Tre quarti delle app Android traccerebbero gli utenti con strumenti di terze parti
Secondo una nuova analisi condotta sulle applicazioni presenti sul Play Store di Android, e pubblicata dal Guardian, tre quarti delle app traccerebbero gli utenti e le loro abitudini attraverso strumenti di terze parti.
Lo studio è stato effettuato dalla società francese Exodus Privacy, in collaborazione con lo Yale University Privacy Lab, che hanno analizzati le applicazioni mobili e le firme di 25 popolari strumenti di tracking, che utilizzano varie tecniche per mettere le mani sulle informazioni personali degli utenti al fine di orientarli meglio a livello di pubblicità e servizi.
Tra queste figuravano anche applicazioni molto utilizzate, come Spotify, Uber ed OkCupid. Tutte e quattro le applicazioni utilizzano un servizio di proprietà di Google, chiamato Crashlytics, che tiene in primo luogo traccia delle segnalazioni di crash delle applicazioni, ma può anche offrire al motore di ricerca la possibilità di ottenere informazioni "sulle abitudini" per scopi pubblicitari.
Altri strumenti, meno diffusi, possono addirittura fare altro. Uno citato da Yale è FudZip, sviluppato da una compagnia francese e che è in grado di "rilevare la presenza di telefoni cellulari e quindi dei loro proprietari", utilizzando gli ultrasuoni. FidZup sostiene che nessuno utilizza più la tecnologia, dal momento che il tracciamento degli utenti attraverso le reti WiFi semplici funziona altrettanto bene.
I ricercatori di Yale sostengono che "le pratiche di FidZup sono molto simili a quelle di Teeemo, l'azienda che è stata coinvolta in uno scandalo all'inizio dell'anno in quanto aveva studiato la geolocalizzazione di 10 milioni di cittadini francesi, e SafeGraph, che ha raccolto le informazioni di localizzazione di 10 milioni di smartphone durante il Ringraziamento lo scorso anno. Entrambi però sono stati profilati da Privacy Lab e possono essere identificati da una scansione sul cellulare".
La compagnia ha invitato gli sviluppatori, Google in primis, ad una maggiore trasparenza su temi delicati come questi.
Yale ancora non ha esaminato le applicazioni di iOS, ma sostiene che la situazione potrebbe essere simile in quanto molte aziende utilizzano gli stessi strumenti.
FONTE: The Guardian
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