Trovati dei reperti della Prima Guerra Mondiale tra i ghiacciai sciolti delle Alpi
Durante la Prima Guerra Mondiale furono numerosi gli scontri tra l'Italia e l'Austria-Ungheria sulle Alpi ed è proprio tra queste che dei soldati furono, in una data non precisa, costretti a costruire delle baracche dentro una cava nel monte Scorluzzo per sopravvivere. Oggi quello che lasciarono indietro è stato finalmente ritrovato.
Tra il 1915 e il 1918 il Regno d'Italia e l'impero austro-ungarico si sfidarono a vicenda nel cosiddetto "fronte alpino", dando il via alla guerra Bianca. Quest'espressione particolare individua tutte quelle azioni militari che vennero svolte in alta quota tra la regione storica del Tirolo e la Lombardia.
La scelta di combattere in un luogo impervio come quello montano, soprattutto ad alta quota, era dovuta ad un semplice fattore: nelle fasi iniziali del conflitto mondiale, quando l'Italia vi entrò a far parte nel 1915, l'Austria-Ungheria aveva pochi soldati da mandare in Italia. Sfruttare, quindi, le postazioni sopraelevate e la conoscenza delle foreste diveniva un vantaggio nei vari scontri tra trincee.
Molte delle testimonianze fisiche di questa guerra specifica non riemersero dalle montagne fino agli inizi degli anni '90 del Novecento, perché gran parte dei reperti rimase, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, congelato tra i grandi ghiacciai delle Alpi lombarde e delle Dolomiti.
Paradossalmente, in questo caso il cambiamento climatico e l'innalzamento costante delle temperature ha fatto sì che tornassero alla luce armi, lettere, diari, monete e persino i corpi di alcuni soldati.
La posizione della baracca trovata sul monte Scorluzzo (una cima che sovrasta il passo dello Stelvio) era già nota agli storici da diversi anni, ma è sempre stato impossibile poter entrare nella cava dove gli soldati, del fronte austro-ungarico, decisero di proteggersi, perché nel novembre del 1918 sigillarono ogni possibile entrata - coperta poi dal ghiaccio nel corso dei decenni.
Questa situazione è durata fino al 2015, quando gli archeologi sono riusciti, col scioglimento dei ghiacciai, ad entrare nella grotta in diverse spedizioni di ricerca e portare gradualmente alla luce tutti quegli oggetti che caratterizzarono la vita quotidiana dei pochi combattenti all'interno della cava.
Stefano Morosini, coordinatore di diversi progetti culturali presso il Parco Nazionale dello Stelvio, nonché storico, ha spiegato che questa scoperta aiuterà nel futuro a comprendere quanto, in realtà, l'esperienza di vita nel fronte alpino fosse più degradante e traumatica di quello che pensiamo per entrambi i fronti ed un'esperienza che non andrebbe mai dimenticata.
FONTE: The Guardian
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