Il vero nemico dei giocatori di scacchi è l'inquinamento: lo dimostra la scienza

Il vero nemico dei giocatori di scacchi è l'inquinamento: lo dimostra la scienza
di

Con il passare dei mesi gli scacchi stanno diventando estremamente popolari, tanto che ormai sono ritenuti un esport da qualche anno e, per di più, l’app di Chess.com è la più scaricata al mondo su iPhone. Anche gli scienziati li stanno studiando, seppur in maniera diversa, scoprendo cose molto interessanti.

Secondo uno studio pubblicato dal Massachusetts Institute of Technology esiste un legame interessante tra le performance dei giocatori di scacchi e l’inquinamento dell’aria. Nel documento scritto dai ricercatori e professori Steffen Künn, Juan Palacios e Nico Pestel si legge che, dato un modesto aumento del particolato fine, la probabilità che i giocatori di scacchi commettano un errore aumenta di 2,1 punti percentuali e l'entità di tali errori aumenta del 10,8%. In altri termini, più l’aria è inquinata, più le mosse dei giocatori risultano peggiori.

Scendendo nel dettaglio, lo studio ha analizzato le prestazioni di 121 giocatori di scacchi in tre tornei di sette turni in Germania nel 2017, 2018 e 2019, comprendendo oltre 30.000 mosse di scacchi. Durante i match, gli esperti hanno utilizzato tre sensori all’interno della sede del torneo per misurare l'anidride carbonica, le concentrazioni di PM2,5 e la temperatura, esaminando per ben otto settimane come i cambiamenti della qualità dell'aria fossero correlati ai cambiamenti nelle prestazioni dei giocatori.

Escludendo altri fattori come l’aumento del rumore, gli studiosi hanno scoperto che l'anidride carbonica e le variazioni di temperatura non corrispondevano ad alcuna variazione delle performance; al contrario, è la pura esposizione casuale all'inquinamento atmosferico che le ha peggiorate. In aggiunta, è stato scoperto che nel momento in cui l’inquinamento atmosferico aumentava, i giocatori facevano ancora più errori quando il tempo a loro disposizione stava per finire, aumentando la probabilità di errore del 3,2%.

È una correlazione bizzarra, ma che per i tre esperti potrebbe valere anche nel caso dei lavoratori in aree del mondo davvero inquinate. Serviranno quindi altri studi per comprendere al meglio questo legame.