Uno spaccato bizzarro del Novecento: da orsi polari alla blackface
INFORMAZIONI SCHEDA
Jean-Marie Donat è riuscito a raccogliere in 30 anni più di 10 mila scatti. Ciascuno di essi mostra uno spaccato peculiare, a tratti anche macabro, della prima metà del XX secolo.
La prima collezione, quella che forse ha avuto più successo su Internet anche a distanza di anni, racchiude più di 200 foto tedesche risalenti sin dai primi anni del Novecento. Esse sono accomunate da una presenza costante di un uomo travestito da orso polare. E' proprio da questo elemento che l'artista ha deciso di dare nominare la collezione "Teddybär".
Il primo scatto che Donat scambiò con un collezionista tedesco fu la foto di un uomo d'affari al fianco di un orso polare. L'immagine fu, sì, surreale al primo impatto, ma non suscitò grandissimo interesse nell'artista. Successivamente, trovò la foto di due soldati nazisti in una posa amichevole...sempre con un orso polare. Fu in quel momento che sentì il bisogno di andare più a fondo alla questione.
A partire dagli anni '20 del Novecento, l'attrattiva principale del celebre Zoo di Berlino divennero due orsi polari - tra i primi esemplari portati in uno zoo europeo. Tutte le persone cominciarono a fare foto con questi, soprattutto le famiglie con bambini più piccoli. Di conseguenza, il parco decise di assumere degli uomini che potessero diventare delle mascotte. Fu una strategia di marketing efficace, perché da quel momento in poi scoppiò una moda che sopravvisse fino agli anni '70: farsi foto con uomini travestiti da orso bianco.
Nella collezione "Teddybär", pubblicata recentemente anche in un libro, vi sono foto sia in bianco e nero sia a colori che mostrano momenti diversi della storia della Germania, dal Terzo Reich fino ai primi anni del Muro di Berlino. Quelle che sicuramente suscitano più attenzione sonoì gli scatti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, perché è possibile osservare come la cultura nazista si fosse radicata all'interno anche dei più semplici momenti della vita delle persone: una gita al mare, un evento sportivo, etc...
Lo scatto che ha colpito di più Donat dopo quella dei soldati nazisti, è stato quello di una bellissima bambina dalle lunghe trecce bionde -il tipico esempio di una ragazzina durante il Terzo Reich- con una svastica ricucita al centro del suo vestito.
L'altra collezione di Donat venne chiamata "Blackface", proprio perché racchiude al suo interno una serie di foto in bianco e nero scattate tra il 1880 e il 1960. Tutte queste racchiudono donne, uomini e bambini caucasici che per i motivi più disparati, dal pubblicizzare agenzie di viaggio alla "semplice comicità" del gesto, decisero di farsi fotografare con la faccia dipinta di nero.
Una pratica molto diffusa durante quegli anni e che rivela le profonde radici che la segregazione raziale e, più in generale, il razzismo avevano nella società statunitense. Questa pratica e gli stereotipi nati dal teatro influenzarono la percezione del mondo degli individui, al punto di essere usata persino nelle foto di famiglia. Fu solo nel 1960, con la nascita dei primi movimenti per i diritti civili, guidati da Martin Luther King, che vennero denunciati i preconcetti razzisti e denigratori del gesto.
FONTE: HISTORYNET
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