USA-Cina, continua la guerra dei chip: Pechino blocca un enorme chipmaker americano

USA-Cina, continua la guerra dei chip: Pechino blocca un enorme chipmaker americano
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La guerra dei chip tra Stati Uniti e Cina continua, arrivando persino a riaccendersi dopo alcuni mesi di relativa calma. Questa volta, però, è una mossa di Pechino a destare scalpore: la Cina, infatti, avrebbe chiesto ai chipmaker cinesi di non collaborare più con Micron, il più grande produttore americano di memorie al mondo.

Stando a quanto riporta l'Associated Press, i prodotti di Micron avrebbero dei "seri rischi di sicurezza di rete", almeno secondo le autorità di Pechino, per le quali le memorie Micron potrebbero risultare pericolose per l'infrastruttura informativa e la sicurezza nazionale cinese. Le accuse rivolte dal Governo cinese a Micron sono del tutto simili a quelle che Washington ha rivolto anni fa Huawei, portando poi al ban della compagnia dal territorio americano.

Sfortunatamente, Pechino non ha fornito ulteriori dettagli sui presunti rischi delle memorie Micron per la sua sicurezza nazionale, limitandosi a rilasciare uno statement di sole sei righe a riguardo sul sito web della Cyberspace Administration of China. L'agenzia, in particolare, ha spiegato che "gli operatori di infrastrutture informatiche critiche in Cina dovrebbero smettere di acquistare prodotti da Micron".

Al di là della giustificazione ufficiale, quella di Pechino è stata interpretata come una rappresaglia contro gli Stati Uniti e i loro alleati per via delle sanzioni sulle esportazioni tecnologiche rivolte alla Cina degli scorsi mesi, hanno causato enormi problemi per il chipmaking cinese, bloccando gli export dei macchinari industriali di origine giapponese e olandese diretti verso le grandi aziende dell'Estremo Oriente.

Sempre l'AP riporta che l'attacco a Micron è solo l'ultimo evento di una lunga serie, iniziata con una revisione stringente delle leggi sulla cybersecurity nazionale approvata il 4 aprile e passata per i raid della polizia cinese nelle sedi locali di grandi multinazionali estere. Ora, però, resta da capire come (e se) gli Stati Uniti decideranno di rispondere.