È stata trovata una reliquia dell'Universo Primordiale ai bordi della nostra galassia
Nella costellazione della Fenice gli scienziati hanno fatto una bizzarra scoperta: un flusso stellare, una catena allungata di stelle che esisteva in una forma sferica, nota come un ammasso globulare. Tali ammassi possono essere fatti a pezzi dalle forze gravitazionali di una galassia e in questo caso la loro forma globulare si deforma.
In questo flusso stellare, tuttavia, c'è qualcosa che non abbiamo mai visto fino ad ora: la loro metallicità è di molto inferiore al valore limite minimo osservato. "È quasi come trovare qualcuno con DNA che non corrisponda a nessun altro, vivo o morto", afferma l'astronomo Kyler Kuehn dell'Osservatorio Lowell in Arizona.
Ci sono circa 150 ammassi globulari conosciuti nella Via Lattea. Ciascun cluster può contenere centinaia di migliaia di stelle e le osservazioni di questi gruppi di stelle nella nostra galassia hanno dimostrato che tutti i cluster mostrano una certa coerenza nella loro chimica stellare: i corpi celesti all'interno, infatti, sono arricchiti con elementi chimici "più pesanti" che sono più massicci dell'idrogeno e dell'elio.
Tuttavia, questa soglia chimica non viene rispettata dal flusso della Fenice, che mostra elementi meno pesanti nelle sue stelle di quanto teoricamente possibile per una struttura del genere. "Questo flusso proviene da un cluster che, a quanto ci risulta, non dovrebbe esistere", spiega l'astronomo Daniel Zucker della Macquarie University in Australia.
Il team pensa che questo clustrer possa essere l'unico sopravvissuto di un tempo molto antico: una reliquia celeste di un'epoca passata dell'universo primordiale. "Una possibile spiegazione è che il flusso rappresenti l'ultimo del suo genere, il residuo di una popolazione di ammassi globulari nati in ambienti radicalmente diversi da quelli che vediamo oggi", sostiene l'astronomo Ting Li dei Carnegie Observatories.
Esistono altre strutture del genere? "Ora che è stato trovato il primo, la caccia è iniziata." Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature.
FONTE: sciencealert
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