Vediamo perché Stalin provò ad eliminare ogni forma di religione dall'Unione Sovietica

Vediamo perché Stalin provò ad eliminare ogni forma di religione dall'Unione Sovietica
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Se ci chiediamo quali furono le motivazioni che spinsero Stalin a condurre una politica repressiva contro ogni credo religioso all'interno dei confini sovietici, troviamo subito una risposta in ciò che Karl Marx aveva sempre affermato, cioè "La religione è l'oppio dei popoli". Tuttavia, le cose erano molto più complesse di quello che crediamo.

A partire dalla fondazione dell'Unione Sovietica, Lenin aveva avviato delle politiche che imponevano ai cittadini di praticare l'ateismo, secondo il volere del Manifesto Comunista. Tuttavia, le sue soluzioni non furono mai violente quanto quelle di Stalin, il cui obiettivo era quello di eliminare persino il concetto di Dio.

Questa sua "ambizione" non era solo ideologica, come potremmo pensare, ma aveva anche delle basi pratiche.

A partire dagli anni '20, infatti, nonostante le limitazioni di Lenin, la Chiesa ortodossa russa era ancora fortemente radicata in tutto il territorio. La classe sociale dei contadini, in particolare, era quella che credeva di più nei dogmi ortodossi, al punto che da essi ne dipendevano le loro intere vite.

Questo, agli occhi dei rivoluzionari e dei leader comunisti russi era un forte problema, se non, addirittura, una minaccia alla creazione di una coscienza socialista ed atea universale.

Per questo, Stalin diede il via alla cosiddetta "Campagna sovietica contro la religione" del 1928-1941. Secondo questo piano politico, ogni forma di religione, soprattutto cristiana, sarebbe stata sradicata completamente.

Al fine di raggiungere questo obiettivo, vennero create delle piccole cellule militari locali, che andavano a formare la "Lega dei militanti atei", che avevano il compito principale di chiudere e sottrarre ogni bene ecclesiastico. Inoltre, venne affidata loro l'educazione nelle aree più rurali, che aveva lo scopo di insegnare i nuovi principi del comunismo, sostituendo quelli religiosi.

La maggior parte dei leader delle principali chiese vennero arrestati e, in molti casi, condannati a morte o nei gulag. Mentre i pochi preti rimasti divennero unicamente pedine nelle mani del regime.

Ovviamente, queste politiche vennero immediatamente applicate anche in quei paesi che finirono all'interno dei confini dell'URSS. Nel momento in cui vennero, però, inglobate queste nazioni, il nemico non era più solo la Chiesa ortodossa, ma anche quella ebraica e musulmana.

Vennero, quindi, portate avanti nuove riforme. Per esempio, il calendario venne completamente modificato, passando da 7 a 5 giorni ed eliminando, così, i giorni più simbolici per i credenti (venerdì, sabato e domenica).

Le sinagoghe, le moschee e le chiese vennero trasformate in dei "Musei dell'ateismo", in cui si mostravano le grandi incongruenze della religione e la crudeltà dei grandi esponenti clericali. Inoltre, le reliquie e i tesori che una volta adornavano i luoghi di preghiera vennero resi semplici oggetti, degni solo di essere strumentalizzati per portare avanti, ancora una volta, il messaggio anti-religioso.

Le politiche staliniste proseguirono anche dopo la morte di Stalin, ma rimase ovvio, anche agli stessi ufficiali sovietici poco prima della fine dell'URSS, che la loro battaglia contro la religione non poteva essere vinta.

Il perché è presto detto: le idee rivoluzionarie più radicali dei bolscevichi si affermarono solo nelle aree urbane, non in quelle rurali - dove risiedeva la maggioranza della popolazione. Secoli di pratiche e tradizioni religiose semplicemente non potevano essere cancellati nel giro di pochi anni per il volere di un gruppo minoritario di persone.