delle locuste e ai loro meccanismi olfattivi.

"Come altri mammiferi, gli esseri umani possono distinguere tra un numero incredibile di odori e possono persino seguire tracce di odori all'aperto", ha scritto John McGann, ricercatore della Rutgers University e coautore dello studio del 2017.

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